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Heinrich Heine

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Heinrich Heine, 1831. Ritratto di Moritz Daniel Oppenheim

Christian Johann Heinrich Heine (1797 – 1856), poeta tedesco.

Citazioni di Heinrich Heine

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  • A prescindere da cosa si pensi dei gesuiti, bisogna comunque ammettere che ebbero sempre un senso di praticità nell'insegnamento, e sebbene le materie riguardanti l'antichità, secondo il loro metodo, venissero insegnate in forma alquanto mutilata, pure essi generalizzarono la conoscenza dell'antichità, per così dire la democratizzarono, essa entrò nelle masse, mentre col metodo odierno il singolo erudito, aristocratico dell'ingegno comprende meglio l'antichità e gli antichi, ma alla massa del popolo ben di rado rimane in testa un pezzo classico, un qualche pezzo di Erodoto, o una favola di Esopo o un verso di Orazio [...].[1]
  • Accadde a Trento, dove giunsi il pomeriggio di una bella domenica, nell'ora che l'afa cala, e gli italiani si alzano e scendono a passeggio per le strade. La città si adagia, vecchia e cadente, in un'ampia cerchia di monti di un bel verde lucido, che, come Dèi eternamente giovani, guardano dall'alto le labili fatiche umane. Vecchia e fradicia, le sta accanto la rocca che un tempo dominò la città, estrosa costruzione di tempi estrosi, con pinnacoli, sporgenze, merli e un'ampia torre rotonda, dove non abitano ormai che gufi e invalidi austriaci di guerra. Anche la città è estrosamente costruita, e uno straordinario effetto fa la vista delle antichissime case dagli affreschi sbiaditi, dalle figure dei santi mutilate, con quelle torrette, logge, finestrelle, e i frontoni sporgenti in guisa di palchi, che grigi pilastri indeboliti dagli anni, bisognosi anch'essi di sostegno, puntellano. Spettacolo triste, se la natura non rianimasse di nuova vita quelle pietre morte; se miti viticci non abbracciassero con tenerezza dolce i pilastri cadenti, come la gioventù la vecchiaia; se dalle scure finestre ad arco non occhieggiassero volti ancor più dolci di fanciulla, sorridenti al viaggiatore tedesco che vaga come in un sogno tra le rovine fiorite.[2]
  • Chopin non mette la sua soddisfazione nel fatto che le sue mani siano applaudite per la loro abile virtuosità da altre mani. Aspira ad un più bel successo. Le sue mani sono le fedeli serve della sua anima. E la sua anima è applaudita da gente che non ascolta solo con le orecchie, ma con l'anima. Perciò è il preferito da quella società eletta che cerca nella musica le più alte gioie dello spirito. I suoi successi sono di natura aristocratica. La sua gioia è come profumata dalle lodi della buona società. È la distinzione della sua stessa persona.[3]
  • Come la birra che si esporta, i tedeschi non diventano migliori all'estero.[4]
  • Da Gustavo Adolfo, di gloriosa memoria, nessuna fama svedese ha fatto tanto chiasso per il mondo come Jenny Lind. Le notizie che ci giungono dall'Inghilterra hanno raggiunto il limite dell'incredibile. Nei giornali strombettano solo gli ottoni, fanfare del trionfo; udiamo soltanto pindarici canti di lode. Un amico mi ha raccontato di una città inglese dove si suonarono a distesa tutte le campane, mentre l'usignolo svedese vi faceva il suo ingresso, ed il vescovo locale solennizzò l'avvenimento con una rimarchevole omelia.[5]
  • [Ultime parole] Dio mi perdonerà. È il suo mestiere.
Dieu me pardonnera. C'est son métier.[6]
  • [Su La canzone dei Nibelunghi] È un linguaggio di pietra, e i versi sembrano blocchi di macigno squadrati. Qua e là, tra le fessure, sgorgano fiori vermigli come gocce di sangue, o pendono lunghi tralci d'edera come verdi lacrime.[7]
  • È il genio, come una perla nell'ostrica, solo una splendida malattia?[8][9]
  • È un'antica storia che rimane sempre nuova.
Es ist eine alte Geschichte, | Doch bleibt sie immer neu.[10]
  • [Gotthold Ephraim Lessing] Egli ha spaccato molte zucche per pura arroganza, dimostrandosi poi tanto maligno, da sollevarle dal suolo e mostrare al pubblico che dentro erano vuote.[11]
  • Essere appassiti, sfogliati, persino calpestati dai rudi piedi della sorte: questa, amico, è sulla terra la sorte del bello e del dolce.[12]
  • George Sand non brilla né per la sua conversazione né per la sua voce. Non ha assolutamente nulla dello spirito spumeggiante delle francesi, ma niente pure del loro chiacchierio senza fine.[13]
  • I censori tedeschi ................ ..... ...... ..... ... imbecilli.... ........[14]
  • L'aria è fresca e s'imbruna; | placido il Reno scorre; | la cima del monte s'illumina | nel raggio del sole che muore. || Quasi un prodigio, una fanciulla | bellissima lassù siede: | lampeggiano aurei gioielli; | si pettina le chiome d'oro. || Con aureo pettine le avvolge, | modulando una sua canzone: | ricca di un fascino arcano, | violento, la melodia risuona. || Nell'esile nave il marinaio | selvaggia angoscia afferra: | più non vede gli aguzzi scogli, | proteso è il suo sguardo nell'alto. || Ben so che l'onde alla fine | vascello e nocchiero ingoiano: | così del canto della Lorelei il fascino arcano s'adempie.[15]
  • La libertà è una nuova religione, la religione del nostro tempo.[16][9]
  • La morte è la notte fresca; la vita, il giorno tormentoso.[17]
  • Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini.
Dort wo man Bücher verbrennt, verbrennt man auch am Ende Menschen.[18]
  • La pedagogia era la specialità dei gesuiti e, quantunque volessero esercitarla nell'interesse del loro ordine, talvolta prendeva il predominio la passione per la pedagogia stessa, l'unica passione umana che rimaneva loro, ed essi dimenticando il loro fine, ovvero la repressione della ragione in favore della fede, invece di far tornare gli uomini nuovamente bambini, come si proponevano, hanno trasformato con l'insegnamento, contro il proprio volere, i bambini in uomini. I più grandi protagonisti della rivoluzione sono usciti dalle scuole dei gesuiti, e senza la disciplina di questi la grande rivoluzione degli spiriti sarebbe forse avvenuta solo un secolo più tardi.[19]
  • Le bestie selvagge poi creò, | leoni dagli artigli furiosi; | e a immagine del leone generò | i gattini, piccoli e curiosi.[20]
  • Ma davanti a me, in mezzo, si ergeva l'antichissimo Duomo, non grande, non cupo, simile a un arzillo vegliardo, amabile e cordiale. Appena scostai il tendone di seta verde che chiude l'ingresso del Duomo ed entrai nella casa di Dio, mi sentii piacevolmente rinfrescare anima e corpo dalla mite aria che vi spirava, dalla magica luce vellutata che dalle finestre a colori pioveva sulla moltitudine orante.[21]
  • [Toccando delle commedie shakespeariane] Negli uomini al pari che nelle donne la passione vi è affatto priva di quella paurosa serietà, di quella fatalistica necessità, con cui si manifesta nelle tragedie. Amore, in verità, vi porta, come sempre, una benda e una feretra piena di dardi. Ma questi dardi sono piuttosto alati che mortalmente acuminati, e il piccolo dio guarda a volte sottecchi, malizioso, scostando le bende. Anche le fiamme splendono in esse più che non brucino. Ma fiamme non sempre, e, nelle commedie shakespeariane, l'amore serba sempre carattere di verità.[22]
  • Questo è il bello di noi tedeschi: che nessuno è tanto pazzo da non trovarne uno più pazzo che lo comprenda.[23]
  • Senti la campanella? In ginocchio! Portano gli ultimi sacramenti a Dio che muore![24]
  • Sì, Jenny Lind è una tedesca; il suo nome del resto fa pensare ai tigli, i verdi cugini della quercia tedesca; non ha capelli neri come le prime donne celtiche, nei suoi occhi azzurri languono espressione e chiaro di luna nordiche, e nella sua gola canta la più pura verginità.[25]
  • Sia lode ai francesi che si son presi a cuore i due bisogni fondamentali della società umana: il mangiar bene e l'eguaglianza civile, e han fatto passi da gigante nell'arte culinaria e nella libertà.[26]
  • Sulle ali del canto.
Auf Flügeln des Gesanges.[27]
  • Un'altra accusa che già in tempi anteriori e, lungo tutto il medioevo, fino all'inizio del secolo scorso costò agli ebrei molto sangue e molto terrore era la stupida favola, ripetuta fino alla nausea in cronache e leggende, ch'essi rubassero le ostie consacrate e le forassero con un coltello fino a farne stillare il sangue e che, per la loro festa di Pessach, trucidassero dei bimbi cristiani per usarne il sangue durante il rito notturno. Gli ebrei, già odiati per via della loro fede, delle loro ricchezze e dei loro libri mastri, in quei giorni erano completamente in balía dei nemici loro che potevano, con troppa facilità invero, provocarne la rovina solo che spargesser la voce d'uno di quegli infanticidi o addirittura, di frodo, introducessero il cadavere insanguinato d'un bimbo nella casa proscritta di un ebreo per poi sorprendere di nottetempo la famiglia in preghiere; e allora si ammazzava, si saccheggiava, si battezzava e grandi miracoli accadevano per merito del morticino ritrovato che la Chiesa finiva per canonizzare addirittura.[28]

Dalle memorie del signor von Schnabelewopski

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Mio padre si chiamava Schnabelewopski, mia madre si chiamava Schnabelewopska; e, figlio legittimo d'entrambi, io nacqui a Schnabelewops l'1 aprile 1795. La mia prozia, la vecchia signora Pipitzka, si prese cura della mia prima infanzia, mi raccontava molte belle fiabe e spesso mi addormentava con una canzone di cui mi sono uscite dalla mente melodia e parole. Non dimenticherò mai, invece, il misterioso modo in cui annuiva, cantando, con la testa tremolante, insieme all'apparizione malinconica dell'unico dente che le era rimasto, l'eremita della sua bocca.. Talvolta mi ricordo anche del pappagallo, sulla cui morte aveva pianto così amaramente. La vecchia prozia adesso è morta anche lei, e io sono certo l'unica persona al mondo che pensi ancora al suo pappagallo. La nostra gatta si chiamava Mimi e il nostro cane Joli. Esso aveva grande conoscenza degli uomini e si teneva alla larga ogni volta che mettevo mano al frustino. Una mattina il nostro servitore disse che il cane teneva la coda un po' stretta fra le gambe e la lingua gli penzolava un po' più lunga del solito; il povero Joli venne allora gettato in acqua con alcune pietre legate al collo. In quella circostanza il cane annegò.

Citazioni

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  • Amburgo è una buona città, tutta fatta di solide case. Qui non regna l'esecrabile Macbeth, qui regna Banco. Lo spirito di Banco regna dovunque in questo piccolo Stato libero, il cui capo visibile è un Senato inclito e saggio. In effetti è uno Stato libero e vi si gode la più ampia libertà politica. (p. 51)
  • Per i lettori che non conoscono Amburgo – e ve ne sono forse in Cina e nell'Alta Baviera – dirò che la più bella passeggiata dei figli e delle figlie d'Ammonia porta a buon titolo il nome di Jungfernsteg [Corso delle fanciulle], un viale di tigli chiuso su un lato da una fila di case e sull'altro dal grande bacino dell'Alster. (p. 63)
  • Cos'è di una ruota più tondo? | Dove si brinda al Natal più giocondo? | Dove va il sole, quando non lo vedi? | Ed il morto, dove volge i piedi? | Guardati intorno, ser Vonved!
    [...] Della ruota il sole è più tondo. | In ciel si festeggia un Natale giocondo. | Va a occidente il sole che non vedi. | E il morto ad oriente volge i piedi. | Guardati intorno, ser Vonved! ([Antica canzone danese riprodotta e variata da Heine; citato da Wilhelm Grimm in Altdänische Heldenlieder, Balladen und Märchen], p. 81)
  • Le rive dell'Elba sono assai amene, specialmente oltre Altona, presso Rainville. Non lontano è sepolto Klopstock. Non conosco un luogo dove un poeta, una volta morto, possa trovare sepoltura più conveniente. È già molto più difficile viverci da poeta in carne ed ossa. Quante volte ho visitato la tua tomba, cantore del Messia, che hai saputo evocare in modo così commovente e vero le pene di Gesù! Tu pure, però, hai abitato abbastanza a lungo nella Köningstraße, dietro lo Jungfernsteg [Corso delle fanciulle], per sapere come vengono crocifissi i profeti. (p. 93)

Impressioni di viaggio

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VIAGGIO NELLO HARZ

Giacche nere, calze di seta,
distinti polsini bianchi
paroline dolci, baci, leziosità!
Ah, se avessero un po' di cuore!
Un po' di cuore in petto, e amore,
un po' di vero amore in cuore!
Oh! le litanie delle loro false
pene d'amore mi tolgono la vita.

Voglio andarmene sui monti
dove stanno le capanne quiete,
dove il cuore si dilata libero
e l'aria soffia libera.

Voglio andarmene sui monti
dove sono gli abeti alti e scuri,
dove i ruscelli mormorano, gli uccelli cantano,
e le nuvole galoppano orgogliose.

Addio, saloni lucidi,
lucidi gentiluomini, signore levigate,
voglio andarmene sui monti
e da lassù ridere di voi.

La città di Gottinga, famosa per le sue salsicce e per la sua università, appartiene al re dello Hannover, ed ha novecentonovantanove focolari, varie chiese, una clinica ostetrica, un osservatorio astronomico, un carcere, una biblioteca, e una cantina municipale dove la birra è assai buona.
Il ruscello che le scorre davanti si chiama Leine e l'estate ci si fanno i bagni; l'acqua è molto fredda e il ruscello è tanto largo in alcuni punti, che, per saltare dall'altra parte, Luder dovette prendere una grande rincorsa. (1974)

Citazioni

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  • I monaci del medio evo non avevano del tutto torto quando affermavano essere il greco un'invenzione del demonio. Dio conosce le sofferenze che ho sopportato studiandolo. (1974; p. 88)
  • Quelle canaglie degli dèi che allegramente governavano il mondo, mi piacevano molto. Io non credo che uno studente dell'antica Roma abbia mai imparato a memoria i punti fondamentali del suo catechismo, per esempio gli amori di Venere, meglio di quanto non lo abbia fatto io. Per dire la verità, dopo aver imparato a memoria i nomi delle antiche divinità, le avremmo anche dovute conservare, e forse non abbiamo tratto grandi vantaggi dalla nostra trinità neo-romana, o dal nostro monoteismo giudaico. Forse quella mitologia non era affatto tanto immorale, e si è trattato piuttosto di una diffamazione posteriore perché, per esempio, il porre un marito al fianco della corteggiatissima Venere, fu un pensiero molto decente da parte di Omero. (1974; p. 89)
  • Spesso mi sentivo avvolto dal profumo degli aranci e dei limoni che spirava da quei monti, carezzevole e pieno di lusinghe, come un invito ad andare in Italia. Anzi, una volta, nella luce d'oro del crepuscolo, vidi lui in persona, sulla cima di un monte il giovane dio della primavera, col capo glorioso coronato di fiori e di alloro, gli occhi ridenti: e la sua bocca fiorita gridò: «Ti amo, vieni da me, in Italia.» (1974; p. 132)
  • Sento in me tutta la dolce sofferenza di esistere, tutte le gioie e tutti i dolori del mondo sono miei, soffro per la salvezza di tutto il genere umano, ne sconto i peccati, ma me li godo anche. (1974; p. 133)
  • [...] qualche volta mi sembra che il diavolo, i gesuiti, e l'aristocrazia possano esistere fin tanto che uno ci crede. (1974; p. 137)
  • Ai poveri italiani ridotti in schiavitù è vietata la parola, ed essi possono manifestare i sentimenti del loro cuore solo attraverso la musica. Tutto il loro odio contro la dominazione straniera, il loro amore per la libertà, la pazzia per il sentimento che hanno della loro impotenza, la loro malinconia al ricordo dello splendore passato, ed insieme la loro vaga speranza, la loro attesa, lo spasmodico desiderio d'aiuto, tutto questo è nascosto in quelle musiche che dalla più grottesca ebbrezza di vita scivolano in una morbidezza elegiaca e in quelle pantomime cha dalle carezze languide scattano improvvisamente nella più minacciosa collera. Questo è il significato dell' Opera buffa. (1974; p. 151)
  • La vita e il mondo sono il sogno di un Dio ebbro, che fugge silenzioso dal banchetto divino e va a dormire su una stella solitaria, ignorando che quando sogna crea... E le immagini di questo sogno si presentano, ora con una variegata stravaganza, ora armoniose e sensate... l'Iliade, Platone, la battaglia di Maratona, la Venere dei Medici, il Muster di Strasburgo, la rivoluzione francese, Hegel, le navi a vapore, sono pensieri che si sono staccati da quel lungo sogno. Ma un giorno il Dio si sveglierà sfregandosi gli occhi addormentati, sorriderà, e il nostro mondo sprofonderà nel nulla senza essere mai esistito... (citato in Arturo Pérez-Reverte, La pelle del tamburo)
  • Non lontano da Genova, sulla cima dell'Appennino, si vede già il mare. Fra i verdi cocuzzoli delle montagne compaiono i flutti azzurri, e le navi che si scorgono qua e là sembrano voler salire sui monti a vele spiegate. Se però si gode questa vista al crepuscolo, quando gli ultimi raggi di sole iniziano il loro mirabile gioco con le prime ombre della sera e tutti i colori e tutte le forme si intrecciano nebulosamente, allora par d'essere veramente in una fiaba, la carrozza scende stridendo, le immagini più dolci e sonnecchianti nell'anima vengono bruscamente scosse e tornano ad appisolarsi, e infine si sogna d'essere a Genova. (1960; pp. 357-358)
  • Questa città è vecchia senza essere antica, stretta senza essere accogliente, e brutta oltre misura. È costruita sulla roccia, ai piedi di montagne disposte ad anfiteatro che paiono abbracciare bellissimo golfo, per cui i Genovesi hanno avuto in dono dalla natura il porto migliore e più sicuro. Ergendosi la città, come si è detto, su un sol pezzo di roccia, per risparmiare lo spazio si dovettero costruire le case molto alte e le strade molto strette, cosicché quest'ultime sono quasi tutte oscure e solo in due di esse può passare una carrozza. Ma gli abitanti, che sono perlopiù gente di commercio, adoprano le loro case quasi esclusivamente come depositi per le merci e, di notte, per dormirci; di giorno vanno trafficando per la città o stanno seduti davanti alla porta di casa, anzi dentro la porta, perché altrimenti quelli che abitano dirimpetto li urterebbero con le ginocchia. (1960; p. 358)
  • Dalla parte del mare, specialmente verso sera, Genova offre una vista migliore. Essa giace in riva al mare come lo scheletro sbiancato di una bestia gigantesca trascinata lì dalla marea, formiche brune che si chiamano Genovesi vi vanno strisciando intorno, le onde azzurre la bagnano mormorando col loro sciacquio una ninnananna, e la luna, il pallido occhio della notte, guarda giù tutta malinconica. (1960; p. 358)
  • Nonostante siano perlopiù in decadenza, i palazzi degli antichi dominatori di Genova, i nobili, sono ancora molto belli e pomposamente adorni. Quasi tutti sorgono sulle due strade più larghe, dette Strada Nuova e Balbi. (1960; p. 359)
  • Il più notevole è Palazzo Durazzo. Esso contiene quadri di valore, tra cui il Cristo di Paolo Veronese con la Maddalena che gli asciuga i piedi, così bella da far temere che si lascerà sedurre ancora una volta. Io mi fermai a lungo davanti al quadro, ma ahimè, ella non alzò gli occhi! Il Cristo se ne sta lì come un Amleto della religione che dica: «Go to a nunnery!». Qui vidi anche alcuni dipinti di Olandesi e degli eccellenti Rubens; questi ultimi permeati della colossale giovalità del fiammingo Titano, le cui ali spirituali erano così forti che lo portarono in volo fino al sole sebbene alle sue gambe pendessero una cinquantina di quintali di formaggio olandese. (1960; p. 359)

La scuola romantica

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Il libro di Madame de Staël, «De l'Allemagne», è l'unica notizia comprensiva che i francesi posseggano sulla vita intellettuale della Germania. Eppure, da quando quel libro è comparso, è trascorso un grande tratto di tempo, e frattanto, si è sviluppata in Germania una letteratura completamente nuova. È questa soltanto una letteratura di transizione? Ha essa già raggiunto il suo fiore? È già avvizzita? Su questo punto le opinioni sono divise. I più credono che con la morte di Goethe sia cominciato in Germania un nuovo periodo letterario, che con Goethe sia scesa nella tomba la vecchia Germania, che sia finita l'epoca aristocratica della letteratura, e cominci l'epoca democratica, o come si esprimeva recentemente un giornalista francese: «sia cessato lo spirito dei singoli, sia cominciato lo spirito di tutti».

Citazioni

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  • [...] Voss è un contadino della bassa Sassonia, come fu Lutero; a lui mancava ogni elemento cavalleresco, ogni cortesia, ogni graziosità; egli appartenne interamente a quella vigorosa, potente, virile e forte razza popolana, alla quale il cristianesimo dovette essere predicato col fuoco e con la spada, che solo dopo aver perduto tre battaglie si assoggettò a questa religione, ma che però nei suoi costumi e nelle sue maniere conservò sempre molta rigidità nordico-pagana, e nelle sue battaglie materiali e spirituali si mostra così prode e tenace come i suoi vecchi Dei. (Libro primo, p. 50)
  • Federico, conte di Stolberg, era un poeta della vecchia scuola, straordinariamente famoso in Germania, forse meno per i suoi talenti poetici che per il titolo di conte, il quale allora nella letteratura tedesca aveva assai maggior valore di adesso. [...] Quando poi Fritz Stolberg passò chiassosamente nella chiesa cattolica e abiurò la ragione e l'amore della libertà e diventò uno zelatore dell'oscurantismo e sedusse molti deboli col suo nobile esempio, allora Giovanni Enrico Voss, il vecchio settantenne, si levò pubblicamente contro l'altrettanto vecchio amico di gioventù e scrisse l'opuscolo: «In qual modo Fritz Stolberg cessò di essere un uomo libero?». (Libro primo, pp. 51-52)
  • [...] la polemica di Voss esercitava una formidabile influenza sul pubblico, e distruggeva nella pubblica opinione l'imperversante predilezione per il Medio Evo. Quella polemica aveva eccitata la Germania, una grossa parte del pubblico si dichiarò incondizionatamente per Voss, una parte maggiore si dichiarò soltanto per la causa di Voss. Si succedettero scritti e controscritti, e gli ultimi giorni di vita del vegliardo furono non poco amareggiati da questo affare. Egli aveva a che fare coi peggiori avversari, coi preti, che presero tutte le maschere per attaccarlo. Non soltanto i segretamente cattolici, ma anche i pietisti, i quietisti, i mistici luterani, in breve, tutte quelle supernaturalistiche sette della Chiesa protestante che professano opinioni tanto diverse, si unirono però con odio egualmente grande contro Giovanni Enrico Voss, il razionalista. (Libro primo, p. 54)
  • Federico Schlegel fu un uomo acuto e profondo.
    Egli riconosceva tutte la magnificenze del passalo, e sentiva tutti i dolori del presente. Ma non comprese la santità di questi dolori e la loro necessità per la futura salvezza del mondo.
    Egli vedeva tramontare il sole e guardava melanconicamente verso il punto del tramonto e gemeva sulle tenebre notturne che sarebbero seguite; e non notava che già una novella aurora brillava dalla opposta parte del cielo. (Libro secondo, p. 90)
  • Un giorno, Federico Schlegel chiamò l'investigatore della storia «un profeta a ritroso». Questa parola è la miglior definizione di lui stesso. Egli aveva in odio il presente, l'avvenire gli faceva paura, e soltanto nel passato, ch'egli amava, penetravano i suoi rivelatori sguardi profetici.
    Quel povero Federico Schlegel, nei dolori del tempo nostro non ravvisò i dolori della rinascita, ma l'agonia del morire, e per paura della morte si rifugiò nelle tremolanti rovine della Chiesa cattolica. (Libro secondo, pp. 90-91)
  • Lo stesso rimprovero [che ho rivolto al suo libro Saggezza e lingua degli indiani] si può fare alle lezioni di Schlegel sulla letteratura. Qui Federico Schlegel guarda l'intera letteratura da un eccelso punto di vista, ma questo eccelso punto di vista è pur sempre il campanile di una chiesa cattolica. E in tutto ciò che Schlegel dice si ode suonare questa campana: talvolta si odono persino i corvi della torre gracchiare, svolazzandole intorno. A me sembra che odori da questo libro l'incenso della messa solenne e che dai più bei brani di quello io veda spiare e ammiccare idee tonsurate. Ma a dispetto di questi difetti io non conosco libro migliore su questa speciale materia. (Libro secondo, pp. 94-95)
  • Il signor barone de la Motte Fouquè fu l'unico poeta epico della scuola [romantica] i cui romanzi abbiano dilettato il pubblico intiero. (Libro terzo, p. 207)
  • [...] il signor de la Motte Fouquè fu letto con egual piacere dalla duchessa fino alla lavandaia [...]. (Libro terzo, p. 208)
  • [...] egli [de la Motte Fouqué] è uno di quegli eroi del canto o cantori di eroi la cui lira e la cui spada risuonano più forte durante la cosidetta guerra di liberazione. Il suo alloro è di schietto genere. Egli è un vero poeta, e la consacrazione della poesia giace sulla sua testa. A pochi scrittori fu tributato un omaggio così generale come, una volta, al nostro ottimo Fouquè. (Libro terzo, pp. 212-213)
  • La grandezza del signor Cousin appare tanto più luminosa quando si vede ch'egli ha imparata la filosofia tedesca senza sapere la lingua in cui questa viene insegnata. Quanto questo genio sorprende noi uomini comuni, che solo con grande fatica comprendiamo questa filosofia sebbene dall'infanzia abbiamo famigliare la lingua tedesca! (Appendice, p. 257)
  • Sì, io non posso [fare] a meno di biasimare amaramente il signor Cousin per una circostanza: questa, ch'egli, che ama la verità non meno di Platone e di Tennemann, è ingiusto verso sé stesso, calunnia sé stesso, tentando di persuaderci che egli ha tolto alcunché a prestito dalla filosofia dei signori Hegel e Schelling. Io devo difendere il signor Cousin da questa auto-accusa. Sulla mia parola e sulla mia coscienza! questo brav'uomo non ha rubato nulla alla filosofia dei signori Schelling e Hegel, e se si è portato a casa qualcosa come ricordo di questi due, fu soltanto la loro amicizia. (Appendice, pp. 258-259)

Citazioni su La scuola romantica

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  • La Scuola romantica pubblicata prima in francese nell'Europe littéraire a giudizio di Guglielmo Schmidt è uno de' suoi più notevoli scritti, in cui la natura del romanticismo tedesco è analizzata con un acume e un'esattezza, non superati da verun altro storico o critico. Questo libro, ricomparso poi di nuovo in francese sotto il titolo De l'Allemagne, ebbe principalmente per iscopo di rettificare i molti errori, i molti parziali giudizi contenuti nell'opera omonima della Stäel, scritta sotto l'influenza[29] della scuola romantica, e specialmente dello Schlegel. (Casimiro Varese)

Lutezia

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  • Quando il figlio d'Esculapio non sa più che fare col suo paziente, allora ci manda ai bagni, con una lunga lettera diagnostica, che non è altro che una lettera di raccomandazione diretta al caso! (p. 373)
  • [...] pensavo intensamente alla mia Parigi, dove in ultimo non potevo resistere più con tante danze e musiche, e che oggi tuttavia il mio cuore risogna. Magico e strano incanto! A forza di feste e di svaghi, Parigi diventa alla fine così stancante, così opprimente, così insopportabile, tutt'i divertimenti vanno congiunti a fatiche così estenuanti, che si esulta di gioia quando si riesce a sfuggire a quella galera del piacere... E appena si è lontani qualche mese, basta la melodia d'un valzer o l'ombra d'una gamba di ballerina, per destare in noi la più struggente nostalgia di Parigi! (pp. 373-374)
  • [...] l'Opera italiana è la sempre virente foresta canora, dov'io mi rifugio spesso, quando mi avvolge delle sue nebbie la tristezza invernale, o il gelo della vita mi diventa insoffribile. Là, nel soave angolo d'un palco un po' occultato, ci si sente deliziosamente riscaldati e non si muore almeno al freddo. La malia melodiosa trasforma in poesia ciò che un momento prima era ancora prosaica realtà, il dolore si perde in fioriti arabeschi, e il cuore rigode. (pp. 397-398)

Incipit di Notti fiorentine

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Nell'anticamera Massimiliano trovò il medico che stava infilandosi i guanti neri.[30]

Citazioni su Heinrich Heine

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  • Chi non conosce Heinrich Heine, non conosce la letteratura tedesca. (Sophie Scholl)
  • Egli è in Germania il primo pensatore e poeta rivoluzionario che sia al livello dello sviluppo europeo, nonché, accanto a Goethe e Hoffmann, l'unico scrittore tedesco dell'Ottocento che abbia avuto una vera influenza sulla letteratura mondiale. (György Lukács)
  • Heine non ha statue; Heine non è ufficialmente riconosciuto come uno dei grandi poeti della Germania; Heine non è oggetto di una critica abbondante e metodica. La Germania insomma ammira Heine; ma come un ragazzo di poco giudizio, a cui si devono perdonare molti vizi grazie alle splendide doti dell'ingegno.
  • Non si potrebbe paragonare la popolarità dell'Heine con quella dello Schiller o del Goethe; questi due genii autenticamente tedeschi. Tutti leggono Heine; ma tutti o quasi tutti trovano che certi aspetti di lui ripugnano: uno vi dice che è troppo frivolo, l'altro che è troppo amaro; un terzo che è immorale, un quarto, infine, che Heine non capì la Germania e che fu ingiusto e crudele con la sua patria.
  • Tra i libri classici dati a leggere alla gioventù, nelle scuole o nelle famiglie, non troverete mai Heine, che è letto, in ogni caso, dai giovani e anche dalle ragazze quasi di nascosto: le sue poesie sono considerate un poco come un frutto dolce e saporito, ma pregno di qualche veleno, che non si può dare perciò come cibo intellettuale e morale alla gioventù in via di sviluppo.
  • A dodici anni, o giù di lì, cominciò a innamorarsi. Diciamo cominciò, perché l'amore, o a meglio dire gli amori furono la sua continua, fatale passione. In ogni tempo, in ogni luogo, fra i lieti svaghi, fra l'aspre lotte letterarie e politiche essa lo dominò con tutte le sue mollezze sentimentali, con tutti i suoi sensuali capricci; e fin sul letto della lunga infermità, ove da ultimo lo stese, fin sulla soglia della morte lo torturò coi desideri delle non più concesse sodisfazioni. «Finché vi saran donne – dice in un luogo dei Reisebilder – il mio cuore non cesserà di amare. S'ei si raffredda per l'una, divampa subito per l'altra. Come in Francia il re non muore mai, così nel mio cuore non muore mai la regina, e vi si grida: La reine est morte, rive la reine!»
  • È cosa notevole come la religione non abbia mai cessato di occupare la mente del Heine, e sia stata per lui tanto spesso argomento d'esame e dei più contrari giudizi. Giudaismo, cristianesimo, panteismo, deismo egli esalta e sfata con la stessa veemente dialettica. Secondo ch'ei considera nei suoi correligionari l'ostinatezza di spirito angusto con cui s'attaccavano a forme antiquate, e s'opponevano ai progressi della civiltà, o ne contempla l'eroico martirio, i due millenni di patimenti, ora chiama gli Ebrei un funesto popolo primitivo, venuto dall'Egitto, patria dei coccodrilli e del pretismo, recando seco, oltre alle malattie di pelle, e ai rubati vasi d'oro e d'argento, una così detta religione positiva, un modello delle successive religioni di stato; una mummia di popolo che cammina sulla terra avviluppata nelle sue antichissime fasce di caratteri, un frammento di storia universale petrificato, un fantasma che pel suo mantenimento negozia in cambiali e calzoni vecchi; ora invece chiama la Giudea la culla del moderno principio cosmopolitico di libertà e d'eguaglianza, ed esprime la sua ammirazione per questo popolo dalla forte tempra, che diciotto secoli di persecuzione non hanno potuto scrollare.
  • Il Heine ha combattuto per quasi tutta la vita contro la religione di stato e il dominio sacerdotale, ma lo spirito della religione gli fu sacro sotto qualunque forma. Ad onta di tutti i suoi motteggi è innegabile che, se lo scetticismo, che s'impadronì per tempo dell'animo suo, gli tolse la credenza in qualsiasi culto stabilito, esso non ha potuto spegnere in lui il sentimento religioso, la fede in un Dio. Lo vedremo dalle sue Confessioni.
  • Parlando del cristianesimo, bello e santo gli appariva quello dei primi secoli, quando era ancora simile al suo fondatore nell'eroismo del martirio, quando era ancora la bella leggenda d'un arcano Dio, che in forma soave di giovinetto camminava sotto le palme di Palestina, predicando l'amore del prossimo, rivelando quei principî di libertà e d'eguaglianza, che più tardi in forma di evangelio francese ravvivarono il nostro tempo.

Note

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  1. Da Confessioni, a cura di Alberto Destro, Marsilio, Venezia, 1995, p. 147. ISBN 88-317-5749-0
  2. Da Impressioni di viaggio Italia, Introduzione di Alberto Destro, Traduzione di Bruno Maffi, Rizzoli, Milano, 2002, pp. 68-69. ISBN 88-17-12837-6
  3. Citato in Nino Salvaneschi, Il tormento di Chopin, dall'Oglio Editore, 1943.
  4. Citato in Focus, n. 89, p. 150.
  5. Da Divagazioni musicali, tradotte e commentate da Edoardo Roggeri, Fratelli Bocca editori, Torino, 1928, p. 145.
  6. Citato in Hans Jürgen Eysenck, Rebel with a cause: the autobiography of Hans Eysenck, Transaction Publishers, 1997, p. 281. ISBN 1560009381
  7. Traduzione di Italo Alighiero Chiusano. Citato in Geza Gardonyi, Sotto la tenda di Attila, traduzione e commento a cura di Laura Draghi, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1983, p. 71.
  8. Citato in I. Zangwill, Sognatori del ghetto.
  9. a b Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  10. Da Ein Jüngling liebt ein Mädchen.
  11. Citato in Paolo Chiarini, Parola e immagini.
  12. Da Germania fiaba d'inverno.
  13. Citato in Nino Salvaneschi, Il tormento di Chopin, dall'Oglio Editore, 1943.
  14. Da Idee: Il libro Le Grand, traduzione di M. e E. Linder, Garzanti, Milano, 1984, cap. XII.
  15. Da Lorelei. In Europa, Barjes, Roma, traduzione di Natalino Sapegno. In M. L. Santoli e M. Stanghellini, I grandi libri. Antologia italiana per la scuola media con letture epiche, vol. II, Zanichelli, Bologna, stampa 1971, pp. 385-386.
  16. Da Frammenti inglesi.
  17. Citato in Jorge Luis Borges, La metafora, in Storia dell'eternità, traduzione di Livio Rocchi Wilcock.
  18. Dall'Almansor, v. 243f; citato anche in Primo Levi, Al visitatore, testo scritto per l'inaugurazione del memoriale degli italiani ad Auschwitz.
  19. Da Confessioni, pp. 147-148.
  20. Da Canti della creazione; citato in AA.VV., Il gatto con gli stivali e tante altre storie di gatti, Newton Compton Editori, Roma, 2011, p. 38. ISBN 978-88-541-3723-3
  21. Da Impressioni di viaggio Italia, Rizzoli, 2002, p. 70 ISBN 88-17-12837-6
  22. Citato in Benedetto Croce, Ariosto, Shakespeare e Corneille, Laterza, Bari, 1968.
  23. Da Il viaggio nello Harz, Marsilio, 1994.
  24. Citato in Albino Luciani, Illustrissimi, p. 22, Edizioni APE Mursia, 1979.
  25. Da Divagazioni musicali, tradotte e commentate da Edoardo Roggeri, Fratelli Bocca editori, Torino, 1928, p. 146.
  26. Citato in Cesare Marchi, Quando siamo a tavola, RCS, 1990.
  27. Da Lyrisches Intermezzo, IX.
  28. Da Il Rabbi di Bacharach, p. 15.
  29. Nel testo "inflenza".
  30. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Heinrich Heine, Il Rabbi di Bacharach e altri racconti, traduzione di Enrico Rocca, Arnoldo Mondadori Editore, 1934.
  • Heinrich Heine, Dalle memorie del signor von Schnabelewopski (Schnabelewopski), traduzione di Enrico Rocca, a cura di Paolo Chiarini, Marsilio Editori, 1991.
  • Heinrich Heine, Impressioni di viaggio (Reisebilder), traduzione di Vanda Perretta, EDIPEM, 1974.
  • Enrico Heine, La scuola romantica, Edizioni Athena, Milano, 1927.
  • Heinrich Heine, Lutezia, a cura di Ferruccio Amoroso, Utet, stampa 1969.
  • Heinrich Heine, Reisebilder, traduzione di Alba Burger Cori, UTET, Torino, 1960.
  • Arturo Pérez-Reverte, La pelle del tamburo (1995), traduzione di I. Carmignani, Net, 2003. ISBN 8851521042
  • Paolo Chiarini, Parola e immagini, introduzione a Heinrich Heine, Dalle memorie del Signor von Schnabelewopski, Marsilio Editori, Venezia, 1991. ISBN 88-317-5548-X

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