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Paolo Sollier

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Paolo Sollier (1975)

Paolo Sollier (1948 – vivente), scrittore, ex calciatore e allenatore di calcio italiano.

Citazioni di Paolo Sollier

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Citazioni in ordine temporale.

  • Dov'è scritto che un calciatore non debba avere idee?[1]
  • Be', analizziamo il calciatore professionista "arrivato". Nella quasi totalità dei casi è un proletario che arricchisce vertiginosamente, come dire il ricco peggiore, individualista e schiavo dei modelli della società consumistica: la macchina grossa, la casa coi quadri d'autore, le vacanze da milionario. Non so se abbiano mai dei dubbi, questi miei illustri colleghi.[1]
  • La critica principale che mi è stata rivolta [è come si conciliava la mia militanza a sinistra con i guadagni da calciatore], ma il mio era lo stipendio di un buon impiegato. Se mi sentivo un privilegiato era per un altro motivo, perché facevo il lavoro dei miei sogni, il calciatore. Una fortuna che capita a pochi».[2]
  • [Sul gesto del pugno alzato] Non era propaganda. Non era un gesto indirizzato ai tifosi ma a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre. Il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento».[2]

Dalla manifestazione Parole nel pallone, Bologna; citato in Crampi Sportivi, 8 febbraio 2016.

  • Il calcio, come tutti gli sport in generale, è un linguaggio universale. Attraverso le sue regole comunica e ti permette di comunicare, ovunque tu vada nel mondo. È uno sport ultimamente rovinato un po' troppo dal denaro ma dove è sempre possibile che nasca la squadra "povera" che mette in preoccupazione tutti gli altri  , il che lo rende meraviglioso. Andrebbe salvaguardato e non consegnato a capitali e alle televisioni, ma è chiaro che questo è un discorso molto difficile da fare ormai, perché ci sono i bilanci. E allora bisogna trovare un compromesso, perché non perda quella dimensione sociale ed emotiva che lo caratterizza.
  • Nel discorso calcistico contano tantissimo i capitali, e chi non ha i soldi fa una grandissima fatica. Io vivo a Vercelli, e lì il passato di grande calcio negli anni è stato spesso un peso. La gente vive ancora sugli scudetti degli anni '20 e '30 e quindi anche da squadre buone che giocavano in Serie C veniva avvertita la pressione di questo passato. Molte squadre hanno faticato, o pagato il peso di questo passaggio.
  • Oggi l'imperativo è vincere a tutti i costi. Quand'ero ragazzo il mio allenatore mi diceva "devi giocare bene, devi conoscere il tuo limite e cercare di superarlo mettendoci tutto quello che puoi", ma se tu perdi non è che sei un cretino, sei uno che ha fatto il possibile. Oggi invece se perdi sembra che tu sia un cretino...
  • Le squadre 30–40 anni fa erano lunghissime, tra i giocatori c'erano spazi enormi, oggi sono corte, oggi vedi che un calciatore molto tecnico che fa una giocata ha molta meno libertà, deve pensare a saltare l'avversario e ce n'è un altro spesso che sta intervenendo a raddoppiare. Oggi il campione — è normale — deve essere più muscolare, ma di conseguenza la tecnica deve essere superiore, perché deve seguire il passo della velocità. Non c'è dubbio quindi che i giocatori di oggi siano più forti di quelli del passato, perché fanno quelle determinate cose a quella velocità con ritmo molto più sostenuto e all'interno di tattiche molto più evolute.
  • Rispetto ai tempi in cui ho cominciato da ragazzino, in cui dovevamo fare le cose per conto nostro, decidendo il posto e le regole, oggi quello spazio è sostituito dalle scuole calcio, si gioca di meno liberamente con gli amici, questo può essere un limite alla fantasia [...] I ragazzi che giocano per strada con gli amici hanno qualcosa di più poetico della scuole calcio, che vedo un po' più fredde, e che sono un importante passaggio tecnico. Purtroppo solo tecnico e non emozionale.
  • [Sull'epilogo del campionato di Serie A 1975-76] Rompo sempre le scatole ai miei amici scrittori al riguardo, molti dei quali sono accaniti tifosi granata. Non hanno mai riconosciuto il giusto merito al Perugia [per aver battuto all'ultima giornata la rivale del Torino nella corsa scudetto, la Juventus]. Gli dico: finché non ci riconoscerete il merito di aver fatto vincere al Toro l'ultimo scudetto, [...] non vincerete più nulla. Vogliamo solo un modestissimo ma pubblico grazie [...]. Non l'hanno ancora fatto, e infatti non hanno più vinto.
  • Il ricordo più bello [legato al calcio] risale [a] quando abbiamo vinto il campionato di Serie B col Perugia. Avevamo bisogno di fare un punto alla penultima giornata a Pescara, io ho avuto la fortuna di fare il gol dell'uno a uno. Il merito in realtà è stato tutto di Frosio che ha dribblato tutto il Pescara, io ero lì perché avevo seguito l'azione.
  • Da ragazzo ero juventino ma una volta diventato professionista mi sono allontanato dal tifo, dopodiché sono stato ferocemente critico, sia perché avevo altre posizioni sociali e politiche rispetto al mondo bianconero, sia perché una volta diventato giocatore avversario era normale che trovassi la squadra più forte anche la più antipatica. Ma proprio per l'insieme di questi due fattori dico sempre che con me la Juventus è riuscita a fare un miracolo: sia che perda, sia che vinca, io sono contento.
  • Nel '74 ho anche tifato Lazio [nonostante i dissapori, per questioni politiche, con la tifoseria biancoceleste], nel senso che ho sperato che vincesse lo scudetto e sono stato contento quando l'ha vinto, ma mi era successo anche anni prima con il Cagliari e poi, nell'85, con il Verona, perché queste erano le squadre che nessuno si aspettava e che erano riuscite a rompere il monopolio delle tre grandi [Inter, Juventus e Milan]. E io faccio sempre il tifo per quelle.

Intervista di Paolo Brusorio, lastampa.it, 11 gennaio 2018.

  • [«Calciatore e compagno: problemi etici?»] A Perugia guadagnavo otto milioni all'anno, non ero ricco ma privilegiato. Con i miei soldi sostenevo il movimento, non facevo il rivoluzionario con il conto a Lugano.
  • [«Come nacque il pugno chiuso in campo?»] Lo facevo nei Dilettanti e una volta arrivato in Serie A, mi interrogai se fosse o no il caso di continuare. Decisi di sì in nome della coerenza. Oggi quel gesto diventerebbe, come si dice..., virale sui social, ma non avrebbe seguito in campo. Mi piacerebbe che qualcuno lo rifacesse, ma temo che i giocatori moderni non se lo possano permettere. Il calcio di oggi allontana dalla realtà, poi magari qualcuno nel privato agisce in altra maniera. Ma l'impegno politico è uscire allo scoperto, prendere posizione. Ecco, non vedo niente di tutto questo, pugno o non pugno.
  • [«Fu mai emarginato per la sua posizione politica?»] Non diciamo balle. Ho fatto una buona carriera da calciatore e una deludente da allenatore ma solo per colpa mia. Tecnicamente ero scarso, tatticamente un anarchico, ma correvo.
  • [«Dal suo pugno chiuso al braccio teso di Di Canio: differenze al di là dei fronti opposti?»] Quel pugno era la conseguenza del mio percorso, di uno che ha iniziato nei movimenti cattolici del dissenso [...] e poi è passato alla militanza politica. Se il suo gesto aveva la stessa genesi, allora, pur rimanendo agli opposti, non ho nulla da dire. Diverso, invece, se lo ha fatto per accattivarsi consensi da parte dei tifosi.

Citazioni su Paolo Sollier

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  • A Cossato, un paesino di quattromila abitanti, aveva scritto una lettera aperta ai tifosi, spiegando perché si rifiutava di firmare autografi. Non se l'avessero a male, ma l'autografo era un segno di divismo e lui si sentiva esattamente uguale agli altri. (Gianni Mura)
  • Ho visto Sollier segnare un magnifico gol all'Atalanta e rispondere agli applausi levando il pugno chiuso. Ma più d'ogni cosa m'ha impressionato il suo modo di comportarsi in campo. Gioca da centravanti arretrato e lo si trova in ogni zona del campo, in continuo movimento. Non protesta mai, non fa scene, se lo atterrano dà per primo la mano a chi lo ha steso. Chi abbia pratica dei campi di calcio, a questo livello, sa quanto sia difficile trovare un atleta che rifugga dalla tentazione (ormai cronica) di recitare, sul grande palcoscenico della domenica. (Gianni Mura)

Note

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  1. a b Dall'intervsta di Gianni Mura, Compagno centravanti, Epoca nº 1268, 25 gennaio 1975, pp. 24-25.
  2. a b Dall'intervsta di Fabrizio Salvio, A Berlusconi direi sempre no, SportWeek, 14 marzo 2015, p. 33.

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