Aldo Buzzi

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Aldo Buzzi nel 1949

Aldo Buzzi (1910 – 2009), scrittore, sceneggiatore, regista e architetto italiano.

Citazioni di Aldo Buzzi[modifica]

  • Sì, dovrei dire, eh già, ho fatto una buona passeggiata..., ma non ho visto niente. La strada è accidentata e piena di sassi, devo continuamente guardare dove metto i piedi per non inciampare e prendere una storta. Mentre guardo le mie scarpe comincio a pensare, e così, «di pensier in pensier, di monte in monte» come dice il Poeta, oppure, come dice Lope de Vega, «di coniglio in coniglio»[1] arrivo senza accorgermene al termine della passeggiata, avendo visto solo qualche lucertola che mi attraversava la strada, arrivo, cioè, davanti al bancone del bar dove già preparano un caffè espresso, con panna per gentile concessione dei proprietari, ringraziando Iddio (se c'è) per essere rientrato anche questa volta sano e salvo.[2]
  • Chandler diceva che dopo i sessanta un uomo non dovrebbe più preoccuparsi di sciocchezze. Aveva ragione. Io vorrei vivere in una piccola città di mare, col mare in fondo alla strada. La mattina, verso mezzogiorno, scendere al bar a prendere un buon caffè con panna. Un bar con la barra, la barra da cui prende il nome, su cui appoggiare il piede; che nei nuovi bar, per ignoranza, mettono sempre meno. A cena, per cominciare, un brodo ristretto, come re Nasone di Napoli, con la tempesta. C'è anche la tempestina, più piccola, ma non va bene. Tempesta, in lombardo, vuol dire grandine. È la forma della pasta, e influisce sul suo sapore. I bucatini hanno un sapore diverso dagli spaghetti, i rigatoni... Sto divagando.[3]
  • «I capelli sono eterni» dice il barbiere. «Dopo che siamo morti continuano a crescere. Guardi le mummie». «Parliamo d'altro» dissi. Ricordavo improvvisamente quando ero allievo ufficiale, tanti anni fa, tagliatelle al burro e tartufi neri grattugiati, la domenica naturalmente, in libera uscita, su all'albergo Italia, nella città alta, dopo la messa in caserma, obbligatoria per tutti, anche i non credenti.[4]

L'uovo alla kok[modifica]

Incipit[modifica]

Sopa de lima. Era una bella giornata di primavera, il cielo, come dice Ferravilla, era del colore della cartasciuga. Faceva caldo, sembrava di essere laggiù... a Merida, nello Yucatan (Messico). Traversai il patio dell'albergo; in mezzo al prato c'era un pozzo finto con appollaiati sopra in permanenza due grandi pappagalli, a troppi colori. Nella strada abbagliante di sole, con le ombre nere e corte del mezzogiorno, fermai una carrozzella strettissima (esisteva solo di profilo) e mi feci portare ai Dos Tulipancitos, il ristorante migliore, specialità: la sopa de lima, la zuppa di lima, squisita, leggera, bella da vedere e, benché calda, perfetta anche col calore dei tropici. La lima è un limoncino tropicale, perfettamente rotondo e grande come una pallina da golf, color verde-rana, sugoso, di sapore diverso da quello del limone.

Citazioni[modifica]

  • Con le lime si fa il daiquiri, che fatto con il limone è un daquiri fasullo. (da Sopa de lima, p. 16)
  • Come aperitivo ho preparato un daiquiri: un bicchierino di ron (rum) Bacardi carta blanca, il sugo di mezza lima e mezzo cucchiaino di zucchero agitati rapidamente con ghiaccio (asciutto!) nel mixer e versati in una coppetta di cristallo tenuta per un bel po' nel freezer e con gli orli abbondantemente intinti nel ghiaccio tritato finissimo. (da Sopa de lima, p. 19)
  • Il colore del daiquiri è quello dell'acqua gelata, con vaghi riflessi verde-gialli del sugo di lima: una trasparenza madreperlacea di cui Manet sarebbe stato il pittore ideale. (da Sopa de lima, p. 19)
  • Nei periodi di decadenza il culto della cucina diventa eccessivo. Plinio lamentava che un cuoco costasse più di un cavallo. «Clitone» scrisse La Bruyère «ebbe in vita due sole occupazioni: desinare la mattina, cenare la sera». (da Olla podrida, p. 37)
  • Vitellio, la cui ingordigia aveva sorpreso l'universo – qui perfino il nome ha un suono familiare in cucina – poco prima di essere ammazzato e gettato nel Tevere, cercò di fuggire in una lettiga «avendo in compagnia solamente il cuoco e il fornaio». (da Gli sparagi di Augusto, p. 42)
  • A Roma il nome Augusto non ha più niente di augusto. È un nome da barista: «Augusto, un moka!». (da Gli sparagi di Augusto, p. 43)
  • Lo scultore Arturo Martini ebbe un'infanzia poverissima. Studiò cinque anni: due anni ripeté la prima elementare e tre la seconda. Figlio di un cuoco, ha detto sulla cucina una cosa giustissima: «La cucina si fa per istinto. Un altro deve assaggiare la minestra, io, alla vista, avverto se ha il sale. C'è l'Artusi e poi c'è anche l'inafferrabile». È così. Il vero cuoco non assaggia, è un po' come il pianista che suona senza guardare la tastiera. (da Il vero cuoco, p. 44)
  • La borana (o borrana o borragine) appare più di una volta nel menu del Pontormo: cotta (in poca acqua), in insalata, c'è perfino un'insalata di fiori di borana, che sono bellissimi, rosa e azzurri sulla stessa pianta. (da Frittelle di borragine, p. 96)
  • [...] meraviglioso spettacolo di sapienza artigiana, che da farina, acqua, sale e fuoco fa sorgere il magico sole del pane carasau, pane de domo. (da Pane carasau, p. 111)

La lattuga di Boston. Diario di un attimo[modifica]

Incipit[modifica]

Lei, signor Buzzi, è nato nell'Italia del nord, a Como...
Sì, dietro al duomo. Il mio cognome, Buzzi, per essere pronunciato correttamente dagli americani dovrebbe essere scritto così: Bootsie. I miei avi paterni sono i Büzz di Sondrio, città ancora più vicina di Como alle Alpi, forse parenti, alla lontana, del Butz, il barboncino marrone (canis aquaticus) che accompagnava Schopenhauer nella sua passeggiata quotidiana. Heinzen, Kunzen, Utzen oder Butzen, nel dialetto della bassa Svevia, sono l'equivalente dell'inglese Tom, Dick and Harry o, come diciamo noi, Tizio, Caio e Sempronio (e Mevio) o, come dice Dante, donna Berta e ser Martino.[5]

Citazioni[modifica]

  • Un giorno, negli Stati Uniti, mentre, seduto in cucina davanti al forno elettrico illuminato, guardavo, in mancanza di un vitello ruminante, delle capesante che spolverate di pan grattato e pepe nero cuocevano su un ripiano leggermente imburrato, dissi... cioè il mio ospite disse: «Il forno è la tua televisione». (da Intervista a me stesso, cap I, p. 15)
  • I nomi di persona ideali sono di due sillabe, accentati sulla prima. La prova si fa gridandoli: le sillabe in più in testa e in coda, si pronunciano male e con fatica. Il Leo di Leopoldo non si sente, è una fatica inutile. I toscani battezzano Leopoldo ma chiamano Leo o Poldo. E così Andrea diventa Drea, Francesco Cesco, (Cèk a Sondrio), Alessandro Sandro e Giovan Battista Bista (Giobatta è ancora troppo lungo). (da Il sonno, cap. II, p. 33)
  • (Mantova) Le strade intonacate coi colori delle uova di uccelli. Gentilezza degli abitanti. Loro nomi (sulla guida del telefono): Telemaco, Cleante, Quintilio, Aristodemo, Zaira, Tazio (Nuvolari). Forse anche Virgilio era, ai suoi tempi, un nome fuor dal comune. (da Il sonno, cap. II, p. 45)
  • Il negozio del panettiere è, da migliaia di anni, un ambiente naturale, perciò anche i fornai sono uomini naturali. Invece il ministero delle finanze è un ambiente artificiale e tutti i suoi uomini, dal ministro agli uscieri, sono uomini innaturali. (da Il sonno, cap. II, p. 63)
  • L'uomo politico eletto democraticamente dalla maggioranza presenta pericolose analogie con i bestsellers, i libri più venduti (più votati) che non sono quasi mai di grande valore letterario. (da Il sonno, cap. II, p. 64)
  • Chesterton, nella sua Autobiografia, dice che il panorama di Londra era fatto di case piccole e monotone, con finestre insignificanti, brutti lampioni di ferro (i lampioni a gas di ghisa dei film di Chaplin e volgari cassette per le lettere verniciate di vermiglio. Quel vermiglio è un bellissimo rosso – chiamato Post office red, rosso ufficio postale – usato spesso anche per dipingere le porte di ingresso delle piccole case. Le cassette postali italiane invece sono di un repellente rosso sangue, rosso carne di cavallo, che forse sarebbe piaciuto a Chesterton. (da Il sonno, cap. II, p. 66)
  • «L'idea che dall'unione di gruppi deboli risulti un fattore di forza è falsa» disse il padrone del cane Blobby. «Otto zoppi sommati non danno per risultato un gladiatore». È lo stesso concetto espresso dallo scrittore cubano Elizardo Sander quando disse: «Non puoi fare un elefante con cento conigli». (da Il sonno, cap. II, p. 72)

Citazioni su Aldo Buzzi[modifica]

  • Leggere Buzzi è sempre un viaggio nel retrobottega delle parole e delle idee, dove la loro vitalità e il loro assurdo vengono abilissimamente fatti deflagrare. Basta una metafora arguta a miniaturizzare una storia; e si sorride, ci si sorprende, si pensa, si divaga, si ride di cuore. Anche per questo libro è così. Il lettore vedrà comparire improvvisi conigli che, con un occhio diritto e l'altro piegato, assomigliano a Maurice Chevalier. Imparerà diverse bizzarrie, che tra gli antenati dell'autore c'è una Trattoria Buzzi, che esiste una pasta detta "tempesta" e adatta per il brodo ristretto. E concorderà che quando un barbiere dalla forbice leggera come una musica tocca il tasto della malinconia ricordando che i capelli crescono anche dopo la morte, è sicuramente meglio parlare d'altro: perché non di un bel piatto di tagliatelle al burro e tartufi? (Giuseppe Conte)

Note[modifica]

  1. «de conejo en conejo», La Gatomaquia, 1634. Dalla nota a piè di pagina; in Parliamo d'altro, Ponte alle Grazie, Milano, 2006, p. 11. ISBN 88-7928-829-6
  2. Da La passeggiata; in Parliamo d'altro, Ponte alle Grazie, Milano, 2006, pp. 10-11. ISBN 88-7928-829-6
  3. Da Parliamo d'altro; in Parliamo d'altro, Ponte alle Grazie, Milano, 2006, pp. 27-28. ISBN 88-7928-829-6
  4. Da Parliamo d'altro; in Parliamo d'altro, Ponte alle Grazie, Milano, 2006, p. 29. ISBN 88-7928-829-6
  5. Paradiso, XIII, 139. Dalla nota a piè di pagina; in La lattuga di Boston, Ponte alle Grazie, Milano, 2000, p. 7. ISBN 88-7928-487-8

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]