Ludwig Friedländer

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Ludwig Friedländer

Ludwig Heinrich Friedländer (1824 – 1909), filologo classico tedesco.

Studii intorno agli usi ed ai costumi dei romani[modifica]

Incipit[modifica]

  • Fino all'incendio appiccatovi da Nerone, Roma non era una bella città nel senso moderno della parola. Dopo che era stata incendiata dai Galli, la si era ricostruita senza piano prestabilito, e come a caso. I quartieri erano irregolari; le strade strette, tortuose; le case alte, addossate per lo più le une alle altre, e fino ai tempi della guerra di Pirro (dugento ottanta quattro anni prima dell'era cristiana) i tetti di quelle in legno, contribuivano a renderne più povero, più cupo l'aspetto, e tale ad un dipresso si mantenne ancora la città nei secoli seguenti. Alla corte di Filippo di Macedonia, cento settanta quattro anni prima della nascita di Cristo, il partito avverso ai Romani prendeva a dileggio l'aspetto meschino della capitale d'Italia.

Citazioni[modifica]

  • Roma non ebbe mai prospetti grandiosi quali Antiochia ed Alessandria, colle loro strade lunghe, diritte ed ampie, tagliate ad angolo retto. Inoltre parecchie particolarità dell'architettura domestica romana dovevano portare pregiudicio all'effetto architettonico delle strade. Tali erano le frequenti deviazioni di parecchie case dalla linea retta, la diversa altezza dei vari piani delle case, l'irregolarità delle finestre particolarmente nei piani superiori, ed in fine la frequenza di rientranze e di sporgenze delle case, le quali rendevano varia ed irregolare la sezione del suolo stradale. (vol. I, La città di Roma, pp. 14-15)
  • Ad onta però di tutti i difetti delle sue strade e della sua posizione, Roma era tal città che non aveva l'uguale, e sovratutto produceva una grande impressione per la folla immensa che di continuo vi si avvicendava, proveniente da tutte le parti del mondo; per il moto, per la vita che vi si agitavano di continuo; per la quantità e per la splendidezza de' suoi stabilimenti ed edificii pubblici, e finalmente per la estensione sterminata della città. Lo sguardo di chi fosse in allora salito in cima al Campidoglio, si sarebbe perduto quasi in una selva di edificii monumentali, di palazzi, di monumenti di ogni specie, i quali si stendevano sotto suoi piedi, occupando, a parecchie miglia di distanza, colli e valli. Colà dove attualmente si stende verso i monti Albani una regione deserta, popolata da rovine, funestata dalla febbre maremmana[1], stava in allora una pianura per nulla malsana, tutta coltivata, solcata di strade le quali formicolavano di persone. La città si allargava di continuo nei campi, nelle località dei dintorni, ed i suoi sobborghi cedevano il posto a novelle e stupende ville, a templi, a monumenti, i cui tetti e cupole marmoree splendevano al sole, fra la verzura lussureggiante dei boschi e dei giardini. (vol. I, La città di Roma, pp. 15-16)
  • Il servizio [a tavola] presso Augusto era molto semplice, di tre a sei portale al più; presso Tiberio, il quale voleva indurre col proprio esempio ognuno alla frugalità, al risparmio, era appena decente; per contro Vespasiano, economo e buon massaio in ogni altra cosa, teneva tavola splendida allo scopo di favorire i venditori di oggetti mangerecci. Pertinace richiamò alla moderazione i banchetti imperiali, nei quali Commodo aveva pazzamente profuso tesori. Pare che non fosse praticato alla tavola imperiale l'usanza generalmente osservata nei grandi banchetti in Roma, di trattare in modo diverso i convitati, secondo la diversità del loro ordine, della loro condizione. Quanto meno, risulta che Adriano nello scopo di ovviare ad ogni possibile soperchieria de' suoi cuochi, si faceva recare talvolta vivande tolte dalle altre tavole, non eccettuate le ultime. (vol. I, La corte, p. 98)
  • Un aneddoto riferito da Dione, prova a quali trattamenti fossero esposti i convitati di Domiziano. Egli invitò un giorno a pranzo i personaggi più distinti del senato e dell'ordine dei cavalieri; le sale erano addobbate di nero, i domestici abbigliati di nero, quasi tanti spettri; le vivande furono servite in vasellami neri, come si soleva praticare nei tempi di conviti funebri; accanto ad ogni invitato stava una tavoletta con sopra scritto il nome di ognuno, ed a fianco sorgeva un candelabro acceso, come nei sepolcri. Dopo di avere torturato in questo modo i suoi ospiti, in guisa che tornarono a casa tutti colla paura di ricevervi da un istante all'altro la condanna a morte, trovarono invece, preziosi doni dell' imperatore. (vol. I, La corte, p. 100)

Note[modifica]

  1. Malaria.

Bibliografia[modifica]

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