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Octavio Paz

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Octavio Paz
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1990)

Octavio Paz (1914 – 1998), diplomatico, poeta e scrittore messicano.

Citazioni di Octavio Paz

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  • Un popolo comincia a corrompersi quando si corrompe la sua grammatica e la sua lingua.[1]

La miranda anterior

prefazione a Carlos Castaneda, Las enseñanzas de Don Juan, 1973

  • Come distruzione critica dell'antropologia, l'opera di Castaneda taglia le opposte frontiere della filosofia e della religione. Quella della filosofia perché egli propone, dopo una critica radicale della realtà, un'altra conoscenza, ascientifica e illogica; quella della religione perché questa conoscenza esige un cambio della natura dell'iniziato: una conversione.[2]
  • Uno dei meriti di Castaneda è di essersi mosso dalla botanica alla fisiologia e all'antropologia. Castaneda si è introdotto in una società chiusa, una società sotterranea e che coesiste, sebbene non conviva, nella odierna società messicana. Una tradizione in via di estinzione: quella degli stregoni, eredi dei sacerdoti e sciamani pre–colombiani.[3]
  • Io non so cosa penserebbero don Juan e don Genaro delle speculazioni di Hume e Nagarajuna. Invece, sono (quasi) sicuro che Carlos Castaneda le approverebbe – sebbene con una certa insofferenza. Ciò che gli interessa non è tanto mostrare l'inconsistenza delle nostre descrizioni della realtà – siano quelle della nostra quotidianità o quelle della filosofia – quanto la consistenza della visione magica del mondo. La visione e la pratica: la magia è innanzitutto una pratica. I libri di Castaneda, sebbene abbiano un fondamento teorico: lo scetticismo radicale, sono il resoconto di un'iniziazione a una dottrina dove la pratica occupa il posto centrale.[4]

Note

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  1. Citato in Gianfranco Ravasi, Qohelet e le sette malattie dell'esistenza, Edizioni Qiqajon, Magnano, 2005, p. 16. ISBN 88-8227-172-2
  2. Como destrucción critica de la antropología, la obra de Castaneda roza las opuestas fronteras de la filosofía y la religión. Las de la filosofía porque nos propone, después de una crítica radical de la realidad, otro conocimiento, no–científico y alógico; las de la religión porque ese conocimiento exige un cambio de naturaleza en el iniciado: una conversión.
  3. Uno de los méritos de Castaneda es haber pasado de la botánica y la fisiología a la antropología. Castaneda ha penetrado en una tradición cerrada, una sociedad subterránea y que coexiste, aunque no convive, con la sociedad moderna mexicana. Una tradición en vías de extinción: la de los brujos, herederos de los sacerdotes y chamanes precolombinos.
  4. No sé qué pensarán don Juan y don Genaro de las especulaciones de Hume y de Nagarjuna. En cambio, estoy (casi) seguro de que Carlos Castaneda las aprueba - aunque con cierta impaciencia. Lo que le interesa no es mostrar la inconsistencia de nuestras descripciones de la realidad -sean las de la vida cotidiana o las de la filosofía – sino la consistencia de la visión mágica del mundo. La visión y la práctica: la magia es ante todo una práctica. Los libros de Castaneda, aunque poseen un fundamento teórico: el escepticismo radical, son el relate de una iniciación a una doctrina en la que la práctica ocupa el lugar central.

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