Fabulae

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Fabulae (Miti o Racconti), raccolta di brevi storie scritte da Igino l'Astronomo o da Gaio Giulio Igino nel II secolo d.C.

Fabulae[modifica]

  • Quando gli Atridi Agamennone e Menelao stavano radunando i principi che si erano impegnati ad allearsi per attaccare Troia, giunsero all'isola di Itaca da Ulisse, figlio di Laerte, al quale era stato predetto che, se fosse andato a Troia, sarebbe ritornato a casa dopo vent'anni solo e povero, dopo aver perduto tutti i suoi compagni. Perciò, quando venne a sapere che stavano arrivando gli ambasciatori, si pose in capo un pileo, fingendo di essere pazzo, e aggiogò all'aratro un cavallo e un bue insieme. Palamede, non appena lo vide, capì che fingeva; prese allora il figlio di Ulisse, Telemaco, dalla culla e lo pose davanti all'aratro, dicendo: «Lascia questa commedia e unisciti agli alleati!». E così Ulisse promise che sarebbe venuto, ma da quel momento fu ostile a Palamede. (95)
  • Da là arrivò presso i Lotofagi, uomini di buonissima indole, che usavano mangiare il fiore che cresce dalle foglie del loto; questo genere di cibo era talmente dolce che chi lo gustava si dimenticava di dover tornare a casa. (125)
  • Un tempo gli uomini chiedevano il fuoco agli Dèi e non sapevano conservarlo perennemente. In seguito Prometeo lo portò in terra nascosto dentro una canna e insegnò agli uomini il modo di conservarlo sotto la cenere. Perciò Ermes, per ordine di Zeus, lo legò a una rupe sul monte Caucaso con chiodi di ferro, e gli pose accanto un'aquila che gli rodeva il fegato: e quanto veniva mangiato di giorno, altrettanto cresceva di notte. Fu Eracle a uccidere quest'aquila dopo trentamila anni e a liberarlo. (144)
  • Raccontano che Scilla, figlia del fiume Crateide, fosse una fanciulla bellissima. Di lei si innamorò Glauco, che a sua volta era amato da Circe, figlia di Sole. Scilla aveva l'abitudine di lavarsi in mare; e Circe, gelosa, avvelenò l'acqua con i suoi filtri. Quando Scilla s'immerse, dai suoi inguini spuntarono dei cani e divenne un mostro selvaggio. Ella poi si prese la rivincita delle offese patite: infatti divorò i compagni di Ulisse che le sfilava vicino sulla nave. (199)

Bibliografia[modifica]

  • Igino, Fabulae; traduzione disponibile su alteravista.org.

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