Pontormo
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Jacopo Carrucci, conosciuto come Jacopo da Pontormo, o semplicemente come il Pontormo, (1494 – 1557), pittore italiano.
Adì 7 in domenica sera di gennaio 1554 caddi e percossi la spalla e 'l braccio e stetti male e stetti in casa Bronzino sei dì; poi me ne tornai a casa e stetti male insino a carnovale che fu adì 6 di febraio 1554.
Adì 11 marzo 1554 in domenica mattina desinai con Bronzino pollo e vitella e sentiimi bene.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Citazioni su Pontormo
[modifica]- Artista ingegnoso, disinvolto disegnatore, che per larghezza e facilità di mano non è secondo a nessuno. (Gustavo Frizzoni)
- La borana (o borrana o borragine) appare più di una volta nel menu del Pontormo: cotta (in poca acqua), in insalata, c'è perfino un'insalata di fiori di borana, che sono bellissimi, rosa e azzurri sulla stessa pianta. (Aldo Buzzi)
- Mentre il Bronzino tiene qualcosa del freddo, del determinato e del finamente aristocratico, il Pontormo invece, come scolaro di Andrea del Sarto, è più molle e più sfumato, e nel suo modo di concepire manifesta in genere una natura prettamente borghese. (Gustavo Frizzoni)
- Tra le testimonianze di vite d'artisti, il diario di Jacopo Carucci detto il Pontormo è singolarissimo (Emilio Cecchi, prefazione al Diario, edizione del 1956)
- A sessant'anni, nel 1554, Pontormo si sentì addosso il cielo degli anni. Sensibile alle inclemenze della stagione fredda, agli stemperamenti, agli estremi ardori, alle lune cattive; alle secrezioni, al fegato, allo stomaco: Si scoprì in lite con il proprio corpo, candidato alle commorienze. Era arrivato alle "giornate" segnate dalla letteratura sulla vecchiaia, mentre gli servivano forze per le "giornate" ultime e per la "gloria" dell'affresco nel coro di San Lorenzo. Sessanta: gli anni della strategia preventiva e del regime dietetico; dell'autosorveglianza istigata dalla letteratura e dalla cultura della sobrietà.
- Pontormo abitava un "casamento da uomo fantastico e solitario". Nel quale uccellescamente si chiudeva. In alto. In una torre impraticabile, che solo una scala di legno metteva in comunicazione con il mondo. E che il più delle volte al mondo negava accesso. Dentro questo nido d'aquila, Pontormo lavorava. Ma stava anche acquattato. Vi ruminava il mondo, e vi faceva ragioniera computazione delle quotidiane spicciolature. Né disattendeva a un faticoso colloquio con le voci e i suoni che salivano dalla strada: dalla porta da basso. Li recensiva, anzi. E li interrogava: "domenica fu pichiato...: non so quello che volessino". Era un'interrogazione all'interrogazione degli amici. Alla loro congiura. Al loro complotto affettivo. Lui era invisibile ascoltatore. Un collezionista di rumori: di picchi e cigolii. E di voci, delle quali certificava la qualità interrogativa in un breviarietto segreto: accanto ai raschi di gola, all'iroso gorgoglio della bile agitata e al rugghio delle viscere digiune.
- Si apra il giornale di Jacopo da Pontormo, maestro del Bronzino, alle date 19 gennaio e 15 marzo 1556: "La mattina di san Piero e la sera al tardi Bronzino e Attaviano passorno, e fu aperto loro l'uscio dal fattore, senza fermarsi: solo disse "ch'è di Jacopo?". Poi in su le hore Attaviano venne a pichiare domandando di me, dicendo che l'Alessandra mi voleva, dice el fattore"; "domenica, fu pichiato da Bronzino e poi el dì da Daniello: non so quello che si volessino". "Picchiarono." Ma il maestro, in allerta, non rispose; o si fece negare dal fattore.