Pier Carlo Boggio

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Pier Carlo Boggio

Pier Carlo Boggio (1827 – 1866), patriota, giornalista e politico italiano.

Storia politico militare della guerra dell'indipendenza italiana (1859-1860)[modifica]

  • Spettacolo interessantissimo [nella seconda guerra d'indipendenza] si era che ogni qual volta gli Austriaci approssimavansi in un villaggio, l'allarme vi si spargeva da cima a fondo; le botteghe, le case e le finestre chiudevansi; chi poteva se la svignava; le donne, specialmente le più giovani ed avvenenti, si nascondevano nelle stanze più recondite e nelle cantine; e così lasciavasi passare la bufera, che per solito di qua da Sesia non aveva lunga durata. Fatta preda, e dato sfogo a pazze ire con espressioni indecenti contro gli Italiani in genere ed i Piemontesi in ispecie, il nemico si ritirava col bottino; allora le imposte si riaprivano un tantino, e lasciavano scorgere un po' di volto umano che guardava di qua e di là per assicurarsi se la desiderata partenza avesse veramente e compiutamente avuto luogo. All'avvicinarsi poi delle truppe nostre, le finestre e le porte si spalancavano come per incanto, la gente usciva in folla e ci correva incontro dandoci il benvenuto e narrandoci affannata le depredazioni e le ansie sopportate. (cap. VII, p. 23)
  • La giornata di Magenta, scrive Rustow[1], fu per le armi degli alleati una gran vittoria Per la seconda volta, ed ora in modo più luminoso dimostrarono i Francesi la loro superiorità sugli Austriaci. Questa manifestavasi specialmente nel desiderio dell'attacco, nella smania di andare avanti. Ciò che dà nell'occhio è inoltre la diversità della direzione. – Vediamo nei generali francesi sempre un'azione propria, una personale iniziativa, mentre gli Austriaci non agiscono di proprio impulso, attendono sempre ordini. La tendenza all'attacco spinge i Francesi ad unirsi, a concentrarsi, mentre le tendenze difensive degli Austriaci li conducono ad isolarsi dove succede un attacco, e questo ha luogo con brigate isolate, e sempre per ordine superiore, le quali per lo più, opposte a forze superiori, vengono anche isolatamente battute. (cap. VIII, p. 177)
  • [...] fin dal principio dello scontro a Magenta, apparvero sintomi di quello, che poi divenne manifestamente chiaro cioè che gli Austriaci non avevano cuore per la pugna. II rapporto di morti e feriti pubblicato dal Governo austriaco, dimostra la strage sproporzionata a cui soggiacquero[2] gli ufficiali. Questi ufficiali vestono come i soldati, né si può spiegare altrimenti tal fatto: esser eglino costretti ad esporsi più dell'usato per mantenere i soldati al posto, e farli combattere. (cap. VIII, p. 177)
  • Varii furono i giudizi sulla battaglia di Solferino. Si appuntò, dice Ferdinando Lecomte[3], l'imperatore d'Austria[4] d'aver voluto dare la battaglia di Solferino, avendo il Mincio alle spalle, invece di concentrare i suoi sforzi per assalire gli alleati al passaggio del fiume. L'armata austriaca avrebbe dovuto, secondo gli uni, restare nel quadrilatero; avrebbe dovuto, secondo altri, ripiegarsi sul Mincio quando incontrò gli alleati.
    Tali rimproveri non sembrano abbastanza fondati; è pericoloso senza dubbio d'ingaggiar battaglia avendo un fiume alle spalle. A Friedland, per esempio, i Russi pagarono caro un tale errore. Ma nel caso speciale degli Austriaci, il Mincio, coperto da numerosi posti e da due fortezze, non presentava l'ordinario inconveniente di tali situazioni. (cap. IX, p. 300)

Incipit di alcune opere[modifica]

Garibaldi o la legge?[modifica]

Anche l'ammirazione per gli Eroi ha i suoi confini.
Essa deve cessare dove comincia l'uomo.
L'eroe finisce, dove allo impulso magnanimo della sua missione provvidenziale sottentra l'urto irriflessivo della passione.
Garibaldi che compie miracoli di valore per la libertà in America è un eroe, perché la missione di Garibaldi è quella di essere la spada della libertà dei popoli.
Garibaldi che vola attraverso l'Atlantico a prodigare il sangue per la sua terra natìa nel 1848, è un eroe; perché è la patria che lo chiama all'armi.
Garibaldi che dai generosi ozi di Caprera scagliasi, alla testa di fanciulli che ha convertito in leoni, sull'abborrito Tedesco e ne purga le rive del Verbano, Varese, Como, e lo rintana fra i giochi e le balze del Tirolo, è un eroe, perché è l'Italia che gli grida «io voglio essere nazione per il mio diritto e nel nome di Vittorio Emanuele II».
Garibaldi che con un pugno di prodi sbarca a Marsala e libera la Sicilia dall'esoso Borbone è un eroe, perché lo chiama la campana della Gancia[5] che invece di accompagnare l'inno della vittoria e del riscatto, avrebbe suonato i rintocchi della terza agonia di un popolo di generosi se fosse loro mancato il soccorso dei fratelli e il braccio di Garibaldi...
Ma quando, firmati appena i preliminari di Villafranca[6], le sorti di dodici milioni d'Italiani dipendono da pochi giorni di pazienza e d'indugio, Garibaldi che vuol tentare ad ogni costo il passo della Cattolica non è più un eroe che il genio guidi, è un uomo che la passione accieca.

Vita di Giuseppe Garibaldi[modifica]

È la notte del 10 maggio 1860.
Regnano in terra ed in mare il silenzio e la tenebra – ma in quel silenzio e in quella tenebra l'onda della costa sicula è rotta dalla corsa rapidissima, spaventosa di due fantasimi immani.
Un cupo rombo – e – a quando a quando – il rapido guizzo d'una fiammella, o lo spruzzo di alquante scintille ne annunziano il passaggio – ma non è voce od altro indizio che riveli l'opera o la presenza dell'uomo.
Eppure queste non sono ombre fallaci, o fuggevoli apparizioni – esse portano nel loro seno la fortuna d'Italia – Giuseppe Garibaldi e i mille prodi che con lui hanno udito l'appello della eroica Sicilia!
Salpati da Genova la notte del 5 su due vapori di viva forza occupati in nome del più sacro dei diritti – il soccorso agli oppressi – questi generosi una sola cosa paventano – di giungere gli ultimi sul campo di battaglia.
Epperciò spingono, spingono, spingono, – e trovan lente al desiderio ardentissimo le ali rapidissime del vapore.
Ma venti, trenta navi napoletane fanno assidua e rigorosa guardia lungo le coste della Sicilia.
L'incorreggibile Borbonide ha poste in mano ai fratelli le armi sacrileghe, le quali debbono ribadire nel sangue i ceppi ai fratelli.

Citazioni su Pier Carlo Boggio[modifica]

  • Ricordo che una notte, uscendo verso l'alba da un veglione della Pergola, con una brigata di spensierati d'ambo i sessi, mi trovai non so come insaccato dentro un fiacre, il solo ancora disponibile, con altre quattro o cinque persone; mentre che l'onorevole Pier Carlo Boggio, il quale protestava di non voler fare la strada a piedi, spinto da otto o dieci mani sul cielo della carrozza, vi adagiava la sua piccola persona grassa e rotonda, [...]. Chi avrebbe pensato, vedendo in quello strano atteggiamento l'eloquente oppositore del ministero, l'autore delle lettere ad Emilio Ollivier intorno ai fatti di Torino, che pochi mesi dopo egli sarebbe scomparso a Lissa, nei gorghi dell'Adriatico, con gli avanzi del Re d'Italia? (Ugo Pesci)

Note[modifica]

  1. Friedrich Wilhelm Rüstow (1821–1878), militare e scrittore tedesco naturalizzato svizzero.
  2. Nel testo "soggiaquero".
  3. Ferdinand Lecomte (1826–1899), scrittore, storico e militare svizzero.
  4. Francesco Giuseppe I d'Austria.
  5. Riferimento alla campana della chiesa di Santa Maria degli Angeli (o chiesa della Gancia), nel centro storico di Palermo, che nel 1860 diede il segnale dell'inizio della rivolta contro i borbonici.
  6. Riferimento all'armistizio di Villafranca, nella seconda guerra d'indipendenza, tra Napoleone III e Francesco Giuseppe I d'Austria.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]