Beppe Conti
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Beppe Conti (1951 – vivente), giornalista e scrittore italiano.
Citazioni di Beppe Conti
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [Su Roberto Bettega] La sua signorilità è ormai fuori discussione. È forse il bianconero più simpatico ai giornalisti poiché regala sempre delle battute o delle frasi intelligenti, perché non rifiuta mai il dialogo, neppure quando la Juve perde malamente.[1]
- È il fascino sottile di una classica che tutti i ciclisti sognano fin da quando, ragazzini, salgono in sella a una bicicletta. La Milano-Sanremo appartiene alla leggenda delle due ruote come un punto fermo che ha subìto nel tempo differenti connotazioni. Ma il fascino ha saputo resistere immutato e immutabile [...]. È la corsa della primavera e del sole, d'una nuova stagione che comincia e che guarda all'estate. Rappresenta la via di nuove sfide incontro al futuro, pedalando su strade suggestive e fantasiose.[2]
- [Sul Giro d'Italia 1994] La storia e la leggenda del Giro d'Italia hanno accolto l'uomo nuovo, il russo di San Pietroburgo Eugenio Berzin. Ha vinto il Giro dominandolo fin dai primi giorni, ha contribuito ad allargare la geografia del ciclismo. Mancava un russo nell'albo d'oro. C'era un americano [...], c'erano svizzeri e lussemburghesi, francesi e belgi, uno svedese, un irlandese, [...] uno spagnolo [...]. Adesso si allargano davvero i confini d'uno sport uscito definitivamente dal proprio alveo tradizionale. Nessuna intenzione di smitizzare i trionfi di Coppi e Bartali. Restano personaggi immortali nella storia del Giro e del ciclismo. Però a quei tempi si lottava contro francesi e belgi, qualche spagnolo, svizzeri e lussemburghesi. E poco più. Adesso abbiamo un russo in maglia rosa, un texano in maglia iridata. È il nuovo ciclismo.[3]
- Coppi il più grande per la portata delle sue vittorie, interminabili chilometri di fughe ad esaltare l'uomo solo al comando che scala le montagne. L'essenza del ciclismo. Coppi il più grande per l'epoca storica vissuta, le tragedie della Seconda guerra mondiale, i grandi drammi... E poi la completezza dei trionfi, battendo gli scalatori in montagna (Merckx a volte era anche costretto a difendersi) ed i pistard nei velodromi. E infine – ma in maniera speciale – le emozioni e la commozione offerte agli italiani, ma anche ai francesi, a chi seguiva lo sport in quell'epoca non facile.[4]
Stefano Zago, suiveur.it, 8 maggio 2019.
- [«Quanto è cambiato il ciclismo dai tuoi inizi ad oggi?»] Il rapporto giornalista-campione, ad esempio, è diverso: e questo in tutti gli sport. Anzi, se pensiamo al calcio dobbiamo trarre la conclusione che il ciclismo è comunque lo sport che più di ogni altro è rimasto accessibile. Col campione di ciclismo si riesce ancora ad avere un rapporto abbastanza stretto. Col calciatore no. Io ho avuto la fortuna e il privilegio di seguire il Torino e la Juventus a metà degli anni '70. In quel periodo, se per esempio voler buttar giù un'inchiesta sul perché il Torino non segnasse più di testa, non dovevo fare altro che andare allo stadio e fermare Pulici e Graziani fuori dal Filadelfia e chiedere. Lo stesso potevo fare con i difensori. Le inchieste si facevano così. Oggi è la società a scegliere: ti mettono a disposizione un calciatore e devi parlare con quello, anche se magari non è quello che ti interessa. [...] Anche il ciclismo, però, è cambiato con la presentazione degli uffici stampa. Inoltre, il ciclismo ha quasi completato il processo di globalizzazione. [...] Allora non c'erano tutte le nazioni di oggi: quando arrivò Greg LeMond, americano, sembrava un marziano. Adesso [...] si ritrovano i colombiani, che arrivano dai tremila metri ed in salita vanno alla grande; e poi il sudafricano bianco, l'australiano, il neozelandese, gli inglesi. È diventato un ciclismo molto più complesso: all'epoca di Gimondi le nazioni principali nel ciclismo erano quattro.
- [Su Vincenzo Nibali] Il problema è che non è un personaggio mediatico. Glielo dico sempre. Un campione così dovrebbe essere il leader di tutto lo sport italiano di oggi. Invece è troppo modesto, timido, riservato, quasi al limite dell'introverso. In realtà non lo è, ma l'impressione che arriva è quella. Dove lo troviamo un corridore così? Lui ha vinto due volte il Giro d'Italia, una volta il Tour de France, la Vuelta a España, la Milano-Sanremo e due volte il Giro di Lombardia. L'ultimo corridore ad aver vinto Milano-Sanremo, Giro di Lombardia e grandi giri è Eddy Merckx. L'ultimo ad aver vinto Tour de France e Milano-Sanremo, due corse così diverse, è Laurent Fignon. Nibali ha un palmarès unico. Purtroppo non è molto amato, anche tanti italiani non lo apprezzano fino in fondo. Molti rammentano, ad esempio, che lui ha vinto il Tour de France perché Contador e Froome sono caduti. Anche Merckx, però, vinse la Grande Boucle perché Ocaña cadde sui Pirenei, altrimenti avrebbe interrotto la serie. Questo, però, nessuno lo ricorda. È sempre successo così: anche Nencini vinse il Tour de France perché Roger Rivière cadde in un burrone.
- [«Perché il Tour de France è, da sempre, la corsa più importante al mondo?»] La spiegazione va ritrovata nell'edizione del 1930. Quell'anno, al Tour de France si sfidarono le rappresentative nazionali. Fu un vero colpo di genio. Oggi, purtroppo, non è più fattibile perché gli sponsor sono troppo importanti, ma il salto di qualità della corsa francese viene proprio da lì. Immaginiamo il periodo in cui c'erano Coppi e Bartali in maglia tricolore e Binda in ammiraglia. I francesi sono i più bravi del mondo a vendere i loro prodotti, penso anche ai formaggi e ai vini. Il Tour de France è anche l'evento ciclistico più seguito del pianeta. Non c'è niente da fare: è la corsa principale. Vincere il Tour de France cambia la vita; lo stesso non si può dire del Giro d'Italia.
Intervista di Claudio Rinaldi, gazzettadiparma.it, 15 maggio 2020.
- [Su Bruno Raschi] Era un mito. In Gazzetta lo chiamavano il Divino. Era unico, il fascino fatto persona. Ricordo ancora il titolo, bellissimo, che fece Maurizio Mosca quando Raschi morì: "Addio Bruno, com'era bello leggerti e sentirti parlare". Centratissimo: perché affascinava quando scriveva così quando parlava. A cena, quando prendeva la parola lui, non si sentiva volare una mosca, era rispettato da tutti. [...] [«Tra tante grandi firme, è stato davvero il migliore?»] La mia classifica personale, per il ciclismo, è questa: primo Raschi, secondo Brera, terzo Mura. Poi, Brera e Mura hanno scritto cose meravigliose di calcio e di tante altre cose. Ma nel ciclismo Bruno è stato il numero uno.
- [«Come mai il ciclismo ha ispirato tante belle penne? Da Alfonso Gatto a Dino Buzzati, da Orio Vergani a Indro Montanelli»] Perché nessuno sport si presta come il ciclismo al racconto. Nel calcio – che pure è popolarissimo in tutto il mondo – si corre dietro a una palla. Negli anni di quei fuoriclasse della scrittura i corridori scalavano montagne sullo sterrato, facevano imprese eroiche. E, particolare non da poco, non c'era la televisione. La gente "vedeva" le imprese dei campioni attraverso il racconto di quegli scrittori. E poi il ciclismo era di gran lunga lo sport più popolare. Ti faccio un esempio: Fiorenzo Magni aveva appeso una prima pagina della Gazzetta dello Sport, nel suo ufficio. Un grande titolo d'apertura, che occupava quasi tutta la pagina, su una sua vittoria di tappa. Sotto, di taglio basso, il titolo sul Milan che, battendo l'Inter nel derby, aveva vinto lo scudetto. Ti rendi conto?
- [«Cos'è per te il giornalismo?»] La passione di una vita. Prima di tutto, per me, è sempre venuta la notizia. Per tutta la carriera ho inseguito gli scoop. [«Ne hai messo a segno tanti?»] Altroché. Per anni ho anticipato su Tuttosport il percorso del Giro, facendo bruciare molto i colleghi della Gazzetta dello Sport. Una volta, addirittura, ho fatto perdere il Giro a Pantani. [«E come?»] Era il '94, ho pubblicato il percorso tre giorni prima della presentazione ufficiale. Il direttore del Giro, Castellano, si è talmente arrabbiato che ha cambiato il percorso, cancellando la cronoscalata Trento-Bondone, durissima, sostituita con la Lavagna-Passo del Bocco, e anticipando il Mortirolo, per "addolcire" l'ultima settimana. Ha vinto Berzin. E Pantani, ridendo, ha dato la colpa a me.
- [Su Francesco Moser] Anche se andava piano, se non era la tappa giusta, era sempre lui a "fare" la corsa, imporre la tattica. E mi dava da scrivere pagine e pagine. Quando perdeva, non era mai per colpa sua. Di Saronni, o dell'organizzatore, o del gregario che non lo aveva aiutato abbastanza.
Note
[modifica]- ↑ Da Juventus: Campionato 1974-75, Torino, SARGRAF, 1975.
- ↑ Da Sfida alla leggenda, Guerin Sportivo nº 11 (685), 16-22 marzo 1988, pp. 108-111.
- ↑ Da Rosa incondizionata, Guerin Sportivo nº 24 (1000), 15-21 giugno 1994, pp. 106-108.
- ↑ Da Fausto Coppi: il primo dei più grandi, Torino, Graphot, 2018; citato in Marco Pastonesi, L'ora del Pasto. Beppe, posso allargare la top ten?, tuttobiciweb.it, 14 gennaio 2019.
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