Alessio Tacchinardi
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Alessio Tacchinardi (1975 – vivente), allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.
Citazioni di Alessio Tacchinardi
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [Su Gaetano Scirea] La cosa che mi colpiva di più era la sua eleganza palla al piede. Si vede che aveva origini da centrocampista e non le aveva dimenticate.[1]
- [Su Zinédine Zidane] Era davvero un giocatore di un altro pianeta. Mi viene sempre in mente la rete pazzesca che seppe fare a Reggio Calabria contro la Reggina. Con una finta si liberò di tre difensori e quindi sparò un missile in porta. Dopo quel gol, ogni qual volta la palla si fermava durante la partita, io mi avvicinavo e gli ripetevo "Oh, ma come hai fatto? Ma ti rendi conto della rete che hai segnato?". Il problema è che la gente ha visto la metà della sua classe.[2]
- [Sullo juventinismo] Una cosa che prende i tifosi, la squadra e la società e li rende un blocco unito contro tutto e tutti. E che si esprime nella voglia di vincere sempre, di essere i più forti sapendo di ricevere in cambio odio da ogni altro elemento esterno al mondo Juve. Un odio che nutre la fame di vittorie, e che rende i nostri successi ancora più belli. Prima di diventare un calciatore bianconero ero un semplice tifoso, all'interno dello spogliatoio ho capito meglio il senso della Juve. All'inizio non capivo le facce dei compagni quando si pareggiava, mi dicevo che in fondo avevamo fatto un punto. Poi ho capito che se giochi nella Juve, il pareggio equivale a una sconfitta. Conta unicamente il successo, esattamente come dice Boniperti.[3]
- Le polemiche intorno ad Allegri hanno rafforzato l'ambiente. Questa squadra [la Juventus] sembrava avesse bisogno di un allenatore come lui per far bene anche in Europa. Conte ha fatto un lavoro straordinario, ma anche quel ciclo era finito. Allegri ha fatto crescere molti giocatori [e] non ha mai ascoltato le critiche, portando avanti le proprie idee e centrando dei risultati pazzeschi.[4]
- Io ne ho perse tre su quattro, le finali [di UEFA Champions League] sono drammatiche. Non ci voglio pensare perché poi è talmente tanta la delusione che ti porti dietro che vivi male anche tutta l'estate e la preparazione successiva.[4]
- [Sull'epilogo del campionato di Serie A 2001-2002, col sorpasso della Juventus sull'Inter all'ultima giornata] Il primo flash in mente? Beh, la faccia del mister! Lippi l'unico che forse ci credeva. Ricordo che in quella settimana la squadra non si era allenata con la testa giusta perché si pensava che l'Inter avrebbe vinto. E invece Lippi seppe trasferire in noi le sue motivazioni feroci, mentre la società ci martellava tutti i giorni: "Non è finita, non è finita...". Io in panchina, insieme ai compagni, faticavo a capire cosa stesse succedendo nella folle partita di Roma. Certo, sentivamo le urla dei tifosi e quando dissi: "Mister, adesso sono 4-2...", lui mi rispose: "Come?". E io: "In che senso? Prima dici che dobbiamo crederci e ora che faccia fai...". Lippi rimase incredulo. La radiolina? Ce l'aveva Aldo Esposito, il fisioterapista solo che a un certo punto non andava più. Maresca a quel punto fece da filtro con i tifosi e noi ci chiedemmo cosa fosse accaduto guardando mezzo stadio che esultava, l'altro in silenzio e viceversa.[5]
- La maglia bianconera ti trasmette tante emozioni: un senso di forza, di sfida, di competizione, di lottare contro tutto e tutti, di pesantezza positiva, di grande responsabilità.[6]
- La Juve è la squadra più amata ma anche più odiata: in tutti i campi quando arrivavamo giocano con i coltelli tra i denti. Quando ne sono entrato a far parte ho percepito di appartenere a qualcosa di diverso: sei tu contro tutto il resto, ti dà tanto ma chiede anche tanto.[6]
bergamonews.it, 21 aprile 2011.
- [Sugli inizi] A portarmi all'Atalanta fu il "Maestro" Bonifacio, che mi vide in una partita quando giocavo nel Pergocrema, avevo solo dieci anni, e quella è stata la mia prima grande gioia a livello calcistico. All'Atalanta ho imparato molte cose, in campo ma anche fuori. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi insegnanti, di sport e di vita. Oltre a Bonifacio ho avuto Perico, Prandelli e il grande Favini. Mi hanno insegnato la tecnica, il rispetto per i compagni e per gli avversari, e poi anche la cultura del lavoro e del sacrificio. Tutte cose che poi si sono rivelate fondamentali per la mia carriera.
- Con la Juve ho vinto molto [...]. La vittoria più bella rimane la Champions conquistata contro l'Ajax nel 1996. La soddisfazione più grande è invece quella di avere giocato undici anni con una squadra gloriosa come la Juve, e soprattutto di essermi meritato una stella con il mio nome tra i 50 giocatori più rappresentativi della storia bianconera nel nuovo stadio.
- Una tifoseria passionale come quella atalantina penso di averla vista solo all'Athletic Bilbao in Spagna.
Dall'intervista al sito ufficiale del Pergocrema; citato in legapro.it, 7 marzo 2011.
- Ho iniziato nella Pier Giorgio Frassati a San Bernardino [quartiere di Crema], giocavo con i ragazzi più grandi di me all'oratorio [...]. Poi sono passato per dieci anni al Crema e da lì all'Atalanta e ho iniziato la trafila faticosa che fanno migliaia di ragazzini, spinti da sogni e speranze. In quei momenti non sai se i tuoi sacrifici saranno premiati, rinunci a molto, al tempo con gli amici, ai fine settimana, alle gite. Conta molto anche la fortuna e la voglia di arrivare. A 15 anni mi stavo disamorando del calcio, avevo un tecnico all'Atalanta a cui non piacevo, poi è arrivato Prandelli e un mese dopo ero capitano degli Allievi Nazionali. Ho esordito a 17 anni in prima squadra all'Atalanta e a diciannove anni sono partito per Torino [alla Juventus].
- [«Da juventino, arrivare alla Juventus sarà stata la realizzazione di un sogno...»] Andavo a vedere Platini al Comunale, quindi vivere quei campi da protagonista mi scatenava grandissime emozioni.
- Ricordo fortemente l'esordio con la maglia azzurra a ventun anni e la settimana in cui mi sono preparato a vestirla, per un calciatore la nazionale è probabilmente il traguardo più emozionante. Quando però sei nel vortice non riesci a fermarti e a gustare queste emozioni, adesso quanto ci ripenso è straordinario rivivere quei momenti.
- [«Hai un allenatore che più di altri ti ha dato?»] A livello giovanile sicuramente Prandelli, poi ho avuto la fortuna di giocare guidato da grandissimi allenatori: Lippi, Capello, Ancelotti. Forse con Carlo ho avuto un feeling particolare. Diciamo che tranne Mourinho ho avuto i migliori tecnici e sicuramente da tutti ho imparato molto.
- [Sulla decisione di smettere di giocare] Avrei voluto continuare, ma non ho trovato una situazione che mi dava i giusti stimoli. Credo di aver smesso nel momento in cui avevo la testa giusta per smettere. In Spagna ho capito che nella vita non c'è solo il calcio, lì vivono questo sport con meno pressione e come un divertimento [...]. Ho capito che era il momento di voltare pagina, se mancano le motivazioni è meglio lasciar stare.
Da un'intervista a JuTalk, 19 dicembre 2016; citato in juveatrestelle.it, 21 dicembre 2016.
- Per me la Juve è stata una pagina importantissima: ero e sono ancora un tifoso della Juve e per me allenarmi al Comunale, dove andavo a vedere la Juve da tifoso, era il massimo. La Juve è una grande famiglia, una grande società con valori fortissimi e ti inculcano nella testa la mentalità vincente.
- Ho un rapporto molto forte con Andrea Agnelli: siamo coetanei e ricordo che veniva spesso a vedere gli allenamenti. Si vedeva che aveva tanta passione. Sono contento che abbia avuto la possibilità di riprendere in mano le redini della società e l'abbia riportata a essere quella che era prima, ricordo che quando diventò presidente gli mandai un messaggio dicendo che ero sicuro al 100% che questa squadra, nelle sue mani, sarebbe tornata forte come lo era una volta. Credo poi che lui ci abbia messo qualcosa in più anche per onorare la memoria di suo padre. Gliel'ho anche detto: quanto sarà orgoglioso, lì dal cielo, di vedere i risultati che stai raggiungendo!
- [Su Pavel Nedvěd] Io non so lui come lavori, anche se mi dicono lo stia facendo molto bene. Ma mettiamo per assurdo che non sia capace a far nulla: lui solo per la sua presenza sarebbe comunque importantissimo. Perché per un giocatore che arriva alla Juve o per qualcuno che magari attraversa un brutto momento [...] già il fatto che gli parli Nedvěd è determinante: gli sta parlando uno che ha vinto il Pallone d'oro, che era un giocatore pazzesco pur non avendo la tecnica di uno Zidane (anche se comunque era uno che faceva dei gol meravigliosi). Avere figure di questo tipo, ex giocatori che conoscono la società e ne sono state bandiere, è di una importanza enorme. E lo è anche per il tifoso che ha bisogno di riconoscersi in personaggi di questo tipo, le cui gesta vengono tramandate di padre in figlio.
- Rugani cresce perché gioca con Bonucci e Barzagli che sono dei fenomeni ma anche con attaccanti super dai quali, quando ti trovi a marcarli in partitella, se sei umile impari tantissimo. E lui è un ragazzo umile e pulito, che ha saputo apprendere dai suoi compagni di squadra e farà grande strada: lui [...] sarà il pilastro della difesa della Nazionale del futuro. L'altra sera gli ho chiesto dove lui si sente migliorato e lui ha risposto come mi aspettavo: nella testa.
- Tra i miei compagni di squadra [alla Juventus], gente come Conte e Deschamps si capiva che avrebbero fatto gli allenatori, gente come Davids proprio no, non era portato. Di Zidane, poi, proprio non me lo sarei aspettato: era uno che sembrava non gliene fregasse nulla, era abbastanza "scazzato", finiva l'allenamento e andava a casa. Di quelli attuali, Bonucci e Marchisio potrebbero tranquillamente intraprendere quella carriera.
Intervista di Giorgio Barbieri, laprovinciacr.it, 16 ottobre 2021.
- Sono nato [...] nelle case popolari di quel quartiere [San Bernardino a Crema], mio padre Vincenzo [...] aveva una officina meccanica, mia mamma Anna Maria era casalinga. Oltre a me anche i fratelli Massimiliano (che poi ha giocato in serie A con l'Inter) e Gabriele. Non era facile arrivare a fine mese, mio padre ha fatto enormi sacrifici per mantenere la famiglia. Dai miei genitori ho imparato che nella vita devi sempre essere disponibile a rimboccarti le maniche, che nessuno ti regala niente. [«La prima squadra è stata dunque quella dell'oratorio?»] Il campetto era sotto casa, allora giocavo davanti e segnavo tanti gol. Ho cominciato nel Frassati e poi sono passato al Crema, dove mi hanno spostato a centrocampo. Avevo buone qualità tecniche, giocavo a testa alta e leggevo bene il movimento dei compagni. Avevo 11 anni quando mi ha chiamato l'Atalanta. In nerazzurro ho fatto tutta la trafila delle giovanili e a 15 anni ho incontrato Cesare Prandelli, l'allenatore che mi ha cambiato la vita. Sono diventato capitano di quella squadra che ha vinto moltissimo a livello nazionale. [...] A 17 anni, il 24 gennaio 1993, faccio l'esordio in prima squadra in serie A contro l'Ancona, l'allenatore è Marcello Lippi. Gioco bene, il giorno dopo sono nella top 11 della Gazzetta dello Sport. A questo punto mi chiedo se davvero posso starci dentro anche con i grandi. In quell'Atalanta c'erano Ferron, Rambaudi, Ganz, Savoldi, Porrini, Alemao, Montero. Capisco che me la posso giocare, ci vogliono fisico e mentalità e queste doti a me non mancano. Alle 6 vado in officina ad aiutare mio padre, al pomeriggio mi alleno con l'Atalanta. Sono anche costretto a lasciare al quarto anno la scuola di Ragioneria a Crema, non riesco più a coniugare lo studio con il calcio. Con gli insegnanti devo dire che c'è sempre stata guerra.
- Alla fine del campionato del 1994 gli osservatori della Juve segnalano tre giocatori dell'Atalanta, uno solo diventerà bianconero. I nomi sono Morfeo, Locatelli e Tacchinardi. La Juventus sceglie me ma i dirigenti mi dicono che andrò solo in ritiro con loro per poi essere prestato alla Sampdoria. Per me è una occasione da non perdere e così mentre i miei compagni vanno in vacanza al mare io resto a casa ad allenarmi. Arrivo al ritiro che sono in formissima e Lippi, che nel frattempo era diventato allenatore dei bianconeri, decide di tenermi. [...] La squadra veniva da qualche anno di difficoltà, molti erano gli italiani di quella Juventus. Fra questi i giovani Tacchinardi, Torricelli, Ravanelli. Mi sono detto che era la grande occasione da non perdere. Umiltà, petto in fuori, voglia di arrivare. Ce l'ho davvero messa tutta. In quella squadra ho incontrato Gianluca Vialli [...]. Da lui ho imparato il valore dello spirito di sacrificio, non ho più incontrato un giocatore con tanta voglia e determinazione. Ho giocato con tantissimi campioni ma al primo posto metto Vialli.
- Perugia-Juventus? Diciamo subito che era una partita da sospendere, il pallone non rimbalzava in nessuna parte del campo. Il regolamento parla chiaro, dopo 45 minuti di stop la gara deve essere sospesa, Collina ci ha fatto aspettare un'ora e 10 minuti per poi farci tornare su un terreno di gioco chiaramente impraticabile. Calori ha segnato su un errore della difesa e abbiamo perso partita e scudetto. Una giornata segnata dal destino. A mezzogiorno a Perugia c'era il sole e la temperatura era di 35 gradi. Al fischio d'inizio tutto regolare, Inzaghi si mangia il gol del vantaggio (di quelli che non sbagliava mai), poi su Perugia si scatena un uragano. Collina fischia lo stop, non si può giocare in quelle condizioni. Ma lo stop è lungo, troppo lungo. L'arbitro ci fa stare fermi più di un'ora, la situazione non migliora. Poi decide incredibilmente di riprendere, non riusciamo a stare in piedi, segna Calori e perdiamo. Finita la partita torna il sole. [«Ha più visto Calori?»] L'ho incontrato quando facevo l'allenatore. L'ho salutato a malapena. Su un campo normale quella partita l'avremmo vinta 3-0.
- [«Come ci si sente a vestire la maglia della Juventus?»] Pesa un quintale. Ti trasmette l'anima vincente e ti fa sentire una grande pressione. La Juventus è la tradizione del calcio.
- [«Allenare oggi i giovani. Facile o complicato?»] Il problema non sono i ragazzi ma alcuni genitori. C'è chi crede di avere in casa un futuro Maradona e quindi se la prende sempre con l'allenatore. Credo che i genitori dovrebbero essere meno esaltati ed essere più critici nei confronti dei loro ragazzi e non di chi li allena. [...] porto sempre l'esempio dei miei genitori che mi hanno cresciuto facendomi capire che non si può avere tutto quello che si vuole ma che lo si deve conquistare un poco alla volta.
Note
[modifica]- ↑ Dall'intervista di Brunella Ciullini, Tacchinardi: sto studiando per diventare un vero leader, La Stampa, 4 settembre 1995, p. 27.
- ↑ Citato in Marco Bo, Zidane compie 40 anni. Manda i tuoi auguri a Zizou, tuttosport.com, 23 giugno 2012.
- ↑ Citato in Tacchinardi: «Contro tutti, questo è essere juventini», tuttosport.com, 12 aprile 2014.
- ↑ a b Citato in Raffaella Bon, Tacchinardi: "Alla Juve serviva un tecnico come Allegri", tuttomercatoweb.com, 14 maggio 2015.
- ↑ Da un'intervista a Tuttosport; citato in "Lippi l'unico a crederci, Conte il più carico e quella radiolina...": Juve, 20 anni di 5 Maggio e i tifosi "godono ancora", ilbianconero.com, 5 maggio 2022.
- ↑ a b Dall'intervista di Marina Salvetti, Tacchinardi: La Juve è orgoglio e lotta. Ci odiavano tutti perché vincenti, Tuttosport, 15 giugno 2023, p. 1.
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