Nicola Marselli
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Nicola o Niccola Marselli (1832 – 1899), storico e politico italiano.
La guerra e la sua storia
[modifica]- Il Blanch ha posto la Storia militare per la via menzionata di sopra, co' suoi Discorsi sulla scienza militare considerata nei suoi rapporti colle altre scienze e col sistema sociale. Era un libro poco noto in Italia, almeno non quanto avrebbe meritato, quantunque fosse stato protetto dal miglior passaporto per entrare nelle grazie del colto pubblico italiano: la lode degli stranieri! Ma ornai è finito il tempo in cui le glorie dell'Italia meridionale valicavano le Alpi senza passare il Tronto. (vol. I, libro I, cap. I, p. 30)
- Il Blanch non tanto deduce l'arte bellica dalle condizioni sociali, intese nel senso ampio, quanto il contrario. È una questione di metodo ed il suo è questo: date le condizioni dell'arte militare in un dato periodo, ricostruiamo qual era e doveva essere la società. Gli elementi primi della guerra sono per lui quali per quell'altro scrittore napoletano, anch'esso non così noto come chiaroveggente, il Palmieri: uomini, armi, ordini. Dal modo come gli eserciti si formano, voi deducete lo stato sociale; dalle armi e dagli ordini, le condizioni industriali e scientifiche. Uomini, armi, ordini costituiscono l'esercito; ma bisogna muovere codesta macchina, farla vivere, amministrarla, governarla, farla marciare, trincerare e combattere. Vedete quanto sapere amministrativo, legale, politico, scientifico ci vuole; sapere che è quello dei tempi, che n'è l'applicazione ad un campo tecnico, e che da questo reagisce a volte a volte sul sapere generale e lo perfeziona. In breve, l'arte della guerra essendo lo specchio della civiltà, il Blanch intende fare una ricostruzione del genere di quelle del Cuvier, che da un organo, da un membro di animale antidiluviano rifaceva il tutto, l'animale. (vol. I, libro I, cap. I, pp. 30-31)
- Il generale Clausewitz, che di tutto si rendeva piena coscienza, inclinava a chiamar la guerra un'arte; ma infine conclude che la guerra non appartiene né al dominio dell'arte né a quello della scienza; ma al dominio della vita sociale. È un conflitto fra grandi interessi, il quale ha una soluzione sanguinosa; nel che si differenzia da qualunque altro conflitto. (vol. I, libro I, cap. II, p. 36)
La ragione della musica moderna
[modifica]- Tuttodì si ripete che il Verdi corrompe la Musica: il Verdi non corrompe la Musica, secondo il senso che ordinariamente si accorda a questa parola, ma la fa rispondere alla Società di cui è figlio; e con ciò egli e tutti i maestri della nuova Scuola tengono ancor viva l'Arte, ajutano lo Spirito nel suo sviluppo, e appunto per questo sono degni di esser collocati nella corona degli eroi dell'Arte. (p. 27)
- Gli Artisti che a' dì nostri tengono lo scettro della Musica e colle loro creazioni occupano gli animi della Società vivente sono il Mercadante, il Meyerbeer e il Verdi. Il Rossini liba spensieratamente i piaceri della gloria e tace. Il sonno ch'egli dorme reca dolore all'Arte, ma forse è mestieri ch'egli dorma, imperocché nell'infinito Dramma dell'Arte ogni artista grande segna una forma, getta un germe e va via, lasciando una parola vivente ed insieme una tradizione che i successori feconderanno. (p. 28)
- Io tengo che tra i maestri viventi il Mercadante rappresenti la Tragedia classica, anzi parmi che nella Storia dell'Arte egli dia a questo genere l'impronta fortemente drammatica. (p. 35)
- Il modo grave con cui il Mercadante concepisce la Musica il rese acconcio a colorire, coi mezzi della moderna Musica drammatica, l'antica Età degli Orazi e delle Vestali, ed a svolgere nell'Arte musicale il momento del Classicismo italiano. (p. 35)
- [...] il Mercadante è grande perché ha trovato una poesia che ha fatto diventar stile vero e bello la sua maniera individuale. (p. 37)
- Noi leggiamo Alfieri con amore perché egli adagia le proprie passioni in un'età e su di alcuni eroi che sopportano il duro pondo, ma se egli avesse dovuto tragediare Giulietta e Romeo, la Francesca da Rimini, la Pia dei Tolomei, allora non si potrebbe resistere allo sconcio di vedere la modesta Pia coll'elmo e col coturno romano. (p. 38)
- Gl'Italiani sono un aggregato d'individui. Divisi dalla vita politica ed esteriore si compongono un mondo tutto proprio; tanto che la Scienza, le credenze politiche e religiose sono sistemi individuali, il grido di una coscienza separata dal mondo. (p. 39)
- Il Rossini al pari del Goethe compone con fronte serena e col fuoco alle mani, di sorta che tu vedi muovere sulla scena alcune bellissime ombre, ma quasi mai una viva creatura vittima della passione traboccante. L'anima sua non perde mai la serenità, tanto che egli crea uno Stabat allegro e facile, e non mesto e profondo. Fantasia ariostesca, ma anche ironia ariostesca ha il Rossini. E dietro ai personaggi tragici parmi sempre di scorgere Figaro che li beffa. (p. 41)
- In mezzo di un Popolo che ha coteste tradizioni e di una Scuola che risveglia i vecchiumi del Medio-Evo nasce il Meyerbeer; di guisa che dall'atmosfera che lo circonda trae la potenza e l'attitudine a colorire il Dramma romantico ed a produrre una Musica starei per dire infernale. (p. 49)
- [...] nell'Opera [Roberto il diavolo] del Meyerbeer incontrasi l'armonia delle forme e dei generi più opposti. Dallo sbevazzare e dal giuocare sino al nobile canto d'Alice ed alla tenera e gentile cavatina d'Isabella; dalla danza infernale sino all'amoroso folleggiare; e il sacro, il profano e il diabolico sono gli elementi che cozzano in questa Musica sintetica. È l'Inferno che invade la Terra, è la Terra che porge la mano al regno dell'eterna Notte, ed è il Cielo che frapponendosi illumina la Terra e rompe l'amplesso che stava per istringersi. Guerrieri, Monaci, Demoni, Angioli, tutti vengono sulla scena. (p. 64)
- Forse il Meyerbeer è il mio Uomo moderno? No. La sua Musica, moderna perché determinatrice, è ancora antica per essere dipintrice delle tradizioni del Medio-Evo e però romantica e fantastica. Essa spira ancora certo brutto puzzo estraneo a noi uomini moderni, i quali oramai fatti adulti ed usati al Pensiero pare che vogliamo sulla scena passioni possibili, ed il grato odore di muschio che manda la Margherita Gautier. (pp. 68-69)
La scienza della storia
[modifica]- Era Storia quella di Erodoto, ma gli antichi ebbero ragione di qualificarla col nome di omerica. Non sono distrutti i vestigi dell'età eroica, ma piuttosto modificate le condizioni e fatte più prosastiche. Il fatto, lo storico, l'uditore, la Grecia intera riattaccavasi al mondo omerico ed era ancora giovane, spontanea, artistica. Onde le Storie di Erodoto furono immagine del tempo, e presero forma rispondente al contenuto. Voi in esse vedete gli avvenimenti svolgervisi dinanzi a guisa di rappresentazione epopeica: scorgete lo storico tutto versato di fuori, tanto che quasi direi che il suo spirito è fatto plastico: voi l'ascoltate mentre e' narra con una semplicità popolare, con una ingenuità ed un candore giovanile; ma di rado, assai di rado dite a voi medesimi: guarda come lo scrittore legge addentro e scruta nei penetrali degli uomini e delle cose. (vol. I, parte II, cap. I, pp. 31-32)
- La Storia di Tucidide adunque, mentre ha, come quella di Erodoto, un contenuto contemporaneo, se ne differenzia per lo sviluppo della riflessione. E questa differenza si appalesa fin dal cominciamento del suo libro, quando egli dice che non è suo scopo salire sul teatro per allettare l'immaginazione e per favoleggiare, ma scrivere per gli amici della verità e per lasciare un patrimonio all'eternità. (vol. I, parte II, cap. I, p. 37)
- Se ne togliete le osservazioni militari, che rivelano maggior perizia o almeno maggiore concentrazione della mente sul particolare obbietto dell'arte di combattere, pel rimanente io non saprei scoprire nelle citate opere di Senofonte una mente più positiva di quella di Tucidide, una mente che guarda più addentro nei visceri della società, e che pone a nudo quei principii che lì dentro ha côlti. Basti il dire che l'ossequio per gli dei accieca Senofonte a segno da fargli tutto riferire alle cause soprannaturali e da togliergli la possibilità di vedere quelle naturali. (vol. I, parte II, cap. I, pp. 38-39)
- [...] con Polibio la Storia si rifà generale. Come Erodoto aveva abbracciato i popoli greci ed orientali per farne il vasto fondo di un quadro epopeico, nel quale spiccava al primo piano la guerra persiana; così Polibio fa a proposito delle guerre puniche: egli prende in mano le più lontane fila che s'intrecciano nel nodo punico. Ma tutto ciò reca ad atto con piena coscienza, e a leggerlo vi par di udire il linguaggio sviluppato di un filosofo della Storia. (vol. I, parte II, cap. I, p. 43)
- Erodoto è artista, ma Tito Livio vuol fare l'arte, si direbbe con modo francese. È assai ordinaria la tendenza a volere coprire un mondo passato con una forma artistica studiata e preconcetta. Livio vuole scrivere secondo i precetti di Cicerone, e collegare la rettorica con la Storia. Onde alla semplicità di Erodoto succede la magniloquenza di Livio, come all'Epopea spontanea di Omero quella riflessa di Virgilio. (vol. I, parte II, cap. II, p. 60)
- Il Cantù porta nella Storia il malessere proprio, il malessere cattolico e il malessere italiano. (vol. I, parte II, cap. II, p. 65)
- Al nome dell'Hegel riattaccasi in Italia quello del Vera. Agl'Italiani che non conoscono il sistema dell'Hegel, che volessero conoscerlo, e che non hanno modo di studiare la lingua tedesca e le opere originali o pubblicate dall'Hegel o compilate dai discepoli sulle sue lezioni, consiglio di studiare le traduzioni e gli scritti originali del Vera. (vol. I, parte III, cap. III, p. 252)
- [...] il Vera non è soltanto un traduttore, un espositore dell'Hegel, ma è anche ricreatore. Il pensiero dell'Hegel, digerito dal cervello del Vera, è rimasto in fondo il medesimo, ma ha acquistato tutta la chiarezza di cui era capace. Fedele discepolo, originale maestro. Quello che un valoroso artista può fare interpretando e vivificando un dramma dello Shakespeare, il Vera fa ricreando e sviluppando il sistema dell'Hegel. (vol. I, parte III, cap. III, p. 253)
- È risaputo che il Cousin ha cercato di rendere chiare, popolari, le idee attinte soprattutto nel sistema dell'Hegel; ma non si può dire che l'Idealismo assoluto, col diventare Eclettismo, abbia acquistato in profondità quanto in facile chiarezza. Le lezioni dettate nel 1828 e nel 1829, come Introduzione alla Storia della Filosofia, contengono il sistema di Filosofia della Storia del Cousin. Ai sistema dell'Hegel, che il Cousin finì per ripudiare come soverchiamente panteista, appartiene tutto ciò che elleno hanno di più vero, di più ardito; ma l'uso di quella dialettica che consiste nell'affermare e nel negare contemporaneamente, nel dire che una cosa è e non è, nel dir di sì e di no, diventa oltremodo esagerato. Anche nel libro del Cousin è impossibile di arrivare a sapere con precisione se Dio sia nel mondo, nella Storia o fuori di essa. Esso è dentro e fuori. Un momento egli vi pare quello che è, cioè principio, legge inerente alla Storia, la quale è fatta dalla natura umana; un altro momento se ne parla come di una persona distinta, che ha i suoi piani, i suoi fini, i suoi modi d'intervento, che veglia o che dorme e simili. (vol. I, parte III, cap. III, p. 260)
Bibliografia
[modifica]- Niccola Marselli, La guerra e la sua storia, vol. I, Fratelli Treves Editori, Milano, 1875.
- Niccola Marselli, La ragione della musica moderna, Alberto Etken librajo, Napoli, 1859.
- N. Marselli, La scienza della storia, vol. I, Ermanno Loescher, Torino, 1873.
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