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Giambattista Basile

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Giambattista Basile

Giambattista Basile (1566 – 1632), scrittore italiano.

Citazioni di Giambattista Basile

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  • Come vai così sei considerato, perché in questo tristo secolo si onorano gli abiti e non si dice più da dove vieni, ma come tu vai.[1]
Accossì comme vaje tu si tenuto | c'a sto siecolo tristo | se nnorano li panne | e non se dice cchiù da dove viene, | si non come tu vai.
  • [Epigramma composto per la Madonna dell'Arco] Dissi: «L'iride mia, | arco divin, tu sei, | mentre i miei dì rischiari, ombrosi e rei» | Or, che da te s'invia | Strali di grazie al core | L'Arco dirò che sei del vero amore.[2]
  • Mentre d'ampia voragine tonante | fervido vedi uscir parto mal nato, | piover le pietre e grandinar le piante, | spinte al furor d'impetuoso fiato, | e i verdi campi già sì lievi avante | coprir manto di cenere infocato, | e 'l volgo saettar smorto e tremante | solfurea parca, incendïoso fato: | – Ahi! – con lingua di foco ei par che gridi | arde il tutto, e sei pur alma di gelo; | tu nel peccar t'avanzi e 'l mar s'arretra. | Non temi, e crollar senti i colli e i lidi; | non cangi stato, e cangia aspetto il cielo; | disfassi un monte, e più il tuo cor s’impetra! (Per l'incendio del Vesuvio del 1632[3])

Il Pentamerone

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Lo cunto de li cunti

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Dice ch'era na vota a lo paiese de Marigliano na femmena da bene chiammata Masella, la quale, otra a sei squacquare zitelle zite comm'a sei perteche, aveva no figlio mascolo così vozzacchione, caccial'a-pascere, che no valeva pe lo iuoco de la neve, tanto che ne steva comm’a scrofa che porta lo taccaro e non era iuorno che no le decesse: «Che 'nce fai a sta casa, pane marditto? squaglia, piezzo de catapiezzo, sporchia maccabeo, spa-rafonna chianta-malanne, levamette da 'nante scola-val-lane, ca me fuste cagnato a la connola e 'n cagno de no pipatiello pacioniello bello nennillo me 'nce fu puosto no maialone pappalasagne». Ma, co tutto chesto, Masella parlava ed isso siscava. ("Trattenemiento primmo de la iornata primma")[4]

Citazioni

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  • Chi cerca chello che non deve, trova chello che non vole. (Introduzione, p. 13)
  • Quanno lu malanno vò venire trase pure p' 'e ssenghe de la porta.
  • Chi 'ntroppeca e nun cade, avanza de cammino.
  • Dall'aseno chiù grosso mpara de mangiare la paglia lo picciolo.

Citazioni su Lo cunto de li cunti

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  • C'è sempre un incontro fatale nella vita, un bel giorno ebbi maggiori informazioni di un certo Basile che per la verità avevo già letto nel libro di mia sorella [...] ma nella sua forma di canzoniere. [...] Quando venni in possesso di quell'immenso testo in poche giornate divenni uomo. Basile mi dimostrava che in dialetto, come in lingua, si poteva dire tutto; si poteva giungere fino alle scorregge e alle cacate perché ogni cosa dell'uomo è pulita e va compatita, compresa e apprezzata. È inutile che io riporti una delle gigantesche parti di qualche novella. Si sale alla più inimmaginabile bellezza, degna in pieno dello stile attorcigliato di Shakespeare e si scende alle quadriglie di Rabelais. Sia Boccaccio, sia Folengo, in confronto sono poca cosa. Da allora questo libro non mi ha mai lasciato. Me lo porto in viaggio e ce l'ho sul comodino. Dopo le sbornie della zavorra contemporanea il Basile [...] è sempre in grado di restituirmi la salute morale. (Domenico Rea)
  • L'universo, di cui Napoli è la metafora più appariscente, è una congrega di mostri, di idioti e di rifiuti. [...] Tutti divorano, trangugiano, ingurgitano, ingollano, inghiottono, ingozzano, strippano, pappano, ruminano, rosicano, ripuliscono quello che c'è in tavola: pastiere e casatielli, polpette, maccheroni e raffioli, pastinache e foglie molli, piccatigli e ingratinati, franfellicchi e biancomangiare; Napoli è un'immensa città-torta, che Basile divora con gli occhi e coi denti.
    Mostri, nani, vecchie, sciocchi, idioti, ingordi e defecatori si raccolgono nei cinquanta racconti con un solo scopo. Vogliono farci ridere. Vogliono fare scoppiare nella malinconica Zosa, nelle narratrici e in noi che leggiamo, la risata immensa, a piena gola, a crepapelle, hénaurme come in Rabelais e Flaubert, dionisiaca, assurda, grandiosamente fantastica, che uccide per sempre la nera pianta della Malinconia. [...] Nel libro, Zosa ride e sposa il suo principe. [...] Noi ridiamo? [...] Non è certo che ridiamo alla fine. L'universo di Basile è così pesante, folto e inestricabile, che a volte ci sembra il fosco sogno delle streghe del Macbeth, che continuano a cuocere il loro brodo infernale.
  • Un prodigioso ordigno per imitare il Tempo e farlo circolare tra le pagine, come il sangue stesso del libro. Così nei velocissimi allegro di certe favole, Basile inseguì le sue grandi ali crestate: mentre nel ritmo di metamorfosi, di morte e resurrezione, che le fate impongono alla vita, imitò il tempo che continuamente divora e rinasce. Ma, forse, la meta di Basile era soprattutto quella di fermarlo.
  • [La prosa di Basile] La prima legge è l'accumulazione verbale. Le parole si aggiungono alle parole: ognuna cerca di cogliere più da vicino e con più precisione l'oggetto, e insieme effettua una variazione fonica: le variazioni si succedono e mirano a un diapason; mentre insieme formano un sistema metaforico compatto e coerente. Sullo sfondo sta Basile che, come il tempo, ingoia tutto il dizionario e insieme a esso il mondo, come se soltanto così potesse liberare il Riso, che salva noi e la vita dalla rovina. Ma egli non vuole, come credeva Croce, parodiare e ironizzare il barocco. Simile a Shakespeare, accumula immagini classiche, petrarchesche, realistiche, bizzarre, oscene, inverosimili: tutto ciò serve a far divampare più diabolicamente le legna del suo fuoco stregonesco:
    Double, double toil and trouble: | Fire, bourn; and, cauldron, bubble;[5]
    finché le immagini s'accendono, deflagrano e scoppiano, disegnando cangianti e luminosi razzi nel cielo, mentre noi, rimasti a terra, ammiriamo questa potenza regale d'immaginazione.

La stufa egroca

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  • No patre mo se vede
    Nascere no Nennillo,
    O che gusto, o che spasso,
    Subeto lo fa stregnere
    Co ccotriello de seta, e de vammace
    Comm' a no Pisaturo,
    Lo ncericcia, e l'appenne
    Tante cose a le spalle,
    Diente de lupo, fico, e mmeze lune,
    E ccoralle, e mmologne, e pporcelluzze,
    Che pare spiccecato
    Chi accatta Zaffarana:
    Le trova la notriccia,
    Non vede ped'autr'uocchie;
    Le parla cianciosiello,
    Comme zaje bello Ninno?
    Te vollo tanto bene;
    Tu zi cole de tata,
    Zaporiello de mamma:
    E mmentre stace attoneto
    Co no parmo de canna,
    Sentenno cacca, e ppappa,
    Raccoglie nzino quanto a cchillo scappa.
    (Giallaise: pp. 365-366)

Note

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  1. Citato in Le Muse napolitane; in Il Pentamerone, vol. II, Giuseppe-Maria Porcelli, Napoli, 1788, p. 327 Google Books
  2. Citato in Vittorio Gleijeses, Feste, Farina e Forca, prefazione (all'edizione del 1976) di Michele Prisco, Società Editrice Napoletana, Napoli, 19773 riveduta e aggiornata, p. 136.
  3. In Lirici marinisti, a cura di Benedetto Croce, Giuseppe Laterza & Figli, Bari, 1910, p. 153.
  4. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Doppio, doppio travaglio e guaio | Brucia fuoco, gorgoglia calderone. Da Macbeth, atto IV, scena I, traduzione di Masolino D'Amico, Bompiani, Milano, 2014, p. 1937. ISBN 978-88-58-76952-2

Bibliografia

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Filmografia

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Altri progetti

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Opere

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