Tommaso Fazello
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Tommaso Fazello (1498 – 1570), storico e teologo italiano.
Citazioni di Tommaso Fazello
[modifica]- Egli [il teatro greco di Siracusa] era accerchiato d'intorno intorno di grandissime mura fatte di sassi grossissimi intagliati e aveva parte che guardava verso Tica una fonte che veniva per condotti sotterranei cavati con bellissimo artificio la qual fonte havendo perduto il nome si chiama Saracinamente Garelme che in lingua nostra vuol dire buco d'acqua e hoggi con voce corrota si chiama Galermo.[1]
- Al palazzo diverso Ponente fuor delle mura era vicino un giardino, il quale era di giro quasi due miglia, et era chiamato il Parco. Erano in questo Parco molti horti, dove erano assaissime sorti di frutti bellissimi, e da ogni banda erano Lauri, e Mirti, che gittavano gratissimi odori, e d'intorno si vedevano alcune capellette in volta fatte per ricreamento de' Re, la maggior parte delle quali eran poste in una strada diritta e lunga, che dal principio, e dal fine mostrava il mezo, delle quali sene vede hoggi una intera. Nel mezo era un vivaio grande, dove si serbavano i pesci, et era fabricato di grandissime, e grossissime pietre lavorate in quadro, le quali mostrano in loro una grădissima antichità, e questo vivaio è hoggi ancora intero, e non gli manca altro, che l'acque, e'pesci. Soprastăno a questo vivaio bellissime habitationi fatte cŏ bellissima architettura, per diporto de' Re, sopra le quali sono alcune lettere Saracine intagliate, che per anchora nŏ sono state intese da persona. In una parte di questo Parco si tenevano d'ogni sorte d'animali salvatichi perche i Re in caccia havessero spasso, ma per esservi hoggi quasi rovinata ogni cosa, non vi si vedono se non certe vigne, e certi horti di persone private. Il giro solamente di detto Parco si puo vedere, perche la maggior parte de le mura è restata quasi incorrotta, et intera. Questo luogo è da Palermitani chiamato Cuba, si come lo chiamavan già ancora i Saracini lingua loro. (p. 247)
- I Lombardi e i Galli venuti in Sicilia col Conte Ruggero, promiscuamente abitarono Nicosia, quindi gli abitanti usano il linguaggio lombardo ed il francese, sebbene corrottamente. I nicosiani, dì entrambi i sessi, si hanno anche di singolare che per l'altezza del corpo e la bellezza della bocca e del volto sorpassano tutte le altre genti di Sicilia e si addimostrano discendenti dai Franchi, dai Normanni e dai Lombardi dei quali sono colonie.[2][3]
- Secondo la leggenda, l'emiro di Barberia, inviò in Sicilia 40.000 guerrieri, fra i quali un capo di nome Halcamo. Costui, sbarcato a Mazara, diede alle fiamme le proprie navi, per significare che, ormai, non era più questione di tornare indietro e che la Sicilia, in un modo o nell'altro, doveva essere occupata. Poi s'impadronì di Selinunte e, per domare subito l'Isola con un esempio ammonitore, prese vari cittadini e li fece cuocere vivi in caldaie di rame. In seguito a tale episodio, le altre città, terrorizzate, si arresero. Volendo, però, il capo saraceno prepararsi a qualsiasi eventualità, edificò un castello, che da lui prese il nome, e vi stabilì la propria dimora. I Siciliani, riavutisi dal primo sgomento, assediarono il castello, ma Halcamo resisté, fino a che dall'Africa non giunse un nuovo contingente di saraceni, che sottomisero definitivamente gli insorti. (da De Rebus Siculis, deca II, lib. VI, cap. I[4])
- Sopra questa, quasi a un mezzo miglio di distanza, c'è il castello di San Filadelfio, che è nome nuovo, datogli dai Longobardi, come si deduce dalla lingua della popolazione. I quali non so se vennero in Sicilia con Ruggero conte normanno dell'isola, o in qualsiasi altro tempo, su questo non ho certezza.[5]
Note
[modifica]- ↑ Da Le due deche dell'historia di Sicilia ... tradotte dal Latino in lingua Toscana da Remigio Fiorentino, traduzione di Remigio Nannini, appresso Domenico & Gio. Battista Guerra fratelli, Venezia, 1574, p. 136.
- ↑ Citato in Giovanni Paternò-Castello, Nicosia, Sperlinga, Cerami, Troina, Adernò: Con 125 Illustrazioni, Bergamo 1907, pp. 22-23.
- ↑ Citato in Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto da Gioacchino Di Marzo, Volume 2, Palermo 1859, seconda edizione, p. 200.
- ↑ Citato in Alberto Costantino, Gli Arabi in Sicilia, Antares editrice, p. 13. ISBN 978-88-6333-036-6
- ↑ Da De Rebus Siculis, Palermo, 1560, dec. I, lib. IX, p. 201.
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