Rodolfo Lanciani

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Rodolfo Lanciani

Rodolfo Lanciani (1845 – 1929), archeologo, ingegnere e topografo italiano.

L'antica Roma[modifica]

Incipit[modifica]

Solo pochi studiosi sanno che è Cola di Rienzo, il tribuno romano del XIV secolo, il vero fondatore della moderna scuola archeologica, e che a lui deve essere ascritto il merito della rinascita degli studi classici, primato che finora è stato attribuito esclusivamente a Dante Alighieri e Francesco Petrarca. Essi non lo meritano.

Citazioni[modifica]

  • Cola di Rienzo, nato nel 1313, divenne sin dalla prima giovinezza un grande ammiratore degli autori classici romani, specialmente di Livio, Sallustio e Valerio Massimo. «Tutta dìe», dice il suo biografo, «se speculava nelli intagli de marmo li quali iaccio [giacciono] intorno a Roma. Non era aitri che esso, che sapesse leiere [leggere] li antiqui pataffii [epitaffi]». (I. La rinascita degli studi archeologici, p. 30)

Explicit[modifica]

Una di queste perdite [per le opere di arginatura del Tevere], forse la più grande di tutte, è la distruzione o, per essere più precisi, l'alterazione dell'antico ponte che unisce l'Isola di San Bartolomeo con Trastevere, ponte al quale saranno aggiunte due arcate moderne su ognuno dei lati, perché in questo punto il letto del Tevere deve essere allargato. Tale ponte fu costruito ventuno secoli fa da Lucio Cestio e restaurato nel 380 d.C. dall'imperatore Graziano con blocchi di travertino sottratti al vicino Teatro di Marcello, un particolare che dimostra quale fosse il livello di povertà e di umiliazione a cui si era ridotta Roma, la regina del mondo, alla fine del IV secolo dell'era cristiana.

La distruzione dell'antica Roma[modifica]

Incipit[modifica]

Non molto tempo fa, me ne stavo seduto all'estremità meridionale del Palatino, là dove i resti del palazzo di Settimio Severo sovrastano di una cinquantina di metri il livello delle strade moderne; cercavo di misurare con lo sguardo l'abisso che si apriva ai miei piedi e di ricostruire con il pensiero l'aspetto originario di quel luogo. Paragonando misurazioni prese sul posto con le descrizioni e i disegni lasciati da quanti furono testimioni di un migliore stato di conservazione del Palatino, avevo constatato che pochi frammenti di mura sgretolate sparsi qua e là a ridosso della collina, erano i soli superstiti di un palazzo lungo 150 metri, largo 118 e alto 50, peraltro completamente scomparso. Chi ha demolito e asportato questa montagna di muratura? Chi ha abbattuto questo gigante? Forse il tempo? Gli elementi? I barbari? O qualche altra forza inesorabile, la cui azione è passata inosservata all'uomo?

Citazioni[modifica]

  • Possiamo farci un idea dell'entità della distruzione delle statue di marmo considerando la sorte delle «preziosissime immagini degli dei» (pretiosissima deorum simulacra), collocate da Augusto nei santuari agli incroci delle principali arterie della città tra il 10 e il 7 a.C. Il numero di questi santuari, circa duecento al tempo di Augusto, salì a duecentosessantacinque nel 73 e trecentoventiquattro all'inizio del IV secolo. Gli abitanti di Roma avevano così modo di ammirare una collezione quasi completa di capolavori dell'arte plastica greca di ogni epoca. Cosa è stato di queste «preziosissime immagini»? Visto che di quell'incomparabile collezione abbiamo ritrovato soltanto una base e quattro piedistalli, non ci sono dubbi che le 324 «preziosissime immagini» di fattura greca, appartenenti ai santuari, fecero la stessa fine di quelle dei tempi: furono fatte a pezzi ed i pezzi gettati nelle fornaci o usati come volgare pietrisco nelle mura di nuovi edifici. Di queste fondamenta costruite con statue e busti se ne sono ritrovate moltissime. (Capitolo I L'antichità, L'impiego di marmi e altri materiali, presi da edifici più antichi, nelle costruzioni del tardo Impero, pp. 27-28)
  • Nel Medioevo e agli inizi dell'era moderna due categorie di artigiani si fecero notare in modo particolare per la gravità dei danni che arrecarono ai monumenti di Roma, dai quali estraevano materiali preziosi: i marmorari ed i fornaciai. (Capitolo III Il basso Medioevo, Marmorari e fornaciai della Roma medioevale e rinascimentale, p. 99)
  • Se i marmi, le pietre e i mattoni con cui all'epoca del Rinascimento furono costruiti e decorati i nostri palazzi, le nostre case, le nostre chiese, potessero rivelarci il segreto della loro origine, se la polvere di marmo con cui gli artisti del '500 preparavano l'intonaco per rivestire i nostri soffitti e le nostre mura e gli stucchi per decorarli, potesse andare a ricomporre le statue e i bassorilievi da cui era stata ricavata, la nostra conoscenza dell'antica città e dei suoi tesori ne trarrebbe un immenso vantaggio. (Capitolo IV, Dal Rinascimento all'età moderna, Impiego moderno di marmi antichi, p. 138)

Explicit[modifica]

Nel 1845, Faustino Corsi compilò un elenco delle colonne di marmo disperse nei quattordici rioni di Roma e giunse a un totale di settemiladodici. Son trascorsi cinquantaquattro anni dalla pubblicazione di questo elenco, e si può affermare che il numero è aumentato almeno di un decimo, tanto che oggi il totale non deve essere lontano da ottomila. Questa cifra è certamente sorprendente ma non impossibile, se si considera che un tempo, nella città, soltanto le statue di bronzo erano tremila.

Bibliografia[modifica]

  • Rodolfo Amedeo Lanciani, L'antica Roma (Ancient Rome in the Light of Recent Discoveries), traduzione di Lucio Tropia, Newton & Compton editori, Roma, 2005. ISBN 88-541-0361-6.
  • Rodolfo Lanciani, La distruzione dell'antica Roma, Biblioteca di Archeologia, Armando Curcio Editore, Roma, 1986.

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