Gianfranco Ravasi
Gianfranco Ravasi (1942 – vivente), cardinale, teologo e biblista italiano.
Citazioni di Gianfranco Ravasi
[modifica]- Col pensiero Qohelet ha osato affermare che «si sa cosa sia uomo» ma proprio la scoperta che esso è un grumo di contraddizioni, che esso naviga nell'oceano del nulla senza saper predire neppure quanto accadrà a sera, lo induce ad andare oltre. La «vanità» che presenta «tutto come un ossimoro inutile» è alla fine un serpente che tenta. Cedutogli, non si conosce solo l'abisso della maledizione ma anche il sorgere della benedizione. «Il già detto è ancora da ridire» ma non in vana reiterazione bensì in novità di senso. [...] Quel Dio che «gioca a sorpresa nell'intrico delle cause», rivelandosi insensato, ha in Cristo una «pienezza di follia» che è il senso autentico e trascendente del tutto.[1]
- Guardando questo intreccio di numeri, possiamo sostanzialmente dire che il numero è un modo per esprimere la musica, l'armonia. L'autore usando schemi diversi gioca con quella fantasia dell'orientale che ha coniato persino una scienza, la gematria, la scienza del mistero dei numeri. Fa stupore per noi occidentali, che siamo così lontani da queste cose, vedere che il mondo giudeo-cristiano, per esempio, indicava Gesù Cristo col numero 801. Perché? La spiegazione fondamentale è questa: nella parola greca peristerà, «colomba», il valore delle singole lettere dà come risultato 801.[2]
- Il libro di Benedetto XVI [Gesù di Nazareth] ha voluto rimettere al centro proprio questa unità fondante del cristianesimo, riproponendone la compattezza contro ogni tentazione di dissociazione. Sì, perché – se stiamo solo alla ricerca moderna – si è assistito a un processo di divaricazione o anche di separazione e persino di negazione di uno dei due poli di quell'unità [umano divina di Gesù].[3]
- L'amore è un canale di conoscenza diverso da quello della ragione e per questo in esso non si deve "dimostrare" tutto, "spiegare" ogni cosa.[4]
- L'estetica è funzionale all'annunzio, bellezza e verità s'intrecciano, l'armonia è un altro volto del bene.[5]
- La sapienza abbandonò la terra quando i dotti cominciarono a usare la loro dottrina a scopo di lucro (Giordano Bruno) Auguri #Wikipedia[6]
- La rappresentazione del Leviatan è [...] per Giobbe una celebrazione della signoria suprema del Creatore che può persino permettersi di «scherzare con lui come un passero, legandolo per il divertimento delle bambine» (40,29). È per questo che, secondo una tradizione giudaica, il Leviatan verrà ucciso e imbandito per il banchetto messianico dei giusti.[7]
- Le Beatitudini probabilmente sono enunciate in un'area attorno alla sponda del lago di Tiberiade, abbiamo però bisogno di collocarle proprio su un monte, il monte della teofania, della teologia, della diafania perché in Matteo Cristo diventa il nuovo Mosè, il Mosè per eccellenza, che raccoglie e compendia tutto l'insegnamento di Mosè. Noi sappiamo che Gesù fa riferimento proprio ai testi del Sinai portandoli all'estreme conseguenze, radicalizzandoli, mostrando la vicinanza assoluta di Dio che, attraverso le Beatitudini e il discorso della montagna, si presenta come il Dio d'amore, della pienezza, della intimità assoluta. Lutero usava un'espressione paradossale in latino, persino ironica potrebbe apparire, per rappresentare Cristo in quel momento. Egli diceva che sul monte delle beatitudini Cristo è Mosissimus Moses, è il Mosè all'ennesima potenza. Tutto quello che Mosè aveva rappresentato ora Cristo ce lo rappresenta mostrandoci non solo la trascendenza, non solo la parola di Dio ma anche la sua intimità.[8]
- Le dodici tavolette del Ghilgamesh sono ora conservate al British Museum di Londra. Esse sono state trovate in maniera fortunosa e appartengono alla biblioteca del grande re mecenate assiro Assurbanipal. In realtà quella è una versione. L'originale non lo possediamo, e si perde veramente nella notte dei tempi, perché era stato prodotto dalla letteratura sumerica, la prima in assoluto che è apparsa all'orizzonte della Mezzaluna Fertile. La storia narrata è una parabola esistenziale come quella del libro della Genesi. Ghilgamesh è un eroe, un grande personaggio che rappresenta l'umanità.[9]
- Se non si conosce l'amore nel senso pieno e assoluto del termine, si può essere allegri ma non veramente felici, si può godere ma non si conosce la gioia, si può agire ma non creare. È la scoperta di una pienezza che l'amato ti dona in modo unico, come cantava anche Rita Pavone in una canzone degli anni Sessanta: «Come te non c'è nessuno. Tu sei l'unico al mondo».[10]
- Teologi e poeti [...] devono ritornare ad essere «antenne tese sul mondo giorno e notte». Soprattutto nelle notti piovose, come quelle dal cui fondo emerge Qohelet, l'impressionante sapiente biblico, «sacerdote del Nulla», il «cui tenebroso canto» ha la «nera bellezza» dei canti sereni e disperati perché, secondo il verso di De Musset, sono «i canti più disperati a essere i più belli». [...] Attraverso la «rasura delle parole» ormai logore e inutili, simili a spade spuntate, Qohelet scopre che «è legge che Ragione deve contraddirsi». Disperazione e contraddizione diventano categorie del pensiero; esse consumano tutta la logica della ragione ma da questo olocausto emerge il bagliore della verità. Il campo dei dubbi non è sgominato dagli argomenti, «non sai se il nulla sia» e neppure sai quanto possa salvare quel «piccolo Dio» che Qohelet chiama sempre col generico ha-’Elohîm, «la divinità», mai col tetragramma di fuoco Jhwh dell'Esodo liberatore. Eppure questo vuoto [...] non è solo negazione, ha celata in sé una sua fecondità. Disperandosi nella sua impotenza, la Ragione rimanda ad altro [...] È così che anche in Qohelet sembra prender corpo la legge paradossale del seme che, morendo, genera.[11]
Da Ateismo e cristianesimo
in Jesus, agosto 2009.
- L'ateismo drammatico – che, peraltro, ha sollecitato persino una "teologia della morte di Dio" – è ormai quasi del tutto scomparso. Ciò che al massimo sopravvive sono gli sberleffi sarcastici di certi atei di moda, alla Odifreddi, Onfray, Hitchens, tanto per distribuirne i nomi secondo le principali aree linguistiche.
- [L'indifferenza religiosa] si basa su una lettura superficiale della storia, dalla quale Dio è assente.
- L'idolatria moderna è l'identificazione di principi costitutivi e dinamici interni all'essere e alla storia stessa come unica ragione esplicativa: si pensi al materialismo dialettico di stampo marxiano, ma anche allo Spirito immanente nell'essere stesso, motore della storia, secondo la concezione idealistica hegeliana, oppure si consideri l'umanesimo ateo che pone l'uomo come misura e senso di tutto l'essere.
- [L'indifferenza-incredulità] è simile a una nebbia difficile da diradare, non conosce ansietà o domande, si nutre di stereotipi e banalità, accontentandosi di vivere in superficie, sfiorando i problemi fondamentali.
- I mezzi di comunicazione di massa ci insegnano tutto sulle mode e i modi di vivere, ma ignorano il significato dell'esistere, l'inquietudine della ricerca interiore, le interrogazioni sull'oltre e sull'"altro" rispetto a noi e al nostro orizzonte.
Citato in Il dubbio e la fede, la scommessa di Ravasi
Di Armando Torno, Corriere della Sera, 8 ottobre 2011. Disponibile su Donzelli.it.
- L'impegno principale che vorrei realizzare tra arte e fede è il ritrovare la loro radicale sororità, secondo la convinzione espressa da Paul Klee: "L'arte non rappresenta il visibile, ma l'Invisibile che si cela nel visibile". [...] Questa è anche la meta della fede.
- [Riferendosi a Eugène Ionesco] Lo presenterei cominciando da una dichiarazione che ha fatto in una intervista. Questa: "Ogni volta che il telefono suona mi precipito nella speranza, ogni volta delusa, che possa essere Dio che mi telefona. O almeno uno dei suoi angeli di segreteria". In lui c'era continuamente la speranza di una epifania del divino. E poco prima della morte, alla fine del suo Diario, nell'ultima riga c'è una frase folgorante. È la risposta a quell'attesa: "Pregare Non So Chi. Spero: Gesù Cristo".
- [Riferendosi a Emil Cioran] Vorrei presentare la figura di colui che si aggira attorno al cortile dei credenti e ne cerca quasi il centro. Anche se in un altro suo testo giunge al paradosso secondo cui "il nome di Dio è il Nulla, cioè Tutto". Lui per tutta la vita quell'opera di spionaggio l'ha condotta.
Ararat
[modifica]- Passiamo ora al secondo momento della nostra riflessione, facendo passare davanti ai nostri occhi, come prima dicevo, tre monti nominati nella Bibbia, tre monti che hanno un rilievo, un'incidenza tutta particolare. Cominciamo col monte Sion. Cominciamo di qui, anche se non è il primo dal punto di vista logico, non soltanto perché il monte Sion riassume in sé tutta la tensione verso l'alto delle pagine bibliche – come abbiamo potuto vedere anche attraverso lo sguardo che si leva verso l'alto e verso il monte, l'unico che può dare la salvezza –, ma anche perché col monte Sion è stato identificato da parte della tradizione ebraica e cristiana prima e poi anche da parte di quella musulmana, un altro monte, che è radicale per tutte e tre le religioni monoteiste, ovvero il monte di Abramo, il monte Moria, monte che non è rintracciabile in nessun atlante. (pp. 36-37)
- I popoli vengono da regioni diverse, salgono il monte, il monte della parola di Dio, e una volta che sono saliti sul Sion ecco che lasciano cadere dalle mani le armi; le spade vengono trasformate in vomeri e le lance in falci e Isaia dice: "Essi non si eserciteranno più nell'arte della guerra". Sion diventa il luogo nel quale tutti i popoli della terra convergono e là fanno cadere l'odio e costruiscono invece la pace; cancellano la guerra e costruiscono un mondo d'armonia. (p. 41)
- Passiamo ora al secondo monte che costituisce un momento obbligato di riflessione: il monte Sinai, un monte evidentemente carico di risonanze, a proposito del quale vorrei però anche in questo caso indicare solamente tre dimensioni. La prima: il Sinai è il luogo della teofania, della grande manifestazione del Dio misterioso. "Sul far del mattino – si legge in Esodo 19, 26 – vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte, un suono fortissimo di tromba, tutto il popolo che era sull'accampamento fu scosso da terrore."
- Giungiamo così al terzo e ultimo monte della Bibbia. Il monte che ora citeremo, quasi inesistente dal punto di vista orografico, è un punto di passaggio obbligato per noi cristiani: si tratta infatti del Golgota, del Calvario. Un monte che di sua natura è, come abbiamo detto, irrilevante – chi è stato a Gerusalemme sa che il monte è inglobato ormai all'interno della basilica del Santo Sepolcro –: si tratta di uno sperone roccioso di sei o sette metri, chiamato Golgota, in aramaico "cranio", probabilmente per la sua forma tondeggiante, o forse perché lì vicino c'erano le sepolture dei condannati a morte. (p. 51)
Il libro di Giobbe
[modifica]- In questa linea, la figura di Giobbe paziente e orante sul letamaio costituisce il modulo dominante dell'iconografia, lungo tutta la storia dell'arte. Naturalmente esiste qualche appiglio per tale lettura, il cui fondamento rimane tuttavia davvero esiguo e non appartiene interamente alla sostanza del libro, né al suo messaggio; si tratta di una lettura assolutamente secondaria. (p. 7)
- Leggere Giobbe è come «tenere nelle mani un'anguilla». L'espressione, peraltro facilmente comprensibile, è di un lettore geniale della Bibbia in latino, Girolamo. Nella sua premessa a Giobbe, formula questo paragone, di grande pertinenza e folgorante per la capacità di rappresentare l'arduo impegno di ogni lettore nel tentare di spiegare e di comprendere Giobbe, di trovare cioè l'asse fondamentale della sua interpretazione, anche all'interno di una foresta di altri significati. (p. 9)
- Ebbene, delle tante questioni che toccano il libro di Giobbe, ne elenchiamo sei, non perché non ne siano possibili altre, ma per dire quasi idealmente che si tratta di un elenco forzatamente incompleto. Il «sei» – sette meno uno – nella simbolica della Bibbia è infatti un numero di imperfezione. (p. 11)
L'incontro
[modifica]- Pregare è anche un'arte, un esercizio di bellezza, di canto, di liberazione interiore. È ascesi e ascesa, è impegno rigoroso, ma anche volo lieve e libero dell'anima verso Dio. (pp. 9-10)
- La stella polare per vivere questa esperienza [della preghiera] è, allora, il Salterio biblico, folgorante rappresentazione dell'aspetto dialogico della Rivelazione. Le preghiere salmiche sono, infatti, parole umane; eppure esse recano su di sé il sigillo dell'ispirazione divina, quindi in esse anche Dio parla. (p. 10)
- L'anima che riduce al minimo la preghiera rimane asfittica; se esclude ogni invocazione, lentamente si strangola. (p. 16)
- La fede, come l'amore, non occupa solo alcune ore dell'esistenza, ma ne è l'anima, il respiro costante. (p. 16)
- Anche l'islam esalta l'inattingibile gloria divina, un sole accecante che al massimo lascia un riflesso nella pozzanghera d'acqua che è l'uomo, per usare un'immagine di quella religione. Eppure, l'autentico approdo dell'orazione è l'intimità tra il fedele e il suo Dio, tant'è vero che la stessa spiritualità musulmana tende a questo abbraccio. (p. 19)
- Nella fede cristiana l'intimità è piena perché Dio è invocato ᾿abba᾿, «babbo», nell'oratio dominica per eccellenza, il Padre nostro, scelto da Gesù come preghiera distintiva del cristiano. (p. 19)
- [Nel Salmo 136] L'assemblea risponde costantemente a ogni asserto con un'antifona fissa: kî leʿolam hasdô, «perché per sempre è il suo amore». Affiora il vocabolo hesed, «fedeltà, amore, grazia», particolarmente caro al Salterio che lo usa centoventisette volte. Difficile è rendere la trama allusiva dei significati di questo termine con una nostra sola parola.
Hesed, infatti, evoca quell'indecifrabile e inesauribile atmosfera di intimità che intercorre tra due persone che si amano. È per questo che diverrà il vocabolo vessillo dell'alleanza tra il Signore e il suo popolo. (p. 46)
Ormai la parola "virtù" non si incontra più se non al catechismo, nelle barzellette, all'Accademia e nelle operette.
Così annotava ironicamente il poeta e saggista francese Paul Valery nel quarto dei cinque volumi di saggi raccolti tra il 1924 e il 1944 sotto il titolo Variétés. Sì, le virtù sembrano essersi dissolte come nebbia di un passato moralistico per lasciare spazio al successo sfolgorante raggiunto senza tante remore, alle apparenze provocatorie e non di rado al vizio sfacciato, presentato come libertà, assenza di complessi e di coercizioni. Siamo certo ben lontani dalla convinzione del filosofo e poeta statunitense Ralph Waldo Emerson che in uno dei suoi Saggi (1841) non esitava a scrivere che "l'unico premio della virtù è la virtù".
Note
[modifica]- ↑ Da Postfazione, in David Maria Turoldo, Mie notti con Qohelet, p. 98.
- ↑ Da Il libro della Genesi, volume I, Mondadori, Milano, 2019, p. 99. ISBN 81-251-5945-2
- ↑ Dal discorso in occasione di un incontro pubblico nel contesto dei Dialoghi in Cattedrale, tenutosi presso la Basilica di San Giovanni in Laterano il 13 novembre 2007; riportato in Corsodireligione.it.
- ↑ Da Sul crinale, Avvenire.it, 27 settembre 2002.
- ↑ Da L'armonia è l'altro volto del Bene, L'Osservatore Romano, 24 ottobre 2009.
- ↑ Da un tweet del 15 gennaio 2016.
- ↑ Da Lungo la frontiera che separa la terra dal mare, Famigliacristiana.it, 6 febbraio 2020
- ↑ Da L'allenamento per chi vuole salire, L'Osservatore Romano, 30-31 agosto 2010, vatican.va.
- ↑ Da Il libro della Genesi, p. 62.
- ↑ Da Gli occhi di una zingara, 20 aprile; in Breviario laico, Mondadori, 2010, p. 128. ISBN 9788852016851
- ↑ Da Postfazione, in David Maria Turoldo, Mie notti con Qohelet, postfazione di Gianfranco Ravasi, Garzanti, Milano, 1992, pp. 96-97. ISBN 88-11-64013-X
Bibliografia
[modifica]- Gianfranco Ravasi, Ararat. La montagna tra simbolo e profezia, Nicolodi, Rovereto (TN), 2002. ISBN 88-8447-050-1
- Gianfranco Ravasi, Il libro di Giobbe, EDB, Bologna, 2015. ISBN 978-88-10-55848-5
- Gianfranco Ravasi, L'incontro: ritrovarsi nella preghiera, Oscar Mondadori, Milano, 2014. ISBN 978-88-04-63591-8
- Gianfranco Ravasi, Ritorno alle virtù: la riscoperta di uno stile di vita, Mondadori, Milano, 2005. ISBN 88-04-55282-4
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