Ezio Levi
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Ezio Levi D'Ancona (1884 – 1941), filologo e accademico italiano.
Nella letteratura spagnola contemporanea
[modifica]- L'Italia è il paese dove Unamuno ha trovato maggiore fervore di assensi, maggiore simpatia e più profonda comprensione. Può ben dirsi che – se Unamuno è basco di nascita e castigliano di linguaggio – egli è italiano per l'essenza stessa del suo pensiero e per i succhi culturali di cui s'è nutrito. "Io porto – scrive Unamuno – Roma nella mia testa, impressa nella mente, Napoli negli occhi, stampata nelle pupille, Firenze nel cuore, diluita in tutto il mio spirito". (p. 4)
- Al pari degli scrittori ellenici, Miguel de Unamuno è insieme filosofo e artista. La sua filosofia non si circoscrive mai entro i confini delle trattazioni sistematiche, ma si diffonde libera e bonaria in quel perpetuo commentario che Unamuno va facendo nelle sue pagine intorno ai fatti della storia e agli atti dell'uomo. (p. 4)
- [Commentando il romanzo Abel Sánchez, una historia de pasión del 1917] Per questo senso così austero della misura e dell'ordine, per questo temperamento del pensiero e questa profondità religiosa dell'immaginare, Unamuno si stacca dalle tradizioni spagnuole e dalle consuetudini del romanzo moderno. Checché egli ne pensi e dica, le sue fonti non sono collocate sui monti della Biscaglia, ma sui monti dell'Attica. Questi dialoghi moderni sono gli ultimi sviluppi dell'ironia socratica, e in essi rivive la divina arte di Platone arricchita, ma anche (sia detto senza irriverenza) intorbidata dalle acque scorrenti da ventiquattro secoli di travaglio e di sofferenze umane. (p. 11)
- Il più drammatico e il più singolare romanzo di Blasco Ibáñez è quello che il gran pubblico forse non conosce ancora, perché ancora non è stato scritto: è la vita stessa di Blasco Ibáñez. (p. 15)
- La fortuna di Hoyos è uno dei fatti più singolari della Spagna d'oggi. Qualche anno fa, di Hoyos nessuno avrebbe saputo dire con precisione né chi egli fosse né che cosa egli avesse mai scritto. Adesso il profilo dei suoi personaggi e del suo mondo poetico si è così profondamente inciso entro la fantasia degli Spagnoli, che in Ispagna è facile udire o leggere che un uomo è un tipo di Hoyos o che un avvenimento sembra inventato da Hoyos. (p. 39)
- [...] la rapida fortuna di Hoyos – se può stupire noi italiani – non costituisce un fatto né nuovo né strano nelle vicende e nelle tradizioni della letteratura castigliana. Ma ciò che rende ancor più singolare la figura di questo scrittore e più curiosa la storia della sua fortuna, si è la stranezza delle sue origini. Questo formidabile lavoratore che non conosce riposo né tregua, questo scrittore cosi avido di popolarità, viene dall'aristocrazia, che sinora era conosciuta soltanto per il suo fasto e per il culto delle tradizioni arcaiche. Egli porta uno dei più bei nomi della nobiltà castigliana; è il marchese Antonio de Hoyos y de Vinent. Largendo a Hoyos il privilegio d'una nascita eletta e d'un gran nome patrizio, il destino pareva volesse con ciò solo sviarlo dalle dure lotte della vita letteraria. (p. 40)
- La sordità di Hoyos spiega e giustifica il carattere fondamentale della sua arte o almeno quello della sua prima maniera. Il mondo di Hoyos non è un mondo ordinato e tranquillo sul quale si eserciti l'analisi di un ricercatore sereno; è un paesaggio apocalittico, sullo sfondo del quale spiccano personaggi foschi e perversi, agitati da passioni torbide e violente. Gli uomini di Hoyos appartengono alle due classi sociali più diverse e lontane: all'aristocrazia e alla plebe. (pp. 41-42)
- La novità degli uomini, che popolano il mondo poetico di Concha Espina, non consiste tanto nella foggia paesana delle loro vesti, nella stranezza dei loro riti e dei loro pregiudizi o nella originale bizzarrìa del loro dialogo; consiste nello spasimo delle loro voci dolorose, nella solenne poesia della loro anima quando su vi soffiano le raffiche della tragedia. (p. 63)
- Nella vita presente e nella storia del passato Concha Espina crede suo compito attuare questa attenta indagine del dolore femminile, per estrarre da quel dolore tutta la dolce ed accorata poesia che ivi è riposta. Quasi tutte le figure femminili, che Concha Espina pone sulla scena, sono figure dolorose e sono figure tragiche. (p. 80)
Uguccione da Lodi e i primordi della poesia italiana
[modifica]- Se il Libro al quale diede «començamento» Uguçon da Laodho, è veramente opera di Uguccione da Lodi fino al suo termine, è segno che a Uguccione la penna tremava nelle mani. Egli non possedeva la signoria della sua parola né il timone del suo pensiero; era insomma un povero uomo e un povero artefice, la cui presenza rappresenta un ingombro — e non un acquisto — nella storia letteraria. (p. 7)
- Il difetto più grave e più profondo del Libro [di Uguccione] è il disordine delle idee. Invece di avere uno svolgimento sicuro e compiuto, i varii temi sono appena accennati e subito interrotti per essere ripresi poi dopo, talvolta a distanza assai grande, senza che a noi sia dato indovinare la ragione di questi sbalzi capricciosi ed assurdi. Di fronte a queste lacerazioni o «strappi di pensiero», come li chiama il Bertoni, quasi vien fatto di sospettare che il copista abbia trascritto nel suo codice Saibante un fascio di carte sconnesse e fuori di posto, senza curarsi di rimetterle nel loro ordine originario e legittimo avanti di leggere e avanti di scrivere. (p. 9)
- La più vistosa singolarità dell'opera di Uguccione da Lodi è la sistematica ripetizione di ciascuno dei suoi temi (l'indifferenza dei superstiti per i defunti, la corruzione dei costumi, il giudizio divino ecc.) nella prima e nella seconda parte, cioè nelle lasse dei versi maggiori e nei distici di novenari. Ed è appunto su queste ripetizioni che riposa il severo giudizio che i critici hanno concordemente compiuto e ribadito intorno all'arte dell'antico rimatore. (pp. 9-10)
Bibliografia
[modifica]- Ezio Levi, Nella letteratura spagnola contemporanea (Saggi), Società an. editrice "La voce", Firenze, 1922.
- Ezio Levi, Uguccione da Lodi e i primordi della poesia italiana, Luigi Battistelli editore, Firenze, 1920.
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