Samuel Sharp (chirurgo)

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Samuel Sharp (1709 – 1778), chirurgo e scrittore britannico.

Lettere dall'Italia 1765-1766[modifica]

  • Certi luoghi delle Alpi offrono un bellissimo e pur tremendo aspetto: essi mi dettero il primo grande spettacolo, davvero meraviglioso. Credo che la città di Venezia, emergente dalle acque con le incantevoli sue isole adiacenti, potrebbe essere considerata come la seconda delle meraviglie ch'ho visto: e mi permetterei di nominare la Chiesa di San Pietro, in Roma, come la terza di quelle, malgrado che le sue bellezze non derivino dalla natura ma soltanto dall'opera dell'arte. Sopratutto ammiro il cielo, la terra e il mare di Napoli! Le isole, le colline, il golfo, le costruzioni che scendono, come in anfiteatro, fino al mare rendono l'aspetto di questa città cosa di una infinita bellezza. (da Lettera seconda, Napoli, novembre 1765, pp. 18-19)
  • Io suppongo che Napoli sia l'unica città d'Europa che basti a' suoi abitanti; tutte le altre sono rinforzate dalla gente di provincia: quel che costa la vita, quel che occorre al lusso costituiscono in altre grandi città tali ostacoli ai matrimonii ch'esse, in pochi anni, certo resterebbero spopolate se non se ne rimettessero a' provinciali. Invece a Napoli il caso è diverso: si ha la curiosa abitudine di prender gente di servizio coniugata: a Parigi o a Londra poche persone di servizio sposate trovano posto, anzi la gran parte di questa classe rimane tutta la vita senza sposarsi; se lo facessero, difficilmente potrebbero in quelle città i domestici e le cameriere trovar posto anche in diverso modo. A Napoli è l'uso quasi generale di dare un tanto al giorno agli uomini di servizio per nutrirsi, essi non dormono in casa del loro padrone, e quindi son costretti a pigliar moglie: ne accade che un gran numero di ragazze è sempre pronto ad accettare la prima domanda di matrimonio, giacché in Italia le donne vanno difficilmente a servizio come in Inghilterra. [...] La difficoltà d'impiegarsi come serve, quella ancora di guadagnarsi il pane in altro modo, son, giusto, le ragioni che inducono certe povere donne ad affrontare la miseria sicura, la quale le aspetta subito dopo il matrimonio. Sciami di bambini si vedono in tutte le strade abitate da' poveri, e son natural conseguenza di quelle unioni: un marito e una moglie che abitualmente hanno sei o sette figliuoli e una sola stanza per casa contribuiscono specialmente ad affollare le vie della città. (da Lettera nona, Napoli, dicembre 1765, pp. 49-50-51)
  • I lazzaroni sono i più squallidi miserabili che si possano immaginare: in nessun altro paese d'Europa se ne vedono di somiglianti. Tra' facchini, forse, delle vetrerie londinesi si troverebbero due o tre straccioni come questi. E sono a Napoli seimila di questi lazzaroni e non uno di essi dorme mai in un letto: tutti dormono su' gradini che son davanti a' palazzi, o sulle panche della strada. Ne vedete alcuni – e ciò è davvero scandaloso – sdraiarsi sotto i muri di Palazzo reale e lì starsene per tutta la giornata a riscaldarsi al sole come tanti maiali: lo spettacolo è dei più disgustosi. Quasi tutti son presso che nudi: soffrono molto il freddo e se il clima fosse lor meno propizio morrebbero tutti certamente. Anche tra gli operai pochi portano le calze e le scarpe: i loro bambini poi non ne portano mai. Si dice che siano avvezzi a questo e alle intemperie: tuttavia l'inverno li affligge ugualmente di geloni e di piaghe alle gambe, e fanno proprio pietà. In primavera que' poveri piccini son lasciati completamente nudi, e così i lor genitori riescono pur a fare una piccola economia.
    I conventi a Napoli sono ricchi e usano distribuire pane e brodo una volta al giorno a chi domanda questa carità: però i lazzaroni vivono principalmente di quella: altri, o rubando o chiedendo l'elemosina, ottengono abbastanza per soddisfare alle loro necessità e anche per mantenersi sani e robusti. (da Lettera nona, Napoli, dicembre 1765, pp. 51-52)
  • Si dice che fosse costume dei pagani di non soltanto biasimare ma pur di castigare le loro deità quando non ascoltassero le preghiere di quelli antichi: ebbene lo stesso segue nel popolo napoletano. Se la Madonna stessa, oppur un qualunque lor santo in cui ripongono fiducia, non soddisfano le loro preghiere Madonna e santi son davvero trattati male. Per conto mio non posso dire di aver assistito a un caso di una somigliante mancanza di rispetto, ma certo, se mai merita un esemplare castigo una santa, io credo che questa deve essere proprio Santa Lucia. V'era oggi a chiederle aiuto un tal numero di ciechi che al solito arrivano qui ogni anno da queste vicinanze, ch'io non dubito che voi stesso vi sareste indignato al punto di proprio picchiar la santa, per indurla a manifestar senza indugio la sua rara potenza. Ciò naturalmente, se foste stato un cattolico del genere di que' disgraziati. (da Lettera quattordicesima, Napoli, 6 dicembre 1765, pp. 71-72)
  • Se non ricordo male è il Signor Addison il quale afferma che appena un napoletano non sa che farsene si caccia in saccoccia tutte le sue carte e pianta allegramente un processo; è perfettamente vero, e dico anzi che se il Regno di Napoli fosse grande come la Repubblica di Roma nel momento del suo splendore, e se ogni causa dovesse essere giudicata nella capitale, le migliaia di avvocati che qui si vedono sarebbero appena sufficienti.
    La prima volta che mi recai alla Vicaria credetti di essere uscito tardi di casa; le strade erano zeppe di avvocati che andavano a pranzo. Una folla enorme usciva dalla Vicaria e io credetti che il Tribunale si svuotasse. Invece, riuscito a penetrarvi, vi trovai lo stesso numero di gente che s'incontrerebbe ne' teatri di Londra la sera prima di una nuova rappresentazione!
    Benedetto paese, ove chi non è principe o pezzente è paglietta o prete. (da Lettera sedicesima, Napoli, 1766, pp. 79-80.)
  • [La cuccagna, offerta al popolo nel periodo di Carnevale per quattro domeniche consecutive] Ai lati della costruzione sono inchiodati un numero prodigioso di pani in ordine architettonico ed anche una grande quantità di arrosti. Tra i cespugli sono trenta o quaranta montoni vivi, qualche maiale, dei piccoli bovi ed una quantità di polli. Ora la bisogna da compiere è di sacrificare questi poveri animali alla fame del popolo e, per ciò lasciar fare con ordine, ben tremila soldati circondano la costruzione per allontanare la gente finché il Re appaia a un balcone e dia il segnale per principiare la cerimonia sventolando il suo fazzoletto. Allora i soldati aprono i ranghi ed il popolaccio vi si precipita, ognun pigliando la sua preda e portando via le vivande e gli animali. Tutto è finito in un batter d'occhio. In questa confusione ci sono state gravi disgrazie, ma quest'anno non constato che vi siano morti o feriti. Le quattro società dei macellai, dei fornai, dei pescivendoli e dei pollaiuoli fanno le spese dei quattro giorni. Non posso trovare un napoletano qualunque che conosca l'origine di questa abitudine né che mi possa dire se derivi dai mori quando possedevano una parte della Sicilia o se sia d'origine pagana, o, in ultimo, se sia, come pare probabile, un ricordo delle esposizioni di belve che avevano gli antichi romani, giacché corrisponde molto al Venatio Direptionis[1].
    Un inglese vede con meraviglia tante migliaia di persone così pacificamente radunate. A Londra in un'occasione di tanta allegria la metà della gente sarebbe ubbriaca, la si vedrebbe bisticciarsi, azzuffarsi, magari buttar nella folla qualche gatto morto, per accrescere la confusione. Però mi pare che il popolaccio napoletano, per diabolico che sia quando è inquieto, si dimostri più contenuto, quando è di buon umore, del nostro popolaccio. (da Lettera diciassettesima, Napoli, gennaio 1766, pp. 86-87)
  • A Napoli è una piazza chiamata Largo del Castello. Somiglia molto al nostro Fower Hill, ed è il ritrovo del popolo ozioso. Qui, in ogni pomeriggio, i frati e i pagliacci, i borsaiuoli e i ciarlatani compiono la lor bisogna. Un frate (del genere dei nostri predicatori ambulanti) predica a un uditorio di popolani che riesce man mano ad attirare; un pagliaccio tenta di stornar dal frate quella gente, mettendo in mostra Pulcinella; e gli altri parecchi commedianti s'ingegnano a fare altrettanto. Or accadde un giorno che Pulcinella ottenne molto successo. Il povero frate predicava addirittura alle panche: nessuno se gli accostava. Seccato, mortificato, imbestialito all'idea che un teatrino di marionette, a venti metri di distanza da lui, potesse in quel modo sviare l'attenzione del pubblico dall'Evangelo e fargli preferire un sì triviale divertimento, egli levò alto a un tratto il Crocifisso e con voce tra inspirata e rabbiosa si mise a urlare: «Ecco il vero Pulcinella! Ecco il vero Pulcinella! Venite, signori! Venite da me!»
    Ed è così noto in Napoli questo fatto ch'io non mi sarei permesso di narrarvelo, se non lo narrassero, a tutti, anche le persone più pie. (da Lettera ventiquattresima, Napoli, marzo 1766, pp. 126-127)

Citazioni sulle Lettere dall'Italia 1765-1766[modifica]

  • Il poco degno libro d'un insensibile, specialista delle malattie degli occhi, inventore d'un new method of opening the cornea in order to extract the crystalline humour [2] , e forse d'esso felice sperimentatore sopra se medesimo, poiché a nessun più di lui riescì a mancare, assieme a quella dello spirito, la saporosa gastronomia dello sguardo. (Salvatore Di Giacomo)

Note[modifica]

  1. "La caccia, a cui per consenso dell'editore, e del principe dava termine la irruzione nell'arena del popolo, autorizzato, in tale occasione, ad impadronirsi di checché gli cadea sottomano, fu detta caccia di saccheggio, venatio direptionis. La magnificenza dello addobbo, e la quantità delle vittime uccise, consentiva largo campo allo spoglio tumultuoso, che, pei seduti nelle gradinate formava pur esso parte animatissima dello spettacolo.
    I Cesari costumavano far gettare dall'alto nell'affollato anfiteatro pallottole di legno contenenti numeri; ad ogni numero corrispondeva un dono, perfino navigli, isole, poderi." Da Storia del Pensiero nei Tempi Moderni del Conte Tullio Dandolo, vol. II, Stabilimento Tipografico Sensi, Assisi, p. 349
  2. Nuovo metodo di apertura della cornea per estrarre l'umore cristallino.

Bibliografia[modifica]

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