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Augusto Vittorio Vecchi

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Augusto Vittorio Vecchi, conosciuto con lo pseudonimo di Jack La Bolina (1842 – 1932), scrittore e giornalista italiano.

Citazioni di Augusto Vittorio Vecchi

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  • Gli antichi scultori greci che raffigurarono alata la vittoria si apposero al vero. La dea spietata non si posa a vicenda ora in un campo ora in quello avversario? Non si libra incerta talora tra i due contendenti? Quando, alfine, muove i vani vermigli verso la parte cui ha decretato la palma, manda alla contrada una minor sorella: la Gloria. Questa visitò la sera del 29 maggio i campi contrastati di Curtatone e Montanara e si assise compassionevole tra le salme dei difensori di quelle due umili borgate che per valore di toscani e di napoletani sono entrate nella storia.[1]
  • [...] nella lunga vita dell'ammiraglio [Enrico Morin], che non esito a definire esemplare, v'ha un aspetto meno noto e che altamente lo onora. Egli ha esercitato un'influenza preponderante sulla riforma del modo con cui va trattato il marinaro. In questo il paragone con Collingwood gli calza a pennello. La violenza verbale e di gesto dominava a bordo delle navi: al benessere materiale della gente di mare niuno poneva mente: le punizioni erano spesso feroci. Contro codeste male usanze insorse un manipolo di giovani ufficiali, di cui Morin fu il vessillifero. Questo suo modo di agire (perché egli operava conforme alle idee) non faccia supporre che il culto della disciplina avesse in lui un pigro seguace, ché anzi di essa nutriva un concetto altissimo.[2]

L'arcipelago toscano

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Qui [nell'arcipelago toscano] la fantasia evoca la Venere tirrena consanguinea dell'ellena Afrodite. La prima emerge dal grembo profondo delle acque spumose, illumina del suo sorriso divino i luoghi circostanti e vi suscita tal vento d'amore che il fremito ancora ne perdura. Ma ecco che alla insuperabilmente bella si stacca il monile dal collo e le gemme, precipitando in mare, vi si trasformano in altrettante isole dell'alto Tirreno.

Citazioni

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  • L'antichità fu consapevole e rispettosa della venustà dell'Arcipelago Toscano. I Romani, impadronitisene per forza di armi, lo trasformarono in una vera collana di luoghi di delizie. I barbari continentali, poiché ebbero prostrato al suolo l'Impero, trascurarono di invadere le belle isole; di guisa che i monaci vi trovarono asilo. Questi trasformarono le sontuose ville patrizie in laboriosi cenobî. Ma i Saraceni, onda barbarica cui la nave era consueta e familiare, sbarcarono nell'Arcipelago e lo desolarono. Scacciati poi quei predoni dal propinquo mare, i cittadini dei Comuni di Pisa e di Genova se ne disputarono il dominio. Le isole soggiacquero più tardi a diverse signorie non tutte provvide; e nemmeno lo è in via assoluta, la presente; la quale, se ha edificato un potente faro benefico ai naviganti sull'altura di Giannutri, ha non di meno contaminato Gorgona e Pianosa riducendole a luoghi di espiazione, e Capraia trasformando in sede di relegazione temporanea. (Proemio, p. 13)
  • Sopra tutte le isole dell'Arcipelago libecci e maestrali e scirocchi imbizzarriscono, radunando vapori sulle alture, precipitandoli in pioggia nelle brevi vallate, inzuppando di rugiada le zolle dei floridi vigneti e, purtroppo denudando i comignoli delle ardue cime; ma per converso, procurando alimento alle scaturigini che rampollano sufficienti al bisogno nella parte settentrionale dell'Elba, insufficienti nel resto dell'isola, assai scarse in Giglio, in Montecristo, in Capraia e in Gorgona. Esse inaridiscono assolutamente nell'anidra Giannutri, in Palmaiola ed in Cerboli. Ma ivi abbondano le rugiade: d'onde in tutte le isole una flora pittoresca anziché svariata, ricca di essenze chiedenti all'aria più nutrimento che al suolo: flora di cacti e di lentischi, di eriche e di mortelle, di ogliastri, di ginepri e di pini, tutte piante dalle cui corteccie e dalle fronde esala aroma più gradito che dai loro fiori il profumo. Ecco, in succinta sintesi, i caratteri dell'Arcipelago, la cui bellezza è austera, anziché graziosa; la direi etrusca, piuttosto che ellenica. (Proemio, p. 14)
  • [...] ecco i Greci percorrere i mari e scrutare le terre che ne emergono. Passano presso all'Elba e le danno in nome di Aitalia, letteralmente sempre fiorente (altri vuole sempre splendente); fiorente, perché la brezza di terra portava al largo le acri e pur piacenti aulenze resinose? Splendente, per cagione dei fuochi sprigionantisi dai forni fusorî che attenuavano al navigatore le temute tenebre notturne? (p. 22)
  • Qui è luogo dire che intorno a Giglio hanno scritto da maestri due cultori di scienze naturali, Stefano Sommier di Firenze[3] e l'Arciduca Luigi[4]. Le costoro monografie sono due cofanetti pieni zeppi di preziose notizie. Ma qualunque descrizione dovuta alla penna dei due egregi autori impallidisce di fronte all'impressione che l'isola produce in chi la visita e percorre in sentieri da capre e in viottoli sul cui suolo di sassi il somaro solamente posa il piede sicuro. Strade? Viottoli? Non è nemmeno il caso di affibbiare codesti nomi specifici al solco che il piccone ha aperto nella roccia durissima. (p. 60)
  • L'isola [di Giannutri] – va qui ricordato – non è granitica come [l'isola del] Giglio, bensì quasi tutta di calcare spugnosissimo. Emerge dall'acqua come un fungo gigantesco, tanto che allorquando il mare vi frange intorno, la terra risuona come se il gambo del fungo fosse scosso o percosso dalla violenza delle acque. (p. 76)
  • A chi dal Campese[5] guarda diritto innanzi a sé, cioè verso ponente, apparisce enorme rupe conica coronata da tre comignoli, il più cospicuo dei quali alto 644 metri, l'antica Oglasa menzionata da Plinio, l'isola di Giove dei Romani, Montecristo di oggi. Probabilmente il nome novello altro non fu se non la traduzione cristiana del pagano, poiché Cristo ebbe scacciato Giove di seggio. (p. 87)
  • Divenutone signore, Napoleone I visitò due volte Pianosa. Egli disegnò fondarvi una colonia agricola e comandò si costruisse sulla scoscesa rupe del Teglia, la quale domina il porto, una caserma ed una batteria. In sostanza lo stato in cui Pianosa è oggi ripete la sua origine dal Grande Imperatore. A tempo di lui gli olivi spontaneamente nati nell'isola, e che egli aveva fatto contare, oltrepassavano il numero di 20,000; oggi appena ne rimangono 3000. Chi ne estirpò tanti? Coloro che per i primi presero Pianosa in affitto ne atterrarono la metà per farne legna da ardere. Le passate aziende della colonia agricola fondata dallo Stato compirono l'opera vandalica per cuocere certi mattoni che si dovevano fabbricare nell'isola per essere mandati poi in Sardegna ad un altro stabilimento penitenziario che di mattoni aveva bisogno. Ecco un esempio di bella trovata economica ed amministrativa... (p. 104)
  • Gli archeologi che hanno visitato le catacombe di Pianosa, non ne hanno trovate di analoghe nelle altre isole. Ciò significa che i primi abitanti di questa furono costretti a seppellire i morti in grotte naturali, perché il sottile strato di terra vegetale impediva lo scavo di buche assai profonde per riporvi i cadaveri. (p. 110)
  • A mezza strada tra Piombino e l'Elba si eleva sul mare un isolotto coronato da un fanale e che porta il nome di Palmaiola. È disabitato, fuorché dai fanalisti che vi dimorano per ragioni di ufficio; non offre coltivazioni di sorta. (p. 119)
  • Pochi spettacoli sono così[6] ridenti come quello che la Gorgona offre allo sguardo, quando la si accosta dalla parte di levante e propriamente nel luogo detto lo scalo, oppure cala principale, dove sorgono le case dei pescatori cui la spiaggia procura agio e modo di tirare in secco le loro barche. Codesti abitanti di Gorgona superano di poco la sessantina di persone. Intendo abitanti liberi, perché l'isola è tutta uno stabilimento penale nel quale purgano l'ultimo periodo di prigionia coloro che hanno dato speranze di poter rientrare nella vita civile, bene nettati dall'antica colpa e redenti dal lavoro. Per questo, tra i relegati alla Gorgona, si incontrano taluni sul cui labbro superiore i baffi sono già visibili. Hanno licenza di lasciarli crescere quattro mesi innanzi alla prossima liberazione. (p. 121)
  • Una volta l'isola [di Gorgona] conteneva capre come Montecristo. Oggi la selvaggina si limita al coniglio ma, al tempo del passo abbondano i volatili. Il mare è ricco di pesci, specialmente di acciughe, per cui i pescatori di Santa Margherita e di Camogli insieme a quelli di Lerici e di Porto Venere, di aprile, di maggio e di giugno vi accorrono piuttosto numerosi. Gl'Inglesi vendono certe salse fatte a base di pasta di acciughe della Gorgona; ma è a credere che di codeste acciughe le salse ne contengano poche, perché la pesca intorno alla Gorgona non basterebbe davvero alle esigenze delle fabbriche britanniche. (p. 122)
  • Plinio, Pomponio Mela e Tolomeo hanno registrato l'isola [di Gorgona] sotto i diversi nomi di Urgon, Orgon e Gorgon. Ma poco si conosce della sua storia antica. In un luogo chiamato Pian dei Morti, e nelle vicinanze, si son trovati pavimenti a mosaico e muri di opera tassellata poco dissimili da quelli da me ammirati a Giannutri. È giustificato il criterio che anche in Gorgona esistesse qualche villa romana. Il D'Albert mi dice che tra quelle rovine (e precisamente in una specie di grotta costrutta con solide mura) si rinvennero due teschi, alcune monete di bronzo, un piccolo vaso di terra ed altri oggetti. Si scoprì eziandio una iscrizione etrusca scolpita su di[7] una parete. Donde la ipotesi che quei teschi appartenessero ad uomini di stirpe etrusca approdati dal continente. (p. 122)

Note

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  1. Dall'opuscolo L'iniziativa degli studenti, La Nazione, 29 maggio 1908.
  2. Da Il vice ammiraglio E. C. Morin, in Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti, quinta serie, settembre-ottobre 1910, volume CXLIX, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1910, p. 495.
  3. Stefano Sommier (1848 – 1922), botanico, geografo e antropologo italiano di origine francese.
  4. Luigi Salvatore d'Asburgo-Lorena (1847 – 1915), principe di Toscana e arciduca d'Austria, noto per i suoi studi scientifici sul Mediterraneo e per l'impegno nella conservazione di aree naturalistiche.
  5. Dal golfo del Campese nell'isola del Giglio.
  6. Nel testo "cose".
  7. Ne testo "du".

Bibliografia

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Jack La Bolina (A. V. Vecchi), L'arcipelago toscano, Istituto italiano d'arti grafiche editore, Bergamo, 1914.

Altri progetti

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