Guglielmo Ferrero

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Guglielmo Ferrero (tra il 1897 e il 1898)

Guglielmo Ferrero (1871 – 1942), sociologo, storico e scrittore italiano.

Citazioni di Guglielmo Ferrero[modifica]

  • L'assolutismo della Santa Alleanza [secondo Luigi XVIII] non fu, come vogliono gli scribi e gli apologisti della Rivoluzione, una pazza sfida della Monarchia e della Chiesa al Progresso e alla Libertà; ma fu l'ultima grande prova di quello spirito, al quale ripugnavano le contradizioni della Rivoluzione legittima e che voleva di nuovo separare la luce dalle tenebre, come Dio aveva fatto nel primo giorno della creazione.[1]

Grandezza e decadenza di Roma[modifica]

Incipit[modifica]

Nella seconda metà del secolo quinto avanti Cristo, Roma era ancora una repubblica aristocratica di contadini, di circa 450 miglia quadrate di superficie, e con una popolazione libera, sparsa quasi tutta nella campagna e divisa in diciassette distretti o tribù rustiche, che non poteva superare le 150 000 anime. Il maggior numero delle famiglie possedevano un piccolo campo; e genitori e figli, vivendo nel piccolo tugurio e lavorando insieme, lo coltivavano quasi tutto a grano, con poche viti ed ulivi; pascolavano sulle vicine terre pubbliche qualche capo di bestiame; fabbricavano in casa gli strumenti rustici di legno e i vestiti, recandosi solo di tempo in tempo nella città fortificata; dove erano i templi degli dei, il governo della repubblica, le case dei ricchi, le botteghe degli artigiani e dei mercanti, per cambiare poco grano, olio e vino con il sale, gli strumenti rustici di ferro e le armi; per assistere alle feste religiose, o compiere i doveri civici.

Citazioni[modifica]

  • Altri [tra i giovani nobili romani] invece, pur arricchendo, conservarono, come tradizione gentilizia, i costumi e le idee antiche, gloriandosi di essere i campioni della tradizione: tale Tiberio Sempronio Gracco, che, come pretore, aveva pacificata la Spagna, conchiudendo equi trattati di alleanza con i principali popoli; e la aveva salvata dai capitalisti, introducendo nella provincia, per tributo, non la decima appaltata ai pubblicani, che vigeva in Sardegna e Sicilia; ma lo stipendium, una contribuzione fissa, parte in denaro e parte in natura, che era riscossa dal governatore. (vol. I, cap. II, pp. 48-49)
  • L'impresa interrotta di Tiberio Gracco fu ricominciata dieci anni dopo da suo fratello Gaio [Sempronio Gracco], uomo davvero straordinario per potenza e grandezza di mente. Gaio che aveva ventun anno, quando Tiberio fu trucidato, era stato nei dieci anni seguenti esempio splendido di alacrità, di studio, di virtù private e civiche alla snervata nobiltà della generazione sua: era stato membro della Commissione agraria; aveva preso parte in varie occasioni alle lotte politiche seguite alla morte del fratello cercando di difenderne la memoria e l'opera; aveva fatto molte campagne ed era stato questore in Sardegna, ma in modo diverso dagli eleganti giovani delle grandi famiglie romane: vivendo nell'accampamento come i soldati e curando molto il loro benessere; spendendo del suo invece di rubare quello dei sudditi; serbandosi casto[2]. (vol. I, cap. III, pp. 84-85)
  • Proponendo, durante il primo suo tribunato, nei comizi tributi, cioè senza dover richiedere prima l'approvazione al Senato, tante cose insieme, di cui ciascuna piaceva o ai ricchi finanzieri, o agli appaltatori, o ai cittadini poveri, o ai possidenti; stringendo intorno a sé una coalizione di interessi mercantili, di appaltatori, banchieri, artigiani, proletari; Gaio [Sempronio Gracco]]] poté facilmente far approvare ogni sua proposta e divenire l'uomo più potente, popolare e affaccendato di Roma. Non solo infatti egli pensava larghi disegni, ma ne vigilava personalmente la esecuzione con una alacrità infaticabile e una energia sempre fresca, rare ormai nella snervata nobiltà romana. (vol. I, cap. III, p. 92)
  • [...] è più facile togliere agli uomini un guadagno che un privilegio, anche formale, tanto essi adorano tutto ciò che li illuda di esser da più che gli altri. (vol. I, cap. III, p. 97)
  • Avviene sempre così nella storia: il desiderio di ingrandire il proprio vivere nasce da prima in pochi; ma, se questi non sono sopraffatti dalle resistenze dell'antico ordine di cose che essi debbono in parte guastare per soddisfarsi, il numero di coloro che vogliono vivere al modo nuovo e la misura dei godimenti desiderati da ognuno, aumentano di anno in anno, di generazione in generazione sinché è possibile accrescere la ricchezza, per il contagio dell'esempio, per la indefinita forza di espansione insita nelle passioni umane, per la necessità quasi direi meccanica degli eventi; perché, a mano a mano che l'antica società perisce, un maggior numero di persone, non potendo vivere più al modo antico, è costretto a vivere al modo nuovo. Tutto allora si muta, secondo è necessario, affinché l'universale desiderio dì un vivere più pieno e più ricco sia soddisfatto. (vol. I, cap. III, p. 98)

L'Europa giovane[modifica]

Incipit[modifica]

Nel castello di Varzin una sera dell'autunno del 1877 – è un amico, il signor Moritz Busch, che racconta – il principe Ottone di Bismarck si era seduto, dopo il pranzo, innanzi al camino e, contrariamente alle sue abitudini, taceva assorto in chi sa quali pensieri, mentre di tempo in tempo, sbadatamente, attizzava con le molle il fuoco. Gli amici intorno rispettavano la sua meditazione, tacendo anch'essi; quando a un tratto, di propria iniziativa, il principe ruppe il silenzio e cominciò un lungo lamento, lagnandosi di aver cavata poca gioia da tutta la sua tempestosa attività di statista e di aver tanto lavorato, senza riescire a far nessuno felice; non sé stesso, non la sua famiglia, non gli altri! Alcuni dei presenti si prestarono compiacentemente all'ufficio di obiettatori, e contraddissero che egli aveva invece fatta felice una intera nazione.
Ma il principe: "No, no: ho fatto molti infelici. Senza me, tre grandi guerre non sarebbero successe; ottantamila uomini non sarebbero periti; e padri e fratelli e sorelle e vedove non piangerebbero adesso. Di questo – è vero – io avrò a rendere conto dinanzi a Dio; ma ad ogni modo di gioia io ne ho cavata poco o niente da quanto ho fatto; e non ho avuto che disinganni, cure e travagli".

Citazioni[modifica]

  • L'amore dell'uomo del sud è l'attaccamento ad una persona, che è sorgente d'intensissimi piaceri sensuali; l'amore del tedesco e dell'inglese è l'affetto per una persona con cui esiste un'affinità di gusti, di idee, di tendenze, rinforzato da una simpatia sessuale. (L'amore nella civiltà latina e germanica, p. 147)
  • Mentre nell'uomo del Sud ogni parola, ogni frase, ogni immagine che si riferisca all'amore basta a suscitare nella coscienza le immagini ardenti e piacevoli della sensualità, nell'inglese o nello scandinavo ogni cosa che ricordi le inferiorità fisiche dell'amore suscita una specie di scoramento e d'impaccio nella coscienza turbata da un contrasto invincibile. Anzi molti diventano, per natura e per abitudine, così sensitivi, che ogni discorso sugli aspetti fisici dell'amore, anche se si annuncia casto e riserbato, li inquieta sin dal principio; onde appena possono lo troncano in fretta, come se temessero di vederlo cader giù e di sentirsi ridestato dentro quel sentimento di contraddizioni così doloroso, che fa spesso arrossire e rende impacciati, come delle fanciulle, dei giovinotti di trent'anni. (L'amore nella civiltà latina e germanica, pp. 155-156)
  • [...] non si potrebbe paragonare la popolarità dell'Heine con quella dello Schiller o del Goethe; questi due genii autenticamente tedeschi. Tutti leggono Heine; ma tutti o quasi tutti trovano che certi aspetti di lui ripugnano: uno vi dice che è troppo frivolo, l'altro che è troppo amaro; un terzo che è immorale, un quarto, infine, che Heine non capì la Germania e che fu ingiusto e crudele con la sua patria. (La lotta di due razze e di due ideali. L'antisemitismo, p. 354)
  • Tra i libri classici dati a leggere alla gioventù, nelle scuole o nelle famiglie, non troverete mai Heine, che è letto, in ogni caso, dai giovani e anche dalle ragazze quasi di nascosto: le sue poesie sono considerate un poco come un frutto dolce e saporito, ma pregno di qualche veleno, che non si può dare perciò come cibo intellettuale e morale alla gioventù in via di sviluppo. (La lotta di due razze e di due ideali. L'antisemitismo, p. 354)
  • Heine non ha statue; Heine non è ufficialmente riconosciuto come uno dei grandi poeti della Germania; Heine non è oggetto di una critica abbondante e metodica. La Germania insomma ammira Heine; ma come un ragazzo di poco giudizio, a cui si devono perdonare molti vizi grazie alle splendide doti dell'ingegno. (La lotta di due razze e di due ideali. L'antisemitismo, p. 354)

La donna delinquente[modifica]

Per approfondire, vedi: La donna delinquente.

Note[modifica]

  1. Da Memorie e confessioni di un sovrano deposto, Fratelli Treves Editori, Milano, 1920, Parte prima, cap. II, p. 53.
  2. AUL. Gell. 15, 1. [N.d.A.]

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]