Guglielmo Pepe

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Un'illustrazione di Guglielmo Pepe del 1855

Guglielmo Pepe (1783 – 1855), patriota e generale italiano nell'esercito del Regno delle Due Sicilie.

Citazioni di Guglielmo Pepe[modifica]

  • [Rispondendo a coloro che lo sollecitavano a chiedere al re Ferdinando II il permesso di rimpatriare] Conosco abbastanza i Borboni e con essi è irreconciliabile la libertà, ed io senza la libertà nel mio paese non ritornerei giammai, e cospirerò sempre per restaurarla.[1]
  • Non crediate che io parta pieno di dolci illusioni; parto rimembrando piuttosto quell'ateniese in Maratona, che prefisse di impedire la fuga di un legno nemico dal vicino lido. Gli venne troncato il braccio sinistro; e perduto anche questo, si aiutò coi denti finché troncata ebbe la testa.[2]
  • Siamo caduti nel fango, siamo il ludibrio del genere umano senza meritarlo, ma tutto con rassegnazione soffrir dobbiamo. L'avversa fortuna anche è instabile come la buona, e in due tre mesi i napoletani potrebbero scancellare e lavare molte macchie di lunga data.[3]

Citazioni su Guglielmo Pepe[modifica]

  • Il generale Pepe ha portato qui un gran numero di documenti importanti; e quel che più conta ci ha portato sé stesso, e dalla sua conversazione può aversi la chiave della rivoluzione napoletana. (Ugo Foscolo)
  • Uomo di tre rivoluzioni, quando tu l'incontravi, quante rimembranze! Portavasi appresso le ombre di Pagano e di Cirillo; e di Ettore Rossaroll e di Giuseppe ed Alessandro Poerio: vedevi in lui tutta la nostra storia. Ohimé! E questa storia non è ancora finita. L'uomo della Maddalena, l'uomo di Monforte, l'uomo di Venezia ha vissuto indarno settantadue anni; ha veduto il Piemonte, ma non ha veduto ancora l'Italia. (Francesco De Sanctis)

Note[modifica]

  1. Da Niccola Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, quinta edizione, Alfredo Guida editore, Napoli, 1908, Libro secondo, parte prima, cap. I, p. 8.
  2. Da una lettera a Ugo Foscolo, Lisbona, 4 maggio 1823; citato in Elena Croce, La patria napoletana, Mondadori.
  3. Da una lettera a Raffaele Poerio; citato in Elena Croce, La patria napoletana, Mondadori.

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