Giulio Carotti

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Giulio Carotti (1852 – 1922), storico dell'arte italiano.

Citazioni di Giulio Carotti[modifica]

  • Entrando [...] nell'interno della Chiesa di Santa Maria presso S. Satiro, si prova una impressione diversa e stranissima; par di scendere nell'interno di un poderoso monumento, il quale stia affondandosi. Tale è l'effetto che danno le maschie proporzioni dei pilastri e l'ampiezza della volta, in seguito agli inesperti provvedimenti adottatisi nei tempi nostri nello riordino di questa chiesa, attorno alla quale per l'azione dei secoli il suolo della città è venuto rialzandosi.
    E siccome tutt'attorno son pur venute accerchiandola case di abitazione (alcune, le più moderne, assai alte), così le tre navate interne si trovano immerse nella penombra e cresce l'effetto cavernoso che contrasta colla gran luce che risplende sotto la cupola e nella navata trasversale.[1]

Artisti contemporanei: Giuseppe Bertini[modifica]

  • L'artista è il riflesso dell'ambiente e della società del tempo suo e non si può comporre un'opera storica sopra un periodo, una fase di una nazione, di un popolo, senza tener conto degli artisti e delle opere d'arte che vi si collegano. Ma vi sono anche degli artisti che da soli ci possono ridestare in un attimo tutta la figura, l'essenza, lo spirito, i dolori o le gioie, gli aneliti o gli entusiasmi, di un momento storico.
    Chi più di Giuseppe Bertini ridesta in noi l'esultanza, la gioia, il brio, la contentezza generale degli animi nel 1859 e nel 1860?[2] (p. 163)
  • Fu in Roma che il Bertini si trasformò completamente. Delle opere classiche e di quelle dell'alto rinascimento subì l'ascendente? Delle prime non pare; delle seconde certamente, ma solo nel senso della idealità elegante e dello splendore decorativo, verso cui lo spingeva la propria indole, non già quanto alla forma ed al tipo delle figure. Il nostro giovane artista ebbe la fortunata, la felice ispirazione di contentarsi di ammirare e di osservare profondamente i capolavori della città eterna, senza copiarli, senza imitarli, né prenderli a modello, a scopo finale dell'arte. Egli ebbe inoltre la ventura di trovare là gli amici Pagliano, Luigi e Ferdinando Galli, dei quali seguì lo stesso indirizzo: ebbe la fortuna di guardarsi attorno, di subire il fascino della gran luce, della natura maestosa e di splendida colorazione di Roma e della campagna romana. È là che egli si trasformò, o meglio è là che si formò, che acquistò la propria originalità, che divenne Giuseppe Bertini. (p. 170)
  • Giuseppe Bertini, esteta nel senso completo della parola, rifuggiva da tutto ciò che sia duro, doloroso, aspro, come da tutto ciò che sia volgare: la sua creazione del Transito di San Giuseppe è, come la sua Madonna col Bambino [...] una visione profusa di poesia elegiaca. (p. 180)

Corso elementare di storia dell'arte[modifica]

  • L'Afrodite che stava per scendere nel mare, ch'egli [Prassitele] aveva scolpita per il santuario di Cnido, era opera così splendida che più tardi Nicomede re di Bitinia, pur di possederla, aveva offerto agli abitanti di Cnido l'abbandono del suo credito di Stato, ed era cosi celebre che da lontani paesi si accorreva per contemplarla. Pare che i sacerdoti del santuario non ne abbiam mai lasciato prendere il calco cosicché le copie che se ne posseggono non ne danno che un'idea approssimativa [...]. (vol. I, p. p. 186)
  • La celebre Venere di Milo del museo del Louvre [...] rispecchia lo stile di Scopa, illuminato dal sorriso della grazia di Prassitele. E' scolpita nel marmo pario, di cui il tempo ha accresciuto l'intonazione calda roseo-dorata, che le conferisce un effetto ancor più armonico ed affascinante. (vol. I, p. 188)
  • Le discussioni sul tempo approssimativo in cui [la Venere di Milo] fu eseguita, sul suo atteggiamento, sull'azione che l'artista le aveva dato (ha le braccia spezzate) e sul problema se fosse isolata o raggruppata con altra figura, agitano tuttora gli studiosi. Comunque, essa è è un'opera insuperabile, di una bellezza plastica maravigliosa, di uno stile largo, poderoso ed ideale ad un tempo, di una grazia severa e pur anche soave, di espressione divina e altresì di intensa vibrazione di vita; è la più bella statua greca che si conosca, il che vuol dire la più bella statua del mondo! (vol. I, pp. 188-189)
  • Il gruppo del Laocoonte al Belvedere in Vaticano è certamente l'opera più celebre di quella scuola ed una dell'ultime grandi creazioni dell'arte greca. [...]. L'arte della scultura, in possesso della scienza perfetta dell'organismo umano, della sua anatomia, dei suoi movimenti, non che della potenza di espressione dei moti dell'animo, ed in possesso altresì di tutte le risorse della plastica e di una prodigiosa abilità, in questa creazione, che è pur di un cosi evidente effetto pittorico, ha portato al suo ultimo grado lo svolgimento dello stile drammatico della scuola di Pergamo. In modo sensazionale e terribile ha saputo riprodurre tanto il dolore fisico e la reazione di tutto il corpo, quanto la profonda angoscia ed il più intenso dolore morale di un padre, che, non solo lotta lui stesso disperatamente contro la morte, ma deve assistere impotente alla morte dei figli, uno dei quali già sta per soccombere e l'altro invano invoca da lui aiuto. Sotto questo aspetto è il più alto grado di potenza che abbia potuto raggiungere la scultura e certo anche il massimo limite ammissibile. (vol. I, pp. 216-217)
  • Le antiche religioni orientali escludevano il popolo dal tempio, quelle dell'epoca classica lo ammettevano ad assistere alle funzioni del culto, le quali però si compivano all'esterno del tempio stesso, dinanzi alla porta spalancata della cella.
    La religione cristiana invece svolgeva le sue funzioni nell'interno dell'edificio e vi ammetteva tutti senza distinzione di classi sociali. Ora, in una città come Roma, ove i Cristiani erano per così dire innumerevoli, occorreva un tablino[3] o sala di grande vastità, in cui vi fosse posto per tutti e tutti potessero vedere e sentire: ed il modello più adatto fu, salvo le opportune modificazioni ed aggiunte, il tipo di edificio in uso per borsa e tribunale, la basilica profana e Basilica fu per lo appunto denominata la chiesa cristiana. (vol. II, p. 74)
  • [...] Santa Sofia di Costantinopoli non è soltanto il risultato, il trionfo della evoluzione e dello svolgimento della nuova architettura dei Bizantini, ma è altresì: quanto alla cupola, uno svolgimento della creazione dell'arte antica orientale, svolta dall'arte ellenistica e dalla romana; quanto ai pennacchi sferici, uno svolgimento della creazione dell'arte sassanide; e, quanto alle aggiunte delle parti laterali al quadrato e delle absidi, l'applicazione dei principii fondamentali dei Romani in fatto di organismo complesso e di equilibrio statico. Difatti l'equilibrio del gran corpo centrale a cupola, ottenuto mediante la controspinta delle altre parti circostanti della costruzione, e la sapiente distribuzione delle stesse varie parti dell'edificio sono ancora elementi caratteristici della architettura romana. (vol. II, p. 74)

Note[modifica]

  1. Da Le opere di Leonardo, Bramante e Raffaello, Ulrico Hoepli, Milano, 1905, pp. 103-104.
  2. Sono gli anni della seconda guerra d'indipendenza e dell'impresa dei Mille.
  3. Ambiente principale dell'antica casa romana.

Bibliografia[modifica]

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