David Thomson (storico)
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David Thomson (1912–1970), storico britannico.
Storia della Francia moderna
[modifica]Il 15 maggio 1940 le armate tedesche infransero le difese della Mosa e accerchiarono Sedan. Nel termine di due mesi, questa sconfitta militare provocò la capitolazione della Francia e la capitolazione, a sua volta, portò al crollo della Terza Repubblica francese. Settant'anni innanzi, il 1º settembre 1870, le armate tedesche di Bismarck avevano del pari fatto breccia a Sedan e la capitolazione dell'imperatore Napoleone III aveva provocato la fine del secondo Impero francese. La storia della Francia fra queste due date è la storia della Terza Repubblica, il più lungo esperimento di democrazia parlamentare che il paese avesse mai tentato.
Citazioni
[modifica]- Storicamente la Comune non rappresentò né la teoria né la prassi del marxismo. E nemmeno ebbe un carattere chiaramente proletario. Fu il risultato di molti e complessi fattori: senso di umiliazione nazionale e civile[1], difficoltà economiche e aspirazioni ideologiche. (cap. 1, La tradizione rivoluzionaria, p. 23)
- Marx, sposando la causa della Comune e difendendola nel manifesto dell'Internazionale, conosciuto più tardi come La guerra civile in Francia, cercò di fare della Comune il modello della futura azione rivoluzionaria del proletariato. Dal punto di vista storico, la Comune di Parigi ha un senso solo se la si consideri non come il promettente esempio di una futura azione politica, ma come il culmine piuttosto disperato della vecchia tradizione francese. È una fine, piuttosto che un principio. (cap. 1, La tradizione rivoluzionaria, p. 25)
- Gambetta fu l'erede diretto della tradizione rivoluzionaria e, malgrado il suo ingegno eccentrico e sconcertante, contribuì, forse ancor più di Thiers, a impiantare la Terza Repubblica su vaste basi democratiche e ad infondere in essa gli ideali democratici. (cap. 1, La tradizione rivoluzionaria, p. 38)
- La voce più potente della destra, negli anni fra il 1890 e il 1910, fu quella di Maurice Barrès, i cui romanzi più notevoli apparvero appunto in quegli anni: il suo fascino si esercitò su uomini di qualsiasi partito e setta, ravvivando in loro il patriottismo e lo spirito nazionalistico. (cap. 4, La visione nazionale, p. 163)
- In occasione della sua prima grande rivista a Longchamps il 14 luglio 1886 (anniversario della presa della Bastiglia), Boulanger fu acclamato come un idolo popolare: egli era il beniamino delle folle, che stava dando al popolo un esercito popolare e un ispirato esempio di guida repubblicana. Divenne l'eroe delle riviste teatrali, oltre che di quelle militari, e nei caffè-concerto si presero a cantare le sue lodi. Nessuno, dal tempo di Gambetta, era riuscito così bene a conquistare l'immaginazione e il cuore della gente comune. Si venne creando una mystique del boulangismo. La popolarità di Boulanger dipendeva in parte dal fatto che il nuovo esercito modello significava una possibilità di revanche[2]. E questo era il punto cruciale. (cap. 4, La visione nazionale, pp. 168-169)
- Chiunque studi lo sforzo bellico compiuto dalla Francia fra il 1914 e il 1918[3] non può non sentirsi riempire di ammirazione. Nonostante i gravi handicap – crisi demografica e inadeguata preparazione militare; Sedan e le estorsioni del Trattato di Francoforte[4] erano relativamente recenti; il paese era ancora esausto per la tensione e le lotte dell'affare Dreyfus e per le agitazioni sociali prebelliche – il popolo francese si strinse compatto contro l'invasione, il disastro e la guerra totale, mostrando grande coraggio e una sorprendente solidarietà. «La patria in pericolo» esercitò ancora il suo fascino, e la solidarietà nazionale si dimostrò superiore allo spirito di parte. (cap. 5, La sfida moderna, pp. 197-198)
- Il più dibattuto problema economico del [primo] dopoguerra fu quello della moneta e della finanza. Prima della guerra Caillaux aveva proposto una modica imposta sul reddito: innovazione sensazionale per la Francia repubblicana. La proposta naufragò e la Francia dovette sperimentare tre anni guerra prima che si giungesse [nel 1917] ad istituire questo metodo di pagamento delle spese sostenute per la guerra che la maggior parte degli altri paesi avevano da tempo considerato ovvio. (cap. 5, La sfida moderna, p. 212)
- Il regime di Vichy fu instaurato nell'intervallo fra Dunkerque e la battaglia di Gran Bretagna, quando la maggior parte degli esperti militari e dei politici francesi – e non solo francesi – ritenevano che il conflitto sarebbe presto finito, che la Germania avesse già vinto la guerra e fosse in procinto di instaurare l'«Ordine Nuovo» nazista in Europa. (cap. 6, In pieno scisma, p. 241)
- Il regime [di Vichy] sopravvisse principalmente in forza del prestigio personale di Pétain, della prontezza di spirito di Laval[5] e della intrinseca incapacità della Germania di costringere all'obbedienza, senza provocare aperte ribellioni sul suo vulnerabile fronte occidentale. Oltre a ciò, unica risorsa di Vichy fu la pressione sempre più forte che gli Alleati esercitavano sulla Germania. (cap. 6, In pieno scisma, p. 244)
- Il carattere essenziale della politica di Vichy dopo il dicembre 1940 fu nella sopravvivenza di un regime provvisorio e improvvisato in condizioni totalmente diverse da quelle per le quali era stato escogitato. Gli uomini, i movimenti e i gruppi sociali che si raccolsero sotto il maresciallo Pétain e l'ammiraglio Darlan[6] erano uniti solo dal desiderio di sfruttare quell'occasione per sradicare le ultime istituzioni e gli ultimi ideali della Repubblica parlamentare. Per costoro la Repubblica – la gueuse – era stata finalmente screditata dalla disfatta nazionale[7], ed ora, se si voleva che la nazione sopravvivesse, bisognava che la Francia assumesse una veste politica che le desse diritto a un posto nell'Europa dell'«Ordine Nuovo» di Hitler. (cap. 6, In pieno scisma, pp. 244-245)
- Sotto la guida di Laval, dall'aprile 1942 alla fine del 1943, continuarono, e in certo senso vennero intensificati, i tentativi di completare l'opera della Rivoluzione Nazionale. Nell'estate del 1942 furono prese misure antisemite ancora più drastiche, e gli ebrei furono costretti a portare la stella gialla. Continuò la propaganda orchestrata su Travail, Famille, Patrie. Tuttavia lo stesso Laval fu sempre insofferente rispetto all'ideologia del pétainismo, che liquidava sarcasticamente definendola «la medicina che dovrebbe guarire tutti i mali». Egli detestava la denominazione di «Stato Francese» apposta sui proclami ufficiali, sulle monete e sui francobolli, come pure detestava il culto personale di Pétain, considerato come un grande padre, un culto che andò diventando sempre più accentuato e sciocco durante la sua lontananza dal potere. (cap. 6, In pieno scisma, p. 251)
- Il prezzo pagato personalmente da Laval per la sua politica fu quello di esporsi in quel tempo a un'aspra animosità, e infine alla morte. Il prezzo pagato dalla Francia fu l'aggravarsi dello scisma all'interno della nazione. Quanto più Vichy andava identificandosi fra il popolo con il collaborazionismo e quanto più le leggi sul lavoro spingevano i giovani nei boschi e sulle colline per sfuggire alla coscrizione, per combattere nei maquis[8], tanto più rapidamente la Francia si avviava sulla strada della guerra civile. (cap. 6, In pieno scisma, p. 254)
- Simile a un lupo solitario in politica, Laval riuscì a rimanere al potere barcamenandosi in mezzo a ogni genere di compromessi. Dal punto di vista della politica internazionale egli giunse a convincersi che il più probabile risultato della guerra non sarebbe stato né una vittoria tedesca né una sconfitta tedesca, bensì una pace senza vincitori né vinti: la sua speranza era quella di assumere la veste di intermediario fra l'Asse e gli Alleati Occidentali, riconciliando le due parti contro il pericolo della rivoluzione comunista e dell'egemonia sovietica. (cap. 6, In pieno scisma, p. 254)
- Félix Gaillard, nei suoi tentativi di risolvere le difficoltà finanziarie della Francia nel 1957-1958, si trovò di fronte a un dilemma abbastanza familiare ai suoi predecessori; la pressione incoerente della destra perché, invece di imporre nuove tasse, si decurtassero le spese, senza però togliere gli aiuti a quei gruppi economicamente privilegiati, come gli agricoltori e i piccoli produttori, del cui appoggio egli aveva bisogno; e la pressione, del pari incoerente, della sinistra, la quale pretendeva che l'inflazione fosse arrestata senza ridurre le spese per i dipendenti pubblici o per i servizi sociali. (cap. 7, La Quarta Repubblica, p. 281)
- La Quarta Repubblica [francese], come sistema costituzionale e politico, morì tra l'indifferenza e il disprezzo. Pochi uomini, gruppi o partiti piansero il suo trapasso: i suoi nemici se ne rallegrarono apertamente. Spogliata della mystique della Resistenza che dapprima era sembrata dovesse darle coesione e fermezza, scivolò verso un debole sistema di gouvernement d'assemlée che si dimostrò incapace di affrontare con energia gli scottanti problemi presentatisi alla Francia verso la metà del nostro secolo[9]. (cap. 7, La Quarta Repubblica, p. 285)
- Anche dal punto di vista dei risultati raggiunti, la storia della Quarta Repubblica è lungi dall'essere sterile. I suoi dodici anni di vita furono una lotta faticosa per ristabilire il governo parlamentare repubblicano. In un paese convalescente da una triplice dura prova – la sconfitta [del 1940], l'occupazione [tedesca] e la liberazione – e che recava le cicatrici delle profonde ferite provocate dallo scisma sociale e dalla guerra civile, essa dimostrò di avere fonti segrete di energia. Tenne a bada la forza del comunismo senza dover ricorrere alle forze antiparlamentari del gaullismo e del poujadismo[10]. Fu l'artefice della ripresa economica della Francia dopo un periodo di grande disorganizzazione e di estremo impoverimento. Dimostrò una capacità di recupero che confuse i suoi critici e sorprese perfino i suoi amici. Cominciò a dare ai rapporti tra la Francia e i territori d'oltremare una nuova impostazione che rese possibile la nuova Comunità[11] del 1960. Ricostituì la posizione della Francia in Europa. (cap. 7, La Quarta Repubblica, p. 287)
- Michel Debré, riflettendo sulle qualità di uno Stato repubblicano, trovava che lo Stato in Francia era diventato inconsistente, decrepito, inefficiente. I rimedi da lui proposti nel 1947 erano di un triplice ordine: riorganizzazione dei settori e servizi amministrativi sul principio della alliance de la liberté et de la responsabilité; sistemi migliori di preparazione e di assunzione dei dipendenti e funzionari statali; rigido rafforzamento dell'autorità centrale sì da poter dare nuova forza di volontà e di intenti a tutto lo Stato. (cap. 8, La Quinta Repubblica, p. 294)
- [Michel Debré] Egli vedeva nel suffragio universale e in un chiaro sistema di votazione la base essenziale della democrazia e, quindi, di un forte Stato moderno. Invidiava alla Gran Bretagna la semplicità e la stabilità del sistema a maggioranza relativa e a collegi elettorali uninominali. Deplorava l'usanza francese di considerare le leggi elettorali come un semplice meccanismo regolabile che i partiti politici si arrogavano il diritto di modificare a volontà. (cap. 8, La Quinta Repubblica, pp. 294-295)
Note
[modifica]- ↑ Per la sconfitta di Sedan (31 agosto - 2 settembre 1870).
- ↑ Rispetto all'esito della guerra franco-prussiana del 1870-71.
- ↑ Gli anni della prima guerra mondiale.
- ↑ Trattato che mise fine alla guerra franco-prussiana del 1870-1871.
- ↑ Pierre Laval (1883–1945), politico francese, presidente del Consiglio dei ministri di Vichy dal 1942 al 1944.
- ↑ François Darlan (1881–1942), ammiraglio e politico francese, vicepresidente del Consiglio dei ministri di Vichy.
- ↑ L'invasione tedesca nella seconda guerra mondiale (1940-1944).
- ↑ Movimento di resistenza e liberazione nazionale francese durante la seconda guerra mondiale.
- ↑ Novecento.
- ↑ Movimento politico e sindacale francese, sviluppatosi nel 1953, che prese il nome da Pierre Poujade.
- ↑ La Comunità francese (Communauté française).
Bibliografia
[modifica]- David Thomson, Storia della Francia moderna dal 1870 al 1962 (Democracy in France - The Third and Fourth Republics), traduzione dall'inglese di Argia Micchettoni, Garzanti, Collana Saper tutto 315-318, Milano, 1963.
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