Giancarlo Berardi

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Giancarlo Berardi (1992)

Giancarlo Berardi (1949 – vivente), fumettista italiano.

Citazioni di Giancarlo Berardi[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Sono partito recitando in teatro, scrivendo, suonando, cantando, disegnando. All'inizio non sapevo quale sarebbe stata la mia strada, per cui scelsi di coltivare questi talenti diversi, fino a che il destino o qualche avvenimento non fossero intervenuti a indicarmi la via. Così è successo, per una serie di combinazioni. A Genova era difficile inserirsi nell'ambiente del cinema, della televisione o dell'editoria, per cui è stato quasi naturale dedicarmi al fumetto, che potevo realizzare per conto mio, come una cosa "fatta in casa". Quegli interessi giovanili sono poi confluiti nel mio lavoro. Per scrivere dialoghi efficaci bisogna avere un buon orecchio musicale e saperli recitare; la mia passione per il disegno mi permette di eseguire degli schizzi e di valutare i disegni degli altri [...]. Il fumetto è davvero una fusione straordinaria, un piccolo miracolo di sintesi: rimanda al romanzo, al cinema, ma anche al documentario, alla fotografia, alla pittura.[1]
  • Nei miei intenti, Ken doveva essere un testimone del suo e del nostro tempo, l'uno come metafora dell'altro. All'epoca, uscivo dall'esperienza del movimento studentesco del Sessantotto. Ci eravamo battuti per un ideale di giustizia e di[emancipazione, ed eravamo stati sconfitti dal sistema politico-religioso-finanziario tutt'ora vigente. Qualcuno di noi aveva imboccato strade aberranti. Altri, come me, vivevano un senso di delusione e di sconfitta. In quelle circostanze, era impossibile trasformare il pensiero in agito, bisognava ricercare dentro di sé i valori fondanti della dignità e del vivere, che la società non ci offriva. In qualche modo, da protagonisti siamo diventati osservatori del nostro momento storico.[2]
  • Hendrix è stato un rivoluzionario pacifico, che invece di usare i mitra ha usato la chitarra, ottenendo molti più risultati rispetto ai guerrafondai di oggi e di ieri. [...] Era un pugno nello stomaco in grado di tirare fuori i sentimenti più animaleschi, quelli che non osavamo confessare nemmeno a noi stessi. Era un puro, perché era naturale. Era uno tutto sommato anche naïf, veniva dall'ambiente dei neri americani, ma era stato nell'esercito. Aveva già ricevuto molte fregature, ma non aveva perso la sua innocenza. Se ascolti le sue interviste a occhi chiusi, ti sembra di sentir parlare un uomo di sessant'anni, mentre ne aveva meno di ventisette. Aveva sentimenti profondissimi sulla vita, sulla morte, sulle razze e sulla guerra.[3]
  • Ho vissuto la mia infanzia in una famiglia-gineceo, circondato da nonne, mamme, zie, cugine, ecc. Passavo il tempo giocando sotto un grande tavolo, incuriosito dai discorsi delle donne, che non badavano a me. [...] Il mondo muliebre mi ha sempre interessato più di quello maschile. Sin da piccolo ho sviluppato una forte sensibilità femminile, che ha acuito la mia percezione dell'esistenza. È diventata una caratteristica importante anche nella mia attività di narratore, perché, attraverso il meccanismo della mimesi, sono riuscito a empatizzare con le donne e, per quanto possibile, a immedesimarmi nelle loro emozioni.[4]

Le umane vicende di una criminologa: intervista a Giancarlo Berardi

Guglielmo Nigro, lospaziobianco.it, 14 marzo 2013.

  • Il seguito che Julia ha fra le lettrici è dovuto al fatto che, fisicamente e caratterialmente, rappresenta un modello per le giovani donne. La sua preparazione professionale, la solitudine, le difficoltà sentimentali, l'amore per la nonna e per la gatta, la stesura di un diario, il ricorso alla psicanalisi, sono tutte caratteristiche che riflettono la realtà di molte donne e ne agevolano il processo d'identificazione.
  • Quando Julia si è affacciata alla mia mente, mi sono reso conto che [...] mi serviva una forma di scrittura più densa, che rendesse lo sproloquio e il rumore continuo di una città. Poche scene mute, poca azione, ma tanta tensione, anche verbale. Ho scelto una struttura rappresentativa semplice – sei vignette uguali a pagina divise in tre strisce – per permettere al lettore di concentrarsi sulla storia e sulla recitazione dei personaggi, senza perdersi in sterili grafismi.
  • L'idea per una storia è sempre casuale. Di solito cerco un'atmosfera. Certe giornate uggiose, per esempio, mi suscitano pensieri in "tonalità minore". Oppure posso essere colpito da una persona, mentre faccio colazione al bar. Gli esseri umani portano le loro vicende scritte in viso. Basta avere occhi per saperle leggere.

Raccontare a fumetti l'umana avventura

Intervista di Alessandro Olivo, fucinemute.it, 20 marzo 2013.

  • La cultura è l'unico antidoto contro la stupidità dell'uomo. Quello che siamo e che saremo è già scritto da secoli nei libri di storia. Ma gli esseri umani continuano a commettere gli stessi errori, a non imparare dall'esperienza del passato.
  • La giustizia, come la democrazia, è un'utopia che va perseguita senza sosta. Una società ingiusta crea squilibri anche nei singoli. Il problema è che il mondo occidentale ha messo al centro del proprio interesse il denaro, relegando l'uomo e i suoi bisogni più profondi in un ruolo secondario. Ci vengono offerti oggetti di consumo al posto di sentimenti. Solitudine al posto di solidarietà, sesso al posto di amore. Il disagio crea rabbia, la rabbia si sfoga nella violenza. Il singolo operatore della giustizia può fare ben poco. Bisogna affrontare il problema alla fonte. Cominciando da una distribuzione più equa delle risorse del pianeta.
  • Il West è la storia di una conquista, di un travalicamento delle frontiere. Un'epopea di cambiamenti. Per questo ci affascina, perché è la metafora dell'uomo che si guadagna il suo spazio a dispetto della natura ostile e delle avversità.
  • Dai tempi del Gattopardo, il cambio di etichette e di definizioni è solo un escamotage per lasciare tutto com'è. [...] Fumo negli occhi. Una società immobile, ogni tanto, ha bisogno di autoridefinirsi, per fingere un progresso che non c'è.
  • Sergio Bonelli è stato il vero iniziatore della letteratura popolare in Italia. Questo fenomeno, iniziato fin dal Settecento in Inghilterra e in Francia, e industrializzato negli Stati Uniti durante il Novecento, non aveva mai attecchito nel Bel Paese, afflitto dal concetto di "Cultura Alta". Eccezioni straordinarie come Pinocchio non hanno dato l'avvio a un filone vero e proprio. La produzione seriale bonelliana [...] è stata la prima a costruire un corpus coerente, tutto italiano, capace di influenzare la cultura e la coscienza di un popolo.

Un narratore al servizio della storia: intervista a Giancarlo Berardi

Davide Grilli ed Ettore Gabrielli, lospaziobianco.it, 22 giugno 2018.

  • Il mio obiettivo è sempre stato quello di produrre una serie popolare con ambizioni autoriali. [«Quasi da graphic novel potremmo dire, utilizzando un termine ormai di moda.»] Sì, un'apparente contraddizione che caratterizza il mio lavoro. Non scrivo per pochi, e non capisco chi lo fa. Il mio obiettivo è arrivare al grande pubblico, a una platea la più vasta possibile. Uso un linguaggio comprensibile, contrabbandando le cose raffinate tra le righe. Mi piace offrire più livelli di lettura.
  • La gente compra i fumetti perché vuol leggere una bella storia, in cui testi e disegni siano fusi perfettamente. Nessuna delle due parti deve sopraffare l'altra, altrimenti ne risente la scorrevolezza e quindi la qualità. Naturalmente, esistono anche lettori (pochi) che acquistano i fumetti solo per i disegni – di solito a carattere illustrativo – e che non badano più di tanto alla narrazione. Beh, quello non è il mio pubblico.
  • Riferimenti e citazioni sono una strizzatina d'occhio verso quei lettori che sanno di cosa si tratta e uno stimolo per gli altri a informarsi. Un sottotesto arricchente, che non deve inficiare la comprensibilità della storia né penalizzare chi non lo coglie.
  • [Su Julia - Le avventure di una criminologa] Myrna è [...] un personaggio fuori da ogni schema, schietto e crudele come solo una personalità infantile può essere. È la parte oscura di Julia e di ognuno di noi. La parte primordiale e feroce che rimuoviamo per vivere in un consesso civile. Una volta infranto il tabù delle leggi della convivenza, Myrna è libera di dire ciò che vuole e di comportarsi di conseguenza, smascherando e ridicolizzando le ipocrisie che caratterizzano la nostra società. La sua presenza è fondamentale, perché, come diceva Stevenson, è il villain che fa grande un racconto.
  • La messa in scena della violenza dev'essere funzionale alla storia, mai fine a sé stessa. [...] Per far capire l'efferatezza di un delinquente dobbiamo illustrarne le azioni, badando a evitare il compiacimento. In alcune produzioni televisive o cinematografiche, invece [...] c'è un uso della brutalità insistito, volto ad emozionare gli spettatori. Il rischio è di descrivere i criminali come personaggi interessanti, romantici, i cui valori, per un pubblico semplice, possono persino risultare affascinanti. Nella realtà uno di questi signori si chiamava Totò Riina, il quale non riusciva a coniugare un soggetto con un complemento oggetto ma era perfettamente in grado di ordinare stragi orribili e l'uccisione di bambini indifesi. Julia indagherebbe sul suo luogo di nascita, sui genitori, sull'ambiente in cui è cresciuto, su eventuali soprusi subìti: perché chi patisce violenza spesso esercita a sua volta violenza, in una catena infinita. Ecco, queste sono le storie di malavita che mi piace leggere o vedere sullo schermo.

Citazioni non datate[modifica]

  • Amleto è il personaggio shakespeariano che amo di più e che mi sembra riflettere meglio la nostra epoca. Si tratta di uomo tormentato, insicuro, probabilmente depresso, che ha alle spalle una tragica storia familiare e davanti a sé un destino ineluttabile. Mi sembra una straordinaria metafora della condizione in cui vivono molti giovani d'oggi, sempre più schiacciati tra i problemi della famiglia e quelli della società. L'opera di Shakespeare ha le caratteristiche di un "caso" freudiano, pur essendo stata scritta secoli prima della nascita di Freud.[5]
  • La mia generazione è stata cresciuta con una forte differenziazione tra i due sessi: il maschio doveva essere maschio nelle sue caratteristiche esteriori come in quelle interiori. E così la femmina. Un modello culturale che diventava un invito pressante a disfarsi di quella percentuale dell'altro sesso che ogni essere umano si porta dentro. Con gli anni ho capito che era un impoverimento. Quindi ho preso a coltivare la mia parte femminile con grande cura. Oggi la identifico con la sensibilità, con la percezione e con la fantasia creativa.[6]

Il Diario di Julia – rubrica[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • L'intento di Julia, oltre che assicurare i colpevoli alla giustizia, è soprattutto quello di capire – capire, non giustificare – le profonde pulsioni che li hanno spinti ad agire. Insomma, se esistesse la categoria, Julia sarebbe un'indagatrice dell'animo.[7]
  • Ricevo spesso confidenze di studenti e studentesse che dichiarano di aver scelto corsi di psicologia o di criminologia grazie alla lettura di Julia. Il che è stato fonte di soddisfazione ma anche di preoccupazione per me. So bene quanto si sia influenzabili a quell'età. E quanto certe scelte si paghino per tutta la vita. Tuttavia, mi pareva che il nostro personaggio, oltre ad essere uno specchio dei tempi, potesse rappresentare un punto di riferimento positivo per i giovani. Per capirci, niente a che vedere con certi modelli di comportamento diffusi dai media, come le modelle anoressiche, la violenza negli stadi, il mito della competitività, eccetera. Poi una quindicenne mi ha tranquillizzato del tutto. Mi ha scritto che in Julia lei vede una persona che cerca sempre di mettersi sulla lunghezza d'onda degli altri, senza giudicare – come fanno di solito gli adulti – e che nella psicologia e nella criminologia ha individuato gli strumenti per apprendere l'arte di capire meglio la realtà che la circonda e la gente, e quindi se stessa. Capire significa comunicare e comunicare significa probabilmente che questa ragazzina sarà in grado di avere un rapporto migliore con i suoi genitori e con i suoi figli futuri. Mi piace pensare che il mio lavoro possa anche minimamente contribuire a una concezione nuova del mondo, in cui gli uomini riscoprano la fraternità [...].[8]
  • Potrei sedermi su un gradino di Piazza di Spagna e rimanerci mesi senza annoiarmi. Soprattutto la notte, quando il vocìo dei turisti si spegne e la "barcaccia" del Bernini riprende a navigare in un mare di tranquillità. È quello il momento in cui, sbirciando nel buio, si possono scorgere le figure del passato: scrittori, cardinali, poeti e pittori di ogni parte del mondo; e verso le prime ore del mattino, al nascere dell'aurora, una portantina del Settecento da cui discende un uomo alto – vestito di seta e pizzi, con in testa un tricorno – che lascia dietro di sé un profumo dolciastro e ambrato. È Giacomo Casanova, che in quella piazza ha vissuto per mesi, sicuramente al ritorno da qualche avventura galante.[9]
  • Mi è già successo d'incontrare una sosia della Kendall a Roma. Ero intento a firmare autografi, con la giusta dose di vergogna [...], quando vedo accanto a me l'incarnazione vivente della nostra eroina. Stava insieme ad un marcantonio, dotato di cipiglio e di muscoli in quantità, anche nei posti meno deputati. Fingo indifferenza e m'immergo nel mio momento di gloria. A un certo ounto, un dito grosso come come uno zucchno mi picchietta su una spalla. Ahi, penso, qui si mette male: la mia occhiata è stata fraintesa. Mi giro con studiata lentezza e vedo il ragazzone-tutto-muscoli con le guance pervase di rossore, un sorriso timido e gli occhi umidi, che mi fa, indicando la suddetta fanciulla: "Lei si chiama Paola, è la mia ragazza e assomiglia a Julia". Era tanto l'orgoglio che emanava da quel giovanotto, mentre un muscolo gli si contraeva in una narice, che l'avrei abbracciato. Forse anche per il sollievo.[10]
  • Riguardo a Julia, non ho mai pensato di farne un'eroina: gli eroi senza macchia e senza paura mi annoiano. Forse nemmeno un personaggio: troppo letterario. Nella mia mente è nata già come persona: una vicina di casa, o una collega di lavoro, con i suoi limiti e i suoi pregi, che scopriamo giorno per giorno, magari condividendone opinioni e stile di vita. Una donna qualunque, uguale a tante altre. Sufficientemente carina, colta, preparata, con una scala di valori esistenziali positivi. Il genere di protagonista che oggi si trova difficilmente nei fumetti, nella letteratura e nel cinema, dove si privilegiano sempre gli estremi, per impressionare il pubblico. Julia vive e agisce in un ambiente molto realistico, dove il buono e il cattivo si mescolano, alla stregua degli esseri umani, in un magma difficile da decifrare.[11]

Note[modifica]

  1. Da Chiara Cristilli, Intervista a Giancarlo Berardi, MultiMedia Magazine nº 25, 31 marzo 2007.
  2. Dall'intervista Giancarlo Berardi: le origini di Ken Parker, mondadoricomics.it, 26 marzo 2014.
  3. Da Luca Garrò, The Jimi Hendrix Revolution: intervista a Giancarlo Berardi, corrieredellamusica.it, 24 febbraio 2018.
  4. Dall'intervista A Malta un ospite d'eccezione, Giancarlo Berardi, lo sceneggiatore di Julia, corrieredimalta.com, 9 febbraio 2019.
  5. Dall'intervista di Ricardo de Souza a estadao.com.br; citato in Julio Schneider (traduzione), Intervista a Giancarlo Berardi, ubcfumetti.com.
  6. Da Stefano Marzorati, Intervista a Giancarlo Berardi, scanner.it.
  7. Da Il Diario di Julia, in Julia - Le avventure di una criminologa: Gli occhi dell'abisso nº 1, ottobre 1998, p. 4.
  8. Da Il Diario di Julia, in Julia - Le avventure di una criminologa: Ucciderò nº 31, aprile 2001, p. 4.
  9. Da Il Diario di Julia, in Julia - Le avventure di una criminologa: L'uomo ombra nº 32, maggio 2001, p. 4.
  10. Da Il Diario di Julia, in Julia - Le avventure di una criminologa: Tutti gli uomini di Lopez nº 33, giugno 2001, p. 4.
  11. Da Il Diario di Julia, in Julia - Le avventure di una criminologa: Presenze aliene nº 109, ottobre 2007, p. 4.

Voci correlate[modifica]

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