Abba Eban
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Aubrey Solomon Meir Eban (1915 – 2002), politico e diplomatico israeliano.
Citazioni di Abba Eban
[modifica]- È nostra esperienza che i politici sono soliti realizzare il contrario di quello che dicono. (citato sull'Observer, Londra, 5 dicembre 1971)
- Il consenso è ciò che molte persone affermano in coro ma che nessuno crede individualmente. (citato sul New Yorker, 23 aprile 1990)
- La storia ci insegna che gli uomini e le nazioni si comportano più saggiamente una volta che hanno esaurito tutte le alternative. (citato su Vogue, 1° agosto 1967)
Storia dello Stato d'Israele
[modifica]- Nella storia del sionismo si riuniscono due fili. Il primo è la tenacia degli ebrei nel conservare la propria identità, che è fortemente legata ai ricordi della terra in cui, miglia di anni prima, avevano conosciuto il loro breve ma splendido momento di libertà. L'altro è l'avvento del nazionalismo europeo, che trasmise agli ebrei, perseguitati e umiliati, quello stesso sogno che stava portando molte altre nazioni alla libertà e all'autoaffermazione. (cap. II, p. 27)
- Il genio di Herzl consistette non solo nel dare all'idea [del sionismo] un'espressione capace di galvanizzare gli animi, ma anche nel comprendere il ruolo immenso che hanno le istituzioni nella trasformazione delle idee in realtà. Così, con il Primo congresso sionista, convocato da Herzl a Basilea nel 1897, comincia la storia secolare moderna d'Israele. (cap. II, p. 30)
- Il congresso [sionista di Basilea del 1897] fu una cosa grandiosa, piena di pompa e dignità. Lo ispirava la maestà d'eloquio e di contegno di Herzl stesso. La sua alta figura, i suoi grandi occhi scintillanti e il suo carattere dominatore rispondevano a quel bisogno di grazia e dignità, profondamente sentito dagli ebrei, che i rabbini, chiusi nei loro lugubri ghetti, non avevano saputo soddisfare. Ma chiunque distogliesse gli occhi dai sogni utopistici del congresso, per guardare alla realtà della Palestina, non tardava a rendersi conto di quel che doveva restare a lungo un tratto caratteristico del sionismo: vale a dire, l'enorme disparità tra i mezzi disponibili e il fine desiderato. (cap. II, p. 30)
- Ben Gurion era onnipresente e pervadeva tutta la vita israeliana. Aveva qualcosa da dire sulla ricerca biblica, la scienza, la storia, l'istruzione, la religione e, naturalmente, l'organizzazione e la strategia militare. Il suo intelletto era attento e vivace, sebbene non formalmente disciplinato; perennemente aperto a nuovi interessi e nuovi entusiasmi. (cap. IX, p. 208)
- [Ben Gurion] Tendeva ad affilare i suoi giudizi, in modo da escludere sottigliezze o ambivalenze. Pensava che non si sarebbe potuto far molto per la pace con gli arabi, finché Israele non fosse stato incrollabilmente forte: quindi escluse questo problema dal suo interesse attivo, dando l'impressione di essere irriconciliabile. Ma era un'impressione sbagliata. (cap. IX, p. 208)
- Eshkol aveva superato da un bel po' la sessantina quando assunse la carica [di primo ministro] e il suo posto nella storia d'Israele se lo era guadagnato non nell'atmosfera eccitante della strategia e della politica internazionale, ma nel caldo e nella polvere del pionierismo e della costruzione economica. (cap. IX, p. 210)
- [Eshkol] Fu il primo autentico kibbutznik[1] ad assurgere alla carica suprema, sostenuto con fraterno orgoglio dalla comunità agricola e dal movimento sindacale. In lui non esistevano pretese carismatiche. Non cercava di dominare, bensì di persuadere. (cap. IX, pp. 210-211)
- [Eshkol] Poteva volgere lo sguardo sull'intero panorama d'Israele come su qualcosa costruito da lui, ma senza perdere il suo equilibrio e la sua semplicità. Sapeva esattamente cosa era e cosa non era, assumendosi le sue responsabilità in stretto rapporto con le sue doti. Affondare le sue dita nodose nel terreno degli affari concreti era stata la sua massima felicità [...]. (cap. IX, p. 211)
- [...] a mezzogiorno del 5 giugno [1967], Israele era i guerra con due stati arabi, che sarebbero stati ben presto rafforzati da contingenti in marcia da terre più lontane. Poche ore più tardi, le forze aeree egiziane e giordane erano state distrutte. Israele penetrava in profondità nel Sinai. [...]. Tra l'alba e il tramonto di una sola giornata, Israele era passato dal pericolo alla resistenza vittoriosa. Ventiquattro ore prima, Nasser era convinto di passare alla storia come un nuovo Saladino, l'eroe musulmano dinanzi alla cui spada tremavano tutti i nemici e gli infedeli. Le previsioni di Nasser sulla distruzione di Israele erano state fatte in tutta sincerità, tanto che gran parte del mondo era rimasta ipnotizzata dalla sua fiducia e dalla forza della sua convinzione. Ora i suoi sogni giacevano infranti ai suoi piedi. (cap. X, p. 251)
- [Guerra dei sei giorni] [...] nello spazio di sei giorni, Israele aveva mutato la sua posizione di vulnerabilità e di pericolo in un dominio militare senza precedenti nel Medio Oriente. Aveva distrutto 430 aerei da combattimento e ottocento carri armati nemici. Gli eserciti arabi avevano avuto quindicimila morti e 5500 tra ufficiali e sottufficiali prigionieri. Il totale delle perdite israeliane assommava a 40 aerei e 676 uomini. (cap. X, pp. 255-256)
- [...] la guerra del 1967 fu in larga misura figlia degli errori sovietici, e gli arabi, che avrebbero dovuto essere i beneficiari della protezione dell'URSS, ne divennero le vittime. La politica di Mosca aveva indotto gli arabi alla guerra: ma ciò non significava che l'Unione Sovietica avrebbe assicurato la loro vittoria, e nemmeno che si sarebbe assunta dei rischi per aiutarli a recuperare le perdite. Nella concezione sovietica, la corsa è del più veloce e la battaglia del più forte. Quando i governi e gli eserciti arabi ebbero provato la loro impotenza, l'Unione Sovietica si limitò a sostenerli a un livello politico e di propaganda. (cap. X, p. 260)
- [George Habash] Le sue dottrine combinavano la militanza araba medievale con la moderna fraseologia marxista. Respingeva con disprezzo compromessi «effeminati», come la risoluzione del Consiglio di sicurezza del 1967, che era basata sulla sovranità d'Israele e il suo diritto a vivere sicuro e difendeva l'azione dei suoi seguaci, quando incendiavano aerei civili a terra o in volo, provocando stragi indiscriminate di uomini, donne e bambini. (cap. XI, p. 296)
- Il primo effetto della colonizzazione ebraica fu quello d'ingentilire il panorama. I primi villaggi sionisti non erano mai ricchi, ma avevano un loro fascino rustico, e creavano un'atmosfera di stabilità e tranquillità. I sionisti di tutto il mondo cominciarono ad avere l'ossessione degli alberi, che venivano prenotati, acquistati e infine piantati in tale profusione che negli anni Trenta il confine tra una zona araba e una ebraica si poteva distinguere dal colore: era semplicemente una linea che divideva il verde dal giallo. (cap. XII, pp. 324-325)
- Un aforisma ebraico paragona Israele «alle stelle del cielo e alla polvere della terra». È una nazione di netti contrasti, di volta in volta innalzata e abbassata dagli elementi della sua propria natura. Il passaggio degli uomini da una nobile elevatezza alla decadenza occupa gran parte della storia, della letteratura e, soprattutto, del dramma. Non vi è molto da temere che Israele diventi l'ultima delle nazioni, per vitalità e forza creativa. Ma riuscirà ad andare oltre e a realizzare le più nobili speranze dei suoi fondatori? Il punto interrogativo riguarda tre problemi: i suoi rapporti con i paesi vicini, la natura della sua società democratica e il grado di fedeltà ai valori ebraici. (cap. XII, p. 338)
Citazioni su Abba Eban
[modifica]- Abba Eban, ministro degli Esteri d'Israele, è convinto che per uno scrittore la maggior fonte d'ispirazione è di sapere che, se non scrive, deve restituire l'anticipo che ha ricevuto per i diritti d'autore. (Leonard Lyons)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Abba Eban, Storia dello Stato d'Israele (My Country), traduzione di Paola Campioli, Le Scie, Arnoldo Mondadori Editore, 1974.