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Stefano D'Arrigo

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Fortunato Stefano D'Arrigo (1919 – 1992), scrittore e poeta italiano.

Horcynus Orca

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Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatré, il marinaio nocchiero semplice della fu regia Marina 'Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill'e cariddi.
[Stefano D'Arrigo, Horcynus Orca, Mondadori, 1975]

Citazioni

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  • Inattesa, come per conto suo, la lagrima gli sgocciolava sul ciglio come lo stillare di un lontano pianto, segreto anche a lui: in quell'attimo, il brillio che mandavano le pupille, s'appannava e annacquava, quasi che la lagrima cadesse ancora dentro il vecchio, in una tazzina di porcellana dove si conservava per essere usata ancora, perché anche quella sorgente si essicca col tempo in un vecchio, le lagrime viavia la vita le dilapida, la vita si essicca per la morte. (1975)
  • L'Inferno si faccia conto, è quell'isola maceriata e persa, la Sicilia. (1975)
  • Non c'è lido più lontano di quello dove non si approda. (1975)
  • Gli sonava strana, st'inchiavatura di voce tutta ammastriata: perché non aveva senso, nessunissimo senso, marcargli e rimarcargli, anzi addirittura sillabargli allo scagnozzo, una per una, le parole che lui stesso aveva allora finito di dire in risposta alle domande a entrare e uscire di don Luigi. (1975)
  • [A proposito delle fere trentenarie (i delfini più vecchi)]... andavano incontro a Vulcano dalla parte di ponente, quella parte che col resto dell'isola è come l'Inferno col Paradiso: col mare pullulante di soffioni bollenti; con rocce e scogliere, tutte pietre di zolfo, d'un giallore crudo, abbagliante, che dalle pareti rimanda, come da colossali specchi, il sole tutt'intorno, verso il mare e contro la nera montagna conica; e con la riva, infine, pericolosa e impraticabile non meno del mare, traforata di focolai sulfurei e fumigante di vapori irrespirabili. (2019, p. 158)
  • La fera ha l'intimo malvagio, pessimo, si era sempre sentito dire. Ma chi può conoscere l'intimo di una fera? Chi l'aveva mai conosciuta nell'intimo questa fera che si va a nascondere con la sua morte, quando giudica che la vita non le è più confacente, cosa che nemmeno i meglio cristiani? questa fera che, quando le pare tempo, arma, e non vista, senza piantolini né farse, parte e se ne va difilata al suo cimitero e lì si getta nel fuoco per farsi incenerire e così facendo, leva dalla circolazione quella carogna del suo corpo? questa fera che vi mostra che la sua paura non è di morire, ma di essere morta, di diventare carogna, e di questo solo si fa scrupolo e mostra terrore? questa 'fera che fa l'eroica, c'è poco da dire, per qualcosa che non le potrà mai dare un tornaconto perché è cosa simbolicissima? questa fera che fa tutto quello che nella vita ha schifato: fare l'eroica e fare la simbolica, questa fera che non sopporta l'idea dello spettacolo che potrebbe dare da morta, l'idea che il suo corpo andrebbe incarognendosi maremare? questa fera, una fera di così delicato sentire, che se la sbriga tutta da sé quella grossa faccenda strettamente personale, e se ne va al suo nascosto cimitero, a morire anticipata per un proforma di pudore e decenza, verso di sé e verso gli altri, una fera così si poteva dire onestamente che la conoscevano all'intimo? Questo era il punto. (2019, p. 162)
  • Quelli sono pellisquadre, caro mio, e il nome dice tutto. Lo sapete voi che significa pellisquadre? Significa che hanno la pelle come quella dello squadro, che sarebbe il verdone, ovverossia il pescecane, e squadro ci sta per squadrare, una pelle insomma come la cartavetrata, quella che serve ai falegnami per ripulire tavole e compensati dalle lische, pareggiandole e allisciandole come un velluto, per poi impellicciarle e lucidarle. Pelli, insomma, come la cartavetrata, ma più che pelli, caratteri. (2019, p. 286)
  • Se il sazio capisse il digiuno, il Turco si farebbe Cristiano. (2019, p. 594)
  • Eh, sì, voi potete dire questo e dire pure: oggigiorno chi la calcola più la stretta di mano dopo che il saluto fascista, in coppia col saluto militare, la sdegettò al più basso grado, deprezzandola agli occhi di tutti. Eh, sì, l'uomo se la mise sotto i piedi la stretta di mano. La guerra, prima che ogni altra cosa, pigliò di mira quella, la stretta di mano, per prima quella fu messa a ferro e a fuoco, il massacro di là cominciò. Ve lo ricordate? E chi la usava più la stretta di mano? chi s'ardiva? Io, voi, noi tra di noi, insomma, che ci fidammo sempre l'uno con l'altro e non ebbimo mai bisogno di darci l'alt e di fermarci a tre passi di distanza con la mano alzata in avanti nel saluto fascista, né di metterci la mano a parocchio nel saluto militare come seci perlustrassimo controsole e ci spiassimo in faccia l'uno che intenzione aveva l'altro. Non pare nemmeno vero che finì il tempo del saluto fascista, ma il fatto è che st'americani, non appena arrivano in un porto, gli dànno subito il foglio di via sia al saluto e sia al fascista. E io in questo viaggio che feci da Taranto a Messina, che vi devo dire? sarà perché il pensiero ce l'ho fisso sempre a sta mano, sarà perché alle persone invece di guardargli la faccia, gli occhi mi vanno alle mani come se me li calamitassero, a me viaggiando mi pareva di vedere, alle stazioni, agli imbarchi e sbarchi, che il più gran daffare della gente era la stretta di mano, sola o con l’accompagno dell'abbraccio. (2019, p. 595)
  • «L'idea mia è che la coda [delle sirene] venne dalla loro verginità, ovverossia da difetto d'uso» aveva detto quella volta. «A furia di tenere strette le cosce, che spasimavano di avere allargate, ma nessuno gli disse mai: àprile, gli venne quel callo, una certa cartilagine, capite? e questa callosità si sbiforò tra le cosce, scaglia sopra scaglia, e così finì che le due gambe s'incollarono insieme e gli diventarono coda. E anche il verde ramato è dovuto a difetto d'uso: nell'acqua, insomma, si ramarono e s'ingigliarono come cipolle.»
    Ma loro non si facevano alcunissima meraviglia di vedergliele fare e disfare: sì, perché la sirena, come l'amo, era roba sua, mestiere e mistero suo, perciò poteva farne quello che gli pareva a lui. (2019, p. 646)
  • Orca, per chiamarla col nome e l'abitudine di dare morte e di non riceverne, con cui veniva mentovata nel famoso libro figurato del Delegato di Spiaggia; ferone, invece, come vieneintesa nei mari intorno alla Sicilia, per il fatto curioso, misteriosissimo, di avere in comune con la ferala coda, la coda piatta invece che di taglio, la coda e se si eccettua la dannosità diversamente calibrata, nient'altro. Ma la coda piatta, che gli fa il nuotare quasi cristiano, alla Bacigalupo, con quello strabilio di velocità che sviluppa, oceano o mare, l'hanno solo fera e ferone: ed è sotto l'impressione di quest'arcano che l'Orca viene chiamata ferone dalla famigerata fera nei mari di Sicilia che toccano Africa, Gibilterra, Spagna. Sono i mari dove appare almeno una volta nella vita di un pescatore: una sola, ma le conseguenze del suo passaggio durano poi per molto, moltissimo tempo, come quelle del vaiolo nel giallore trapunto della faccia. (2019, pp. 696-697)
  • Così, femmine a terra e femmine a mare, sia cristiane e sia fere, smaniavano ugualmente per l'orcaferone. Non partire, non partire, gli sospiravano con gli occhi le cristiane dalla riva, sperando in qualche altra mandata di cicirella; e le fere lo corteggiavano da lì vicino, civettandogli e facendogli le buffone come per rabbonirlo e tenergli a freno la collera, o forse per qualche altro loro recondito scopo: come si faceva a dirlo con quelle millunanotte? (2019, p. 752)
  • Poi, a vederlo di là vicino, fu uno spettacolo da fargli trattenere il respiro. L’orcaferone, l’aveva pigliato una così terribile furia, da fargli impallidire tutti: nero, gigantesco, avvulcanato, era come se lottasse col mare medesimo e da quel massacro d’acqua si sollevavano montagne di schiume. (2019, p. 774)
  • Oh, giovanotti, ma ve lo volete mettere in testa che quella non è una quilibet qualsiasi, ma è l’orca, orca orcinusa, la Morte in una parola, la Morte marina? Ma sul serio, sul serio pensate di poterla fare fessa, di incavallarla? Ma sul serio, sul serio pensate di poterci qualcosa, di influirvi, di cambiarle il principio? (2019, pp. 791-792)

Citazioni su Stefano D'Arrigo

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  • Il fatto è che nell'ingegneria narrativa conta specialmente la virtù che taluno vantò nel Borromini: dell'ornato che sappia farsi funzione, al punto che, se mancasse l'edificio crollerebbe. È il caso dell'Orca, mi sembra, e il libro ritorna oggi per la necessaria verifica. Vogliamo riaprirlo senza pregiudizi, vincere una buona volta le resistenze della cattiva coscienza? Vogliamo provare a dedicargli, infine, lo stesso allarme e rispetto che se fosse tradotto dall'inglese? (Gesualdo Bufalino)

Bibliografia

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  • Stefano D'Arrigo, Horcynus Orca, Mondadori, 1975.
  • Stefano D'Arrigo Horcynus Orca, Rizzoli, 2019. ISBN 978-88-17-09342-2

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