Giulio Cattivelli
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Giulio Cattivelli (1919 – 1997), critico cinematografico e giornalista italiano.
Citazioni di Giulio Cattivelli
[modifica]- [Su Una questione d'onore] Se c'era una situazione che mal si prestava alla satira epidermica e alla facile irrisione era quella di certi chiusi lembi pastorali della Sardegna [...] da parte di un film con propositi civili [...]. È vero che il discorso di fondo di Zampa [...] si nutre di succhi giustificatamente acri e resta validissimo in linea di principio, ma in pratica esso suona stonato per due ragioni: il suo tradursi in grossolana speculazione farsesca [...] e il suo riferirsi a un contesto ambientale che corrisponde alla realtà [...] soltanto in maniera parziale e sporadica, non certo tale [...] da costituire una regola di comportamento generalizzata e tipica della gente sarda.[1]
- Sono abbastanza numerosi i film americani in cui si riecheggia il problema razziale (da La parete di fango a Lo specchio della vita); ma quasi sempre la sua impostazione è superficiale e deludente, quando non addirittura controproducente per le conclusioni retrive o volgarmente melodrammatiche. Finché tali delusioni ci provengono da opere che portano l'etichetta di grandi case hollywoodiane di cui sono ben note le pastoie conformiste – che, la cosa è in fondo spiegabile – diventa invece decisamente grave e imperdonabile nello specialissimo caso di produzioni indipendenti in cui abbia più o meno diretta responsabilità proprio il cantante e attore negro Harry Belafonte, il quale per la seconda volta consecutiva (la prima fu La fine del mondo) ha dato alla sua polemica antirazzistica un'esemplificazione grossolana e inaccettabile, arrivando praticamente a rovinare un film – Strategia di una rapina – non privo di meriti d'altro genere.[2]
Bulli, pupe e attori della nuova generazione
Cinema Nuovo, 1° marzo 1957; citato in Guido Aristarco, Il mito dell'attore, Edizioni Dedalo, Bari, 1983, pp. 79-85. ISBN 978-88-220-5015-1
- Greer Garson raccolse l'eredità di Myrna Loy e i consensi dei benpensanti diffondendo intorno a sé un'aria di signorile perbenismo; Veronica Lake uscì dalla bottiglia di René Clair come un curioso folletto; ma il suo successo non andò oltre la fugace moda di una pettinatura; Anne Baxter celò dietro il faccino ipocrita insospettate riserve di veleno, June Allyson tediò perfino le sedie con la sua querula petulanza di mogliettina assennata, Lizabeth Scott illuminò con la sua sfingea e leonina criniera la caligine di molte fosche vicende; Jeanne Craine e Janet Leigh ebbero il loro quarto d'ora di popolarità, ma rischiarono sempre di essere scambiate dagli spettatori distratti per quel tanto di scialbo che le accompagnava e le confondeva.
- L'elenco, si capisce, è appena esemplificativo: potremmo allungarlo con i nomi di Linda Darnell, sensuale bellezza di stampo meridionale, di Jan Sterling, ennesima variante di «bionda da bassifondi» volgare ma espressiva; di Zsa Zsa Gabor, anacronistico concentrato di reminiscenze mitteleuropee; di Jane Powell, graziosa canterina dall'aria tenacemente minorenne; di Ruth Roman, dotata di uno «charme» abbastanza aggressivo non disgiunto al caso da una sottile carica di perfidia [...].
- Nel caso di Jennifer Jones, si può ormai dire che le ambizioni erano sproporzionate alla stoffa. A lungo in bilico fra erotismo crudo e sentimentalismo sciroppato, ha praticamente concluso la sua carriera sul binario morto di Stazione Termini. Oggi le si può senz'altro anteporre Susan Hayward, attrice di indiscutibile temperamento, che ha saputo dar vita a un personaggio di donna moderna, usa a gettarsi nella mischia e a pagar di persona, abbastanza emblematico degli smarrimenti di un periodo di crisi. Meno precocemente logorata della Hayward, Eleanor Parker potrebbe ancora darci la piena riconferma di un talento finora un po' sacrificato in ruoli pietistici di vittima della società (Prima colpa), dei pregiudizi coniugali (Pietà per i giusti) o semplicemente di infermità fisiche (L'uomo dal braccio d'oro).
- Attrici «maledette», cioè commercialmente mortificate dai produttori per diverse ragioni, eppure fra le meglio dotate dell'ultimo decennio sono l'intelligente e antidivistica Dorothy Mc Guire (Un albero cresce a Brooklyn, Barriera invisibile), la felina, perversa, e sottilmente provocante Gloria Grahame (Il grande caldo) e la bistrattatissima Shelley Winters; tutte donne che non hanno paura di imbruttirsi, fisicamente e moralmente, in parti sgradevoli che rappresentano personalità troppo singolari e insofferenti dell'ipocrita «standard» hollywoodiano per avere fortuna. A questa pattuglia dell'anticonformismo divistico può aggregarsi la veterana Ida Lupino, [...] la soave, grigia e rassegnata Betsy Blair [...] nonché, in una posizione di privilegio, Judy Holliday, l'unica che abbia saputo concretare l'evoluzione polemica della donna americana in un personaggio originale e stabile, spiritoso e anche commercialmente fortunato finora immune da deviazioni o compromessi.
- Altri nomi più o meno famosi andrebbero ricordati magari alla rinfusa: le oriunde britanniche Jean Simmons (eclettica di lusso, da Amleto a Bulli e Pupe) e Deborah Kerr, «lady» sensitiva e malinconica; la fulva irlandese Maureen O'Hara, che soltanto John Ford (Un uomo tranquillo) ha saputo redimere dalla mediocrità [...].
Note
[modifica]- ↑ Da Cinema Nuovo, n. 181, giugno 1966; citato in Una questione d'onore, cinematografo.it.
- ↑ Da Cinema Nuovo, 1959; citato in Strategia di una rapina - Rassegna stampa, mymovies.it.
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