Dominique Lapierre
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Dominique Lapierre (1931 – 2022), scrittore e filantropo francese.
Citazioni di Dominique Lapierre
[modifica]- Ho appreso la virtù di una tolleranza davvero universale in India, un Paese dove si adorano 20 milioni di divinità, dove un albero o una sedia possono essere degli dei. E ho imparato a pregare il mio Dio, quello cristiano della mia infanzia, nelle moschee, nei templi indù, con persone che seguono in modo diverso il mio stesso cammino verso la salvezza della loro anima, verso l'eternità o la redenzione. Questo mi ha dato una versione molto più globale – universale se volete – della religione, rispetto alla stretta versione del cristianesimo. [Questa forma di religiosità potrebbe essere definita sincretismo...] Esatto. Ma io ammiro questo genere di sincretismo, o meglio di dialogo della vita, credo che sia qualcosa di molto bello. Si vive a contatto dei più umili e dei poveri e si vede fino a che punto meritano l'eternità, a qualunque religione appartengano. È come se la povertà avesse livellato tutte le condizioni sociali e persino religiose; è straordinario. Li ammiro a tal punto che non posso fare a meno di pensare molto modestamente che anche loro sono sulla via giusta.[1]
- [Cosa ha imparato dai poveri?] I loro valori spirituali. Nella Città della gioia nessuno è abbandonato, nessuno è strappato alla famiglia, alle sue radici, alla sua religione. C'è una sorta di unità così forte che le persone possono affrontare le difficoltà con un coraggio e una generosità impensabili. Sono uomini che sanno ringraziare il cielo per il minimo beneficio e l'incontro con loro mi ha dato straordinarie prove dell'esistenza di Dio; anche se poi si ha l'impressione che lui abbia dimenticato i suoi figli. Credo che un povero, a Parigi o a Milano, sia molto più misero e disperato che un povero dell'India, anche se ha la televisione nella sua baracca e può contare sui sussidi statali. La peggiore miseria infatti non l'ho vista a Calcutta, ma a Roma o nel Bronx di New York, servendo i pasti ai barboni raccolti dalle suore di Madre Teresa. Lì la gente è tagliata fuori da tutto, spiritualmente abbandonata, senza alcuna speranza.[1]
Sono d'accordo la mafia li sfrutta, Corriere della sera, 21 luglio 2009
- Ai mendicanti ho sempre dato cibo, assicurandomi anche che lo consumassero sotto i miei occhi. Soldi, mai. Dopo la "pulizia", la grande sfida per istituzioni e società civile è riuscire a convincere questa gente che l'accattonaggio non è l'unica possibilità per sopravvivere. Ma costruire alternative è molto difficile.
- In India ci sono bambini che vengono dati in affitto per chiedere l'elemosina. Magari, per esempio, questo business non sarà più così redditizio. Certo sarà importante non riservare lo stesso trattamento ai professionisti dell'elemosina e ai poveri cristi. Pensi che nella bidonville di Calcutta "la città della gioia" mai nessun mendicante mi ha mai chiesto soldi. La gente è poverissima ma si aiuta reciprocamente per sopravvivere: nessuno li sfrutta. A me hanno sempre dato tanto e mai chiesto nulla.
- Oggi i mendicanti sono "fabbricati". Dietro di loro c' è un abominevole commercio di uomini, donne e bambini, spesso prelevati dai villaggi delle campagne, mutilati e buttati sulle strade delle città con l' obbligo di arricchire i padroni. Lo sfruttamento della povertà è un fatto criminale che le istituzioni devono combattere, quindi ben venga un' iniziativa di questo tipo, anche se ha dei limiti.
- Rimuovendo i mendicanti non si sradica la causa della povertà ma almeno si cerca di contrastare la mafia che sfrutta questa povertà per fare profitto.
La città della gioia
[modifica]La zazzera ricciuta e le basette che andavano a toccare le punte spioventi dei baffi, il torso piccolo e tarchiato, le lunghe braccia muscolose e le gambe leggermente arcuate gli davano l'aria di un guerriero mongolo. E invece Hasari Pal, trentadue anni, era solo un contadino, uno dei circa cinquecento milioni di abitanti dell'India di quegli anni, che chiedevano il loro sostentamento della dea Terra. Si era costruito le due stanze della sua capanna di argilla rivestita di paglia un po' fuori del villaggio di Bankuli, nel Bengala occidentale, uno stato del nord-est dell'India, tre volte più vasto del Belgio e popolato come la Francia.
Citazioni
[modifica]- Il crepuscolo è vicino ma il sole arde ancora. La nostra chakra, la ruota del nostro destino, non è ancora giunta al termine della corsa. (p. 21)
- Come si fa a credere di poter condividere la condizione degli abitanti di una bidonville, in senso fisico come in senso morale, quando si gode di una salute di ferro, quando non si ha una famiglia da sfamare, curare; quando non si deve cercare un lavoro e non si ha l'ossessione di doverselo conservare; quando si sa che in ogni momento si ha la possibilità di andarsene? (p. 100)
- Quando si vuol tenere per sé una cosa precisa, tutto il resto sfugge, mentre staccandosene, si può godere di tutto, senza possedere niente in particolare.
- Tutto ciò che non viene donato va perduto.
- Il padre di Bandona era un piccolo contadino che viveva nella regione di Kurseong, nell'estremo nord del Bengala, ai piedi dei primi contrafforti della catena himalayana. Coltivava un piccolo terreno a terrazze faticosamente conquistato sui fianchi della montagna. Quanto bastava per far vivere la moglie e i quattro figli.
Ma un giorno certi imprenditori giunti da Calcutta cominciarono a sfruttare il legno delle foreste, stabilendo una certa quota giornaliera di alberi da abbattere. Già anni prima, la regione era stata profondamente trasformata dallo sviluppo dei tea-gardens, le piantagioni di tè. Con l'arrivo dei forestieri le giungle boscose si restrinsero come pelle di zigrino. I contadini furono costretti ad andare a cercare sempre più lontano la legna necessaria per accendere il fuoco, oltre a nuove terre da coltivare. Gli incendi della boscaglia si moltiplicarono. Poiché la vegetazione non aveva più il tempo di ricrescere prima delle cateratte del monsone, cominciò l'erosione del terreno. Privato dei suoi pascoli naturali, il bestiame divenne un elemento distruttivo. La rarefazione dei prodotti naturali costrinse le famiglie a sviluppare le colture per uso alimentare. La legna da ardere era sempre più rara, e si dovette utilizzare lo sterco degli animali per cuocere i cibi, il che privò la terra del migliore concime. Il rendimento calò vertiginosamente, mentre si accelerava la degradazione. A causa del disboscamento, l'acqua non veniva più trattenuta. Le sorgenti si inaridirono, i serbatoi si vuotarono, le falde freatiche si prosciugarono. Poiché la zona era soggetta alla più alta piovosità mondiale - fino a undici metri di acqua all'anno in Assam - la terra arabile e l'humus furono sempre più trascinati verso le pianure a ogni monsone, lasciando ben presto la roccia a nudo. In pochi anni, tutta quanta la regione diventò un deserto. Ai suoi abitanti non rimaneva che partire. Partire per la città che li aveva rovinati! (pp. 162-3, cap.27)
Note
[modifica]- ↑ a b Dall'intervista rilasciata nel 2011 a Mondo e Missione, Dominique Lapierre: «Non assistere, ma educare», mondoemissione.it.
Bibliografia
[modifica]- Dominique Lapierre, La città della gioia (La cité de la joie), traduzione di Elina Klersy Imberciadori, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1985.
Altri progetti
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Opere
[modifica]- La città della gioia 1985