Giovanni IV d'Etiopia

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Ritratto di Giovanni IV

Giovanni IV (1837 – 1889), negus d'Etiopia.

Citazioni di Giovanni IV d'Etiopia[modifica]

  • Figliuoli, se non volete morir di sete andatevi a cercar l'acqua oltre la linea nemica. (dichiarazione durante la battaglia di Gura, marzo 1876)[1]
  • Gli Egiziani hanno invaso il mio Stato senza mandarmi una intimazione di guerra, io quindi ho il diritto di trattarli non come un esercito nemico che mi muove incontro, ma come una banda di briganti che venne ad assalirmi a tradimento: li respingo dunque, ma non degno continunare la lotta con loro; solo, ora che le ostilità sono aperte, mi riservo di attaccarli quando a me piacerà, senza necessità di mandare intimazioni e senza tema di mancare per questo alle regole della cavalleria e della guerra fra gente civile. (dichiarazione dopo la battaglia di Gura, marzo 1876)[2]
  • Le mie terre sono le terre del Signore, ed io non posso chiuderle che ai cattivi; gli Italiani sono buoni ed io desidero di vederli. (lettera a Teresa Naretti, moglie di Giacomo Naretti, dicembre 1878)[3]
  • Io non sono il padrone di questo paese, che appartiene a Dio, e solo mi è concesso di governarlo: tutta la gente buona è quindi libera di entrarvi. Ho avuti molti altri bianchi, ma ho dovuto persuadermi che fanno molte promesse e mantengono poco, per finire poi ad immischiarsi negli affari religiosi, ciò che io non tollero, perché stimo buona la religione del mio popolo e non voglio che la cambii. (24 febbraio, 1879)[4]
  • Il Vangelo è uno, Dio è uno, la fede è una; io ho chiese, io ho vescovi, io ho preti, e questi sanno benissimo isnegnare da loro il Vangelo al mio popolo. (22 maggio, 1879)[5]
  • Io accetto volontieri negozianti, viaggiatori, lavoranti in tappeti, in sete, in armi, operai che lavorano il legno, ma non gente che vuole immischiarsi nella religione del mio popolo... (22 maggio, 1879)[5]
  • Per quello che riguarda gli affari con gl'Italiani, il loro inganno e la loro malafede non cessano mai. Prima vennero da me per chiedermi la via di Harrò e volevano impossessarsi dell'Aussa dicendomi che così avremmo potuto fare una buona strada pel commercio. Io non aderii né a questa né a molte altre proposte che mi fecero e li feci ripartire senza dare ascolto alle loro parole. Disgustati pel modo col quale li avevo licenziati, per vendetta hanno occupato Massaua e tutti i luoghi che avevano preso gli Egiziani. (lettera a Menelik, 8 ottobre 1885)[6]
  • Gli italiani non sono venuti da queste parti perché nel loro paese manchi il pascolo e il grasso, ma vengono qui per ambizione, per ingrandirsi, perché sono troppi e non sono ricchi. Con l'aiuto di Dio, ripartiranno umiliati e scontenti e con l'onore perduto davanti a tutto il mondo. [...] Come Adamo volle gustare il pomo proibito per l'orgoglio di diventare più grande di Dio e invece non trovò che il castigo ed il disonore, così accadrà agli italiani. (lettera a Menelik, 8 ottobre 1885)[6]

Attribuite[modifica]

  • [Rivolto a missionari protestanti svedesi] Come? Per venire sino a qui siete passati a traverso paesi musulmani e non vi ci siete fermati? Non avete neppur tentato di convertire i seguaci di Maometto e venite a infastidire i devoti di Cristo? Quello il campo vostro: qui non c'è bisogno di voi.[7]
  • Un piccolo albero facilmente piegasi all'infuriare dei venti; ma un grosso baobab rimane ritto e fermo come una roccia.[8]

Citazioni su Giovanni IV d'Etiopia[modifica]

  • Dopo aver conquistato il trono, Giovanni si atteggiava a mistico, a uomo di fede, si dava arie da sovrano che non scialacquava in spese inutili e pensava soprattutto all'anima sua e dei suoi sudditi. (Domenico Quirico)

Pellegrino Matteucci[modifica]

  • Re Giovanni è dotato d'ingegno penetrante, ed afferra le questioni più gravi con molta facilità: di animo mite, non fa uso della sua autorità sulla vita, che in casi gravissimi; e quando è costretto ad applicare con severità la giustizia, vive ritirato e melanconico per molti giorni.
  • Re Giovanni è l'unico abissino degno di essere il re di quel vasto impero; tra lui ed i suoi ministri vi è una differenza enorme di idee, di sentimenti, di cuore, e di mente: se re Giovanni non abbraccia, con quell'entusiasmo che possiede, i frutti della civiltà, ha le sue buone ragioni.
  • Re Giovanni è uomo di circa 40 anni: non bello, ma simpatico; patito assai, dimostra di essere più vecchio di quello che è. A prima vista si leggono sul suo volto tratti che dinotano una vita burrascosa, passata in mezzo alle congiure ed alle lotte, vita di disagi e di fatiche menata sui campi di battaglia. Dall'occhio suo mobile assai, dal suo sguardo rapido e fugace, senza essere scintillante, lo si direbbe ammalato anche moralmente, ed in preda a pensieri che vorrebbe scacciare; le sue labbra piuttosto sottili non si atteggiano mai ad un sorriso.
  • Re Giovanni [...] ha molti diritti alla riconoscenza del popolo, ha date troppe prove di valore e di severità perché tutti dinanzi a lui non debbano trepidare; egli forse non ha a temere per il presente, ma prima di essere Imperatore è padre di un giovane figlio, ed ha ragione di guardare con sfiducia l'avvenire che attende il figlio nel dì della successione, quando esso discenderà nella tomba; una guerra civile, egli la prevede e la presente.
  • Re Giovanni raggiunse lo splendore del trono più che per diritti dinastici, per imprese guerresche ben riuscite.
  • Il re Giovanni non vede di buon occhio la influenza degli arabi nei suoi Stati, e senza un particolare permesso è inibito ad essi il passaggio dei confini.

Giuseppe Vigoni[modifica]

  • Certo non può avere gran istruzione, non conoscendo altre lingue che la sua e non avendo mai messo piede fuori dai confini dei suoi Stati, ma ha un fondo di serietà, di onestà, di delicatezza di sentimenti, una finezza di intuizione, una dose di ingegno naturale, come è raro assai di trovare fra i suoi. V'ha chi nasce col genio della musica, chi con quello delle matematiche, che con quello della letteratura, e Giovanni Kassa, bisogna pur dirlo, nacque col genio d'esser re d'Etiopia, e da piccolo principe seppe infatti diventarlo, sa reggersi bene sul trono ed è certo fra tutti gli Abissinesi quello che più lo merita.
  • Il gran merito che in generale si fa a re Giovanni è quello della serietà, del non essere crudele, e dell'imparzialità, avendo dato prova che quando un castigo è meritato non usa riguardo né ad amici né a parenti: sono qualità che non dovrebbero essere meriti in nessuno queste, ma fra un popolo come l'abissino, fresco ancora delle memorie di Teodoro e delle più vecchie tradizioni, è permesso che se ne faccia gran conto.
  • Vorrebbe avere un porto sul Mar Rosso per rendere libero il suo commercio di esportazione e di importazione dalle tasse e dagli abusi delle dogane egiziane che proibiscono l'introduzione di quello che agli Abissinesi maggiormente accomoderebbe, le armi e le munizioni, ma non credo vanti, almeno per ora, pretese su Massaua, e si accontenterebbe forse di una baia qualunque che l'Egitto gli cedesse. Ottenuto questo, credo che re Giovanni cercherebbe di favorire la civiltà nel suo paese, facendo però sempre in modo che questa si infiltri poco a poco per non urtare d'un tratto le idee del suo popolo che in complesso non vi è troppo favorevole, perché non crede averne bisogno, e perché istigato dai preti a non lasciarla penetrare.

Note[modifica]

  1. Citato in Giuseppe Vigoni, Abissinia, giornale di un viaggio, Ulrico Hoepli, 1881, p. 109
  2. Citato in Giuseppe Vigoni, Abissinia, giornale di un viaggio, Ulrico Hoepli, 1881, p. 110
  3. Citato in Pellegrino Matteucci, In Abissinia. Viaggio di Pellegrino Matteucci, Fratelli Treves Editori, Milano, 1880, p. 77
  4. Citato in Giuseppe Vigoni, Abissinia, giornale di un viaggio, Ulrico Hoepli, 1881, p. 80
  5. a b Citato in Giuseppe Vigoni, Abissinia, giornale di un viaggio, Ulrico Hoepli, 1881, p. 185
  6. a b Citato in Francesco Crispi e Tommaso Palamenghi-Crispi, La prima guerra d'Africa: Documenti e memorie, Fratelli Treves, 1914, pp. 11-12
  7. Citato in Ferdinando Martini, Nell'Affrica italiana, Fratelli Treves editore, 1895, p. 134
  8. Citato in Guglielmo Massaia, I miei trentacinque anni di missione nell'Alta Etiopia, vol. undecimo, Società Tipografica A. Manuzio, Roma, 1930, p. 47.

Voci correlate[modifica]

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