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Emanuel Löwy

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La tomba di Emanuel Löwy

Emanuel Löwy (1857 – 1938), archeologo austriaco.

La scultura greca

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  • E quand'anche per tutti i singoli particolari [dell'Atena Parthenos] si riuscisse a stabilire modelli e precedenti, della novità pur ci sarebbe: nella loro unione, nella profonda concezione religiosa e patriotica onde tutti quegli elementi l'artista rifuse in un'effigie della dea non mai veduta. E se questa fosse l'unica sua opera; e se Fidia non avesse fatto altro che raccogliere in una vittoriosa sintesi tutti gli acquisti dell'arcaismo, egli meriterebbe il suo posto altissimo nella storia dell'arte. (cap. II, p. 48)
  • Egli scende negli abissi del cuore umano, lo analizza, lo notomizza, ce lo discuopre nel suo turbamento, nelle sue lotte e passioni: in una parola, Euripide introduce nell'arte greca l'elemento del pathos. (cap. III, p. 78)
  • Il principio di architettare le figure sopra una gamba sorreggente, sgravando l'altra, con il conseguente contrasto delle spalle e dei fianchi, lo troviamo parecchi decenni prima di Prassitele, perfettamente costituito, sebbene con forme più vigorose e gravi, in un contemporaneo di Fidia, in Policleto: il suo diadumeno o atleta cingentesi con la benda del vincitore, è come il prototipo delle figure prassiteliche. (cap. III, p. 87)
  • [Prassitele] [...] apostolo entusiastico della bellezza, la fa, come nessun altro mai, trionfare in ogni sua opera, florida, radiosa, immortale. A così affinato sentimento della forma meno si addice l'austero bronzo; il marmo è il materiale prediletto di Prassitele su cui egli impera sovrano. Sotto la mano di lui se ne avviva d'incanto la superficie, guizzano mille luci e riflessi e sfumature, vibrano piani e passaggi tenerissimi, quasi impercettibili al tatto. E su tutto ciò si spandeva una policromia che rendeva più vivide le carni, smaglianti le vesti, aurea la chioma. E, virtuoso dello scalpello, contrappone allo splendore del nudo non pure i capelli or morbidi or ispidi, ma anche le rozze nebridi ferine, i molli tessuti dei mantelli, e, nelle figure di Eros, lo sfondo opaco delle grandi ali. (cap. III, pp. 89-90)
  • Scopa e Prassitele: quanto contrasto in due artisti quasi contemporanei! In Scopa tutto patetico, eccitato, tutto azione, in Prassitele pace, abbandono assorbimento. Le figure di Scopa riottose con capo supino, quelle di Prassitele dimettono il volto. Quadrati, angolosi i crani scopadei, ovali, tondeggianti i prassiteleci. Aperta la bocca scoprente i denti nel primo, socchiusa con soave sorriso nell'altro. Scopa sprofonda l'occhio nell'orbita, lo sbarra, ne distacca recisamente le palpebre, Prassitele lievemente lo addentra, lo allunga, quasi fonde la palpebra col bulbo. Eppure, per quanto contrastanti nell'aspetto individuale, ambedue muovono sopra un terreno comune, prestano fraternamente favella alla voce intima del secolo. (cap. III, p. 90)
  • [Commentando l'Apoxyómenos di Lisippo] Eppure nonostante questo atteggiamento calmo, la figura palpita di movimento; par già di vederla passare dalla gamba sinistra alla destra e di rimando alla sinistra, dondolante, elastica; par di prevenire l'azione delle braccia. E così le linee del contorno, i piani della superficie dalle punte dei piedi fino al capo dall'espressione un po' faticata e nervosa, fino ai riccioli dei capelli, appaiono tutti mossi, fluttuanti, continuamente variando direzione e rilievo.
    Movimento nel riposo: ecco come potrebbe riassumersi l'impressione prodotta da questa figura. (cap. IV, p. 112)
  • [Lisippo] Gli antichi magnificano in lui l'eleganza, l'estrema finezza dell'esecuzione; ed infatti qualcosa ne sorprendiamo ancora nelle migliori tra le copie, come quella dell'apoxyomenos. Ma oltre a ciò notammo un altro tratto caratteristico: il movimento comune, come temperamento ereditario, a tutte le figure anche quando la situazione non lo esiga. Ebbene: in questo movimento, nella peculiare sua estrinsecazione, rappresenta un progresso sostanziale nello sviluppo della scultura. (cap. IV, p. 116)
  • Celebre opera d'un sommo maestro contemporaneo di Fidia, di Policleto argivo, è il cosiddetto doriforo, ossia la statua d'un atleta vincitore reggente nella sinistra una lancia. In questa figura è resa la movenza del tronco quale consegue da quella delle gambe: il corpo gravita sulla gamba destra e quindi, precisamente come l'anatomia esige, il fianco della parte destra si solleva, la spalla scende, e da questo spostamento generale risultano spostamenti minori nelle parti intermedie del tronco. Nessuno potrebbe qualificare impacciato quest'atteggiamento; la figura, pur salda, muove franca, snodata, leggiera. E con ciò l'arte può vantarsi d'un capitale acquisito. [...] [Policleto] per il primo ha saputo pienamente soddisfare i postulati della verità anatomica. (cap. IV, pp. 120-121)

Bibliografia

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  • Emanuele Loewy, La scultura greca, Società tipografico-editrice nazionale, Torino, 1911.

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