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Filippo Grassia

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Filippo Grassia (1950 – vivente), giornalista, scrittore e dirigente sportivo italiano.

Citazioni di Filippo Grassia

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Citazioni in ordine temporale.

  • Altro che intruso. [...] Nikolay Davydenko mette paura a tutti con il suo gioco potente, solido, regolare, fatto di anticipi sorprendenti e di assoluto sacrificio. [...] E poco conta che sia bruttino, pelato, piccolo, di scarne parole. O che non abbia il fascino di Federer, la bellezza di Nadal, la possenza di Del Potro. Se c'è da tirare forte, sempre più forte, arrivare su ogni pallina e compiere gesti estremi, Nikolay non si tira mai indietro. E chissenefrega, lo ammette lui stesso, se non è un divo, non solletica i gusti delle ragazzine, non entra nel gossip. L'anti personaggio per antonomasia.[1]
  • [Sulla vittoria di Francesca Schiavone all'Open di Francia 2010 - Singolare femminile] Mai come questa volta l'epica non è fuori luogo perché serve a sublimare un successo tanto legittimo quanto inatteso che entra di diritto nella storia del nostro sport. Lo ricorderemo per sempre. Al momento della premiazione non s'è limitata a baciare la coppa [...], ma l'ha coccolata e cullata, quasi avesse fra le braccia una creatura appena nata. L'ha fatto con tanta dolcezza e tenerezza da commuovere il pubblico, in grandissima parte a suo favore, e far piangere Mary Pierce [...], che ha avuto l'onore di consegnarle il trofeo.[2]
  • Che sia uno scudetto di cartone [...] cominciano a capirlo anche i tifosi dell'Inter. Del genere: vale la pena battersi per un triangolino tricolore che ha causato più dolori che gioie, più polemiche che soddisfazioni? Se Moratti vi rinunciasse, il problema sarebbe risolto. Ma il presidente non sembra di questa opinione perché lo ritiene una sorta di rivalsa rispetto ai torti e ai danni subiti nelle stagioni precedenti: primo fra tutti il celeberrimo rigore negato a Ronaldo per il fallo di Iuliano nella sfida fra Inter e Juventus del 26 aprile 1998.[3]
  • Zeman è una fede. Ma gli atei, calcisticamente parlando, sono in aumento.[4]
  • Flavia Pennetta [...] sarebbe piaciuta a Federico Fellini, il regista della Dolce Vita: sensuale ma anche sentimentale, pragmatica e pur sempre sognatrice: femmina più che donna.[5]
  • [Sul campionato europeo di calcio 1968] [...] la Nazionale, che non aveva partecipato alle due precedenti edizioni, conquistò l'Europeo superando in semifinale la Russia al San Paolo di Napoli con la monetina [...]. I rigori non erano ancora stati inventati. [...] A fine partita l'arbitro tedesco Tschenscher convocò nel suo spogliatoio i capitani Facchetti e Shesternev. «Testa o croce?», chiese ai due. «Testa», rispose per primo Giacinto. Ci vollero due lanci per definire il passaggio alla finale: nel primo la monetina rimase in bilico in una fessura del pavimento, nel secondo diede ragione a Facchetti. «Grazie a San Gennaro», chiosarono i tifosi napoletani rimasti in religioso silenzio sulle gradinate.[6]
  • In una grande manifestazione, la novità dei tiri decisivi dal dischetto debuttò nell'Europeo del 1976 quando la Cecoslovacchia superò per 5-3 la Germania Ovest. Decisiva la sentenza di Panenka che ebbe il coraggio o la follia, forse entrambe, di beffare il portiere Maier con il cucchiaio. O meglio, quello che poi sarebbe stato chiamato cucchiaio.[7]
  • Una cosa è certa. Il calcio è un gioco di squadra che non c'entra niente con i rigori finali. Qui il calcio diventa uno sport individuale, come il tennis, lo sci o la scherma. Un altro sport. Il giocatore che si presenta davanti al dischetto, è solo con se stesso, i suoi tormenti, lo stress a livelli bestiali. Mai come in quei momenti, l'appartenenza a una squadra non è più un valore aggiunto, ma diventa un peso per il timore di tradire una causa comune. Il gruppo [...] non conta più. [...] Ogni rigore fa storia a sé. E quello che batti alla fine dei supplementari non è uguale a quello a partita in corso.[7]

Note

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