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Giovanni Comisso

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Lapide commemorativa con parole di Eugenio Montale sulla casa di Giovanni Comisso

Giovanni Comisso (1895 – 1969), scrittore italiano.

Citazioni di Giovanni Comisso

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  • Avvertivo che la mia vita precipitava, sapevo che tutto quanto può fare l'uomo è destinato alla rovina, alla dispersione, tranne l'arte. (da La mia casa di campagna, Longanesi, 1968, p. 105)
  • La vita è terribile come la morte. (da Vita nel tempo: lettere, 1905-1968, a cura di Nico Naldini, Longanesi, 1989)
  • [Su Guido Keller] Lo sentivo superiore a me e capace di imprimermi un nuovo senso della vita. Moltissima mia infantilità e moltissima mia tendenza borghese, quasi superate colle mie esperienze di guerra, nella mia giornaliera vicinanza a quest'uomo audacissimo, si staccarono definitivamente da me.[1]
  • Santo Iddio che figliolo addormentato che mi è toccato mettere al mondo. Fossi io nata maschio, non sarei stata certamente qui a guardare il Vesuvio... (da Pompei, ne L'italiano errante per l'Italia, Fratelli Parenti, Firenze, 1937, p. 80)
  • Se gli uomini non avessero la facoltà di sognare sarebbero i più bassi esseri viventi. (da Busta chiusa, Nuova Accademia, 1965, p. 118)
  • Su dalla piazza aperta la massa grigia del Mastio Angioino inquadra il panorama del porto e del Vesuvio lontano. Sullo sfondo celestino del monte s'alza lo stelo rosa del faro e fittiscono gli alberi dei velieri e dei piroscafi. Le pietre del selciato sono dure e ondulate. Mi inoltro nei quartieri popolari dove le vie sono profonde tra caseggiati enormi e corrosi. Sembra di avanzare in una densa boscaglia, dove tra i rami cantino gli uccelli: sono i richiami dei venditori ambulanti. (da L'italiano errante per l'Italia, p. 66)
  • «Trent'anni di scavo.» Credevo parlasse di Pompei, invece si trattava della sua vita. (da Pompei, in Opere, vol. 7, Longanesi, 1965, p. 193)
  • Vidi il sole passare come un'abitudine qualunque sopra le cose sorde e distratte. (da Al vento dell'Adriatico, Edizioni di Treviso, 1953, p. 102)

Le mie stagioni

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  • Alla fine di settembre andai a Milano e mi ritrovai con Arturo Martini che aveva tralasciato di fare lo scultore per dedicarsi alla pittura. [...] Durante questo nostro incontro a Milano ci bisticciammo inutilmente. Avevo visitato il Palazzo di Giustizia di recente costruzione dove ogni aula aveva un affresco di un pittore moderno e l'atrio opere di scultura tra le quali un bassorilievo di Martini. Da tutto l'insieme avevo ricevuto un'impressione disastrosa, indubbiamente giustizia e pittura moderna non andavano d'accordo: l'una comprometteva l'altra. Martini mi chiese se mi era piaciuta la sua opera, gli risposi che mi bastava il particolare del poverello per trovarla stupenda, ma soggiunsi che certe parti come i gagliardetti e la vela non dimostravano una ragione sufficiente di essere scolpiti, formando zone morte e troppo vaste. Mi investì con violenza: non capivo nulla di scultura, non dovevo osare di criticare le sue opere, non voleva sentire parlare di critica, egli era più grande di Michelangiolo perché aveva fatto più statue di lui. Obiettai a qualcuna di queste affermazioni, poi mi ricordai che mi avevano detto si trovava in un periodo fastidioso di inimicizie, di intrighi e di critica sfavorevole che lo avevano amareggiato e smisi. (pp. 440-442)
  • [...] andai a Rimini dov'era de Pisis. Con la guerra era rientrato da Parigi e si era stabilito a Milano. Lo trovai ebro di celebrità, ma come non gli bastasse la rinomanza che gli procurava grandi guadagni, cercava anche quella spicciola della folla e viveva stravagante per farsi notare. Vestiva come un imbianchino e portava un pappagallo sulla spalla. Però mi riusciva sempre caro per tante sue ingenuità di fanciullo e per la sua arte che quando era a fuoco era sempre bella. Aveva affittato un lurido magazzino, alle pareti vi aveva appeso ali di gabbiani, foglie secche, suoi disegni di nudo, in un angolo per terra un materasso coperto da un gondurà di vecchia data, sedie sgangherate attorno alla tavola per il tè. E quando lo offriva vi si trovavano le persone più diverse, simili alle chicchere dispaiate nelle quali si beveva. Egli parlava di continuo, soprattutto di se stesso, dei suoi quadri e tutt'al più del suo pappagallo. (pp. 453-454)
  • Durante l'estate andai ancora per qualche tempo a Rimini dove si trovava de Pisis e il fuggitivo andò al lago di Varese a fare un corso di preparazione per marinai. De Pisis aveva il suo studio nel solito magazzino, facevamo gite in bicicletta, poi mi portava a mangiare in luride bettole dove ci servivano pesce marcio che egli sosteneva essere buonissimo. Pochi artisti convincono come de Pisis che la propria vita non à rapporto con la propria arte. Egli viveva mediocremente e faceva opere splendide. Sarei quasi per convincermi che neanche l'intelligenza di un artista è legata alla sua opera e che questa sorga invero per ispirazione soffiata dal di fuori. (pp. 462-463)

Incipit di alcune opere

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Gente di mare

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Si arriva per prati d'acqua, dopo avere rasentato paesi costruiti come scene di teatro di altri tempi e panorami di alberi con terreni erbosi di un verde prepotente sul precipizio azzurro del mare.

Giorni di guerra

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Verso la fine del 1914 mi trovavo in campagna a Onigo di Piave, ospite d'un vecchio amico della mia famiglia. Una sera, di ritorno dai colli, trovai un telegramma per me: era mio padre che mi richiamava a Treviso, per raggiungere il reggimento a cui ero stato destinato. Partii quella sera stessa.

Gioventù che muore

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Adele si mise gli sci e cominciò a discendere per la pista che si svolgeva dolce fuori dall'albergo, sul pendio della collina.
Era felice di sentirsi portare senza fatica, dopo un anno che non si ritrovava tra quella stessa neve, sull'altipiano di Asiago. Quando la pista si fece piana, si fermò per asciugarsi con il dorso del guanto le lagrime eccitate dal vento e guardò attorno l'ondulato biancheggiare dei declivi dove scegliere una direzione.

Citazioni su Giovanni Comisso

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  • Una volta che d'attorno al Caramelli eravamo in pochi, egli fece i nomi di altre due persone di fama che [...] avevano avuto entrambe la chiamata di entrare in religione: Giannotto Bastianelli e Giovanni Comisso. Del Comisso [...] manifestai il dubbio che si fosse incorsi in errore d'interpretazione a un fantasioso suo discorso. Rispose il Caramelli che per convincermene gli tenessi dietro. Andammo così assieme fino in una stanza interna del convento. [...] dopo di che andò sicuro a prendere un inserto, dal quale scelse una lettera che mi mise in mano. Era la lettera autografa del giovane Comisso, da valere di domanda per essere accolto fra i novizi. (Nicola Lisi)

Bibliografia

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  • Giovanni Comisso, Giorni di guerra, Longanesi, Milano, 1961.
  • Giovanni Comisso, Gioventù che muore, Gherardo Casini Editore, Roma, 1965.
  • Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Longanesi, Milano, 1985. ISBN 88-304-0580-9
  • Giovanni Comisso, Gente di mare, Longanesi, Milano, 1988.

Note

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  1. Citato in Francesca D'Aloja, L'audace vita di Guido Keller, il pilota più pazzo del mondo, Il Foglio Quotidiano, 22 aprile 2023.

Altri progetti

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