Marco Pastonesi

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Marco Pastonesi (1954 – vivente), giornalista sportivo italiano.

Citazioni di Marco Pastonesi[modifica]

  • [Sulla palla a sfratto] A sentir parlare di vibrata, la prima cosa che viene in mente non è legata allo sport. Se si specifica palla vibrata, più o meno siamo sempre lì. Eppure cento anni fa doppi e tripli sensi non esistevano, almeno nel caso di questo "attrezzo ginnastico" [...] costituito da un pallone pesante munito di impugnatura. Il senso era lanciarlo lontano, il più lontano possibile, vinceva chi lo lanciava più lontano. Diciamo: un antenato del martello. Tant'è che, per lanciarlo, si facevano le stesse mosse: un'oscillazione semplice per i principianti, un mezzo otto (che non è un quattro), ma un giro su se stessi per i più esperti, o un otto intero, cioè due giri, per i più dinamici. Il tutto a base di torsioni e distensioni del busto, infine la spallata, la bracciata, la manata. Chissà se urlavano, già allora. Chissà se si bombavano, già allora.[1]

Elio Trifari, l'ExtraTerrestre del giornalismo

tuttobiciweb.it, 2 aprile 2023.

[Su Elio Trifari]

  • Avrebbe desiderato iscriversi a Lettere. Si laureò in Ingegneria elettronica. Il giorno in cui guadagnò papiro e alloro, consegnò tutto ai genitori e cominciò finalmente a seguire quello che, a sussurri, gli urlava il cuore. Sport. Da scrivere. Che significa studiare, seguire, approfondire. Che significa andare, venire, vedere. Che significa consultare, telefonare, viaggiare. Che significa domandare, ascoltare, capire. E finalmente scrivere.
  • Un giornalista di quelli che, a prescindere dalle iniziali di nome e cognome, per la sua scienza e anche per la sua modestia, già appare come un ExtraTerrestre.
  • [...] Trifari era il nostro punto di riferimento: per le conoscenze, per la saggezza, per l'equilibrio, per l'ironia, per la competenza. Capace di passare da Astylos a Giovanni Roccotelli, da Fidippide a Franco Bitossi, da Alfonsina Strada a Sara Simeoni, senza sbagliare una misura, senza confondere un anno e senza dover ricorrere a una cancellatura.

Il Foglio[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il primo giorno il dio del rugby creò i piloni. Li creò per tenere separata la luce dalle tenebre, poi il cielo dalla terra. Li plasmò solidi, li forgiò resistenti, li modellò duri. Poi vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona. Piloni. Le due colonne della prima linea. Base, fusto e capitello, anche in gerarchia di valori, in ordine di importanza. Se la mischia fosse una casa a tre piani, e lo è, i piloni sono le fondamenta e il pianterreno. Affondano, abitano, campano – insomma: vivono – nella zona caldaia, cantina, taverna. È lì che tengono separata la luce dalle tenebre, il cielo dalla terra. Il loro rugby è tutte le voci del verbo spingere. Le prime sono recitate, come in una messa cantata, dall'arbitro: da "crouch, touch, pausa, engage" (bassi, tocco, pausa, ingaggio) a "crouch, touch, set" (bassi, tocco, via) fino a "crouch, bind, set" (bassi, legati, via), perché anche la messa si aggiorna, si semplifica. I due piloni, e il tallonatore crocefisso fra di loro, si caricano la squadra sulle proprie spalle come il titano Atlante si genufletteva per sollevare il mondo. E poi spingono. Una battaglia rimasta ai tempi delle trincee e nel tempo delle trincee. Così che c'è da capire quell'allenatore che ai suoi piloni non mostrava solo gli spezzoni con il francese Paparemborde o l'inglese Leonard, ma anche i film All'ovest niente di nuovo e La grande guerra.[2]
  • I piloni – sostengono in Galles – vanno tutti in paradiso. Perché qui sulla terra, e sotto terra, hanno già patito le pene dell'inferno.[2]
  • [Su David Campese] Neanche tanto alto (1,80) e neanche tanto grosso (89) se misurato con le attuali dimensioni dei colleghi (trequarti ala), ma più alto e più grosso se confrontato con i colleghi di allora (tipi agili, svelti, rapidi), Campo [...] faceva doppia attività: l'inverno in Italia e l'estate (inverno nell'altro emisfero) in Australia, e così non smetteva mai di giocare e di segnare. Perché andare in meta era il suo compito, la sua missione, la sua specialità.[3]
  • L'Irlanda sta al rugby come le Fiandre al ciclismo e l'Ungheria alla pallanuoto, come gli afroamericani al basket e i kenyani alla maratona. Un istinto, una scuola, una tradizione, una vocazione. L’Irlanda che, nella nazionale di rugby, unisce la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord nella stessa maglia, verde, e lo stesso stemma, il trifoglio. L'Irlanda che, da sempre, si riconosce nel fighting spirit, quello della lotta e del combattimento [...][4]

Piloni si nasce, a volte si diventa. Chi sono le fondamenta del rugby

ilfoglio.it, 1º novembre 2019.

[Sul pilone del rugby]

  • Se fossero una casa, quelli bravi sarebbero le fondamenta, quelli scarsi la cantina. Se fossero un albero, tutti – bravi e scarsi – sarebbero le radici, poi dipenderebbe dal tipo di albero, e fra quercia e cipresso c'è una bella differenza. Se fossero una guerra, sarebbero comunque una guerra di trincea, combattuta da fanti, nel fango. Perché se fossero o terra o acqua o aria o fuoco, nessun dubbio, sarebbero soltanto terra. Se fossero una bicicletta, povere biciclette, ma se fossero una moto, da grossa cilindrata e probabilmente smarmittata. Se fossero un pallone, sarebbero ovviamente un pallone ovale (come si racconta: i palloni erano tutti rotondi fino al momento in cui proprio loro non ci si sono seduti sopra). Se fossero una birra, non sarebbero pinte, medie, stivali, colonne, ma botti. Se fossero una pizza, allora quelle a metro, o alla pala, o mangia-tutto-quello-che-puoi (e loro possono). Se fossero un gesto, sarebbero un poderoso abbraccio. Se fossero una parola, un pesante silenzio. Se fossero un suono, meglio lasciar perdere. Se fossero un mese, sarebbero agosto, perché agosto è il mese in cui si suda anche stando fermi, è il mese in cui anche il sudore suda, e loro sudano di brutto. Se fossero un orecchio, avete presente quelli a cavolfiore? Piloni, il massimo del rugby. Piloni, i pesi massimi del rugby. I numeri 1 e 3 di ogni squadra, perché la numerazione (da 1 a 15, obbligatoriamente) li gratifica, li privilegia, li favorisce.
  • Piloni, quelli che hanno il collo più largo della mascella, quelli che dimostrano dieci o vent'anni più di quanto dichiarato sulla carta d'identità, quelli che correndo rimbalzano e che rimbalzando corrono, quelli che se in una squadra c'è chi suona il piano e chi lo sposta, loro lo spostano. Perché è gente da Gondrand, da Tir, da tram, da bassa manovalanza, da puro bracciantato. Gente che veniva reclutata fra gli scaricatori di porto, fra gli idraulici delle cooperative, o rubando spudoratamente spalle all'agricoltura, prima che il professionismo [...] riuscisse a riprodurre tanta sana ignoranza (nel senso buono del termine: nel rugby l'ignoranza è un valore, un traguardo, anzi, una meta) sollevando artificiosi pesi in palestra.
  • I piloni incassano e restituiscono, secondo leggi non scritte e regolamenti tramandati. I piloni sopportano e supportano. E come tutti i rugbisti, sostengono (il rugby è lo sport del pronto e del mutuo soccorso). Ma se gli altri giocatori sostengono di corsa, i piloni sostengono da fermi. In tempi amatoriali i piloni erano lentigradi se non pachidermici, giganteggiavano nelle mischie chiuse e poi assistevano al resto della partita, sorprendendosi le rare volte in cui si ritrovavano il pallone fra le mani, spesso non sapendo neanche che cosa farsene, invece oggi i piloni hanno acquisito non solo mobilità, ma anche velocità, e non solo forza, ma anche sensibilità [...]
  • Piloni si nasce: per – appunto – ignoranza. Piloni si diventa: un fenomeno raro, ma succede. Piloni si slitta: a tallonatori, sempre in prima linea, una forma di evoluzione darwiniana. Piloni si cresce: in larghezza e in altezza che, dato il particolare tipo di gioco spesso orizzontale, significa lunghezza.

Il viaggio dell'Elettrotreno di Forlì è terminato. L'addio a Ercole Baldini

ilfoglio.it, 2 dicembre 2022.

[Su Ercole Baldini]

  • [...] Ercole Baldini, l'Elettrotreno di Forlì, così ribattezzato quando la sua andatura in pianura, il suo ritmo a cronometro, la sua energia sul passo, la sua esplosività in corsa lo promossero immediatamente a erede di Fausto Coppi. Il Campionissimo c'era ancora [...] ma si cominciavano a intravedere le luci del tramonto. E l'Italia non voleva perdere il primato nel ciclismo, lo sport più popolare, dunque più sociale, più stradale, dunque più teatrale, più giornalistico, dunque anche più letterario.
  • Il nome Ercole profetizzava imprese eroiche, il cognome Baldini sarebbe rimasto l'unico diminutivo di una vita, in bici e poi giù dalla bici, esplorata e consumata alla grande. Lui, campione anche in modestia, avrebbe poi confidato che la sua traiettoria agonistica è stata quella di una meteora. In tre anni conquistò il record dell'ora al Vigorelli e il titolo olimpico su strada ai Giochi di Melbourne nel 1956, il Giro d'Italia e il Mondiale nel 1958, nonché campionati italiani su strada e su pista, in tutto una quarantina di vittorie in otto anni di professionismo. E così da Elettrotreno fu promosso a Diretto, Direttissimo, Espresso [...]. Il massimo, per il suo motore umanamente romagnolo, era un percorso piatto come una tavola di biliardo e diritto come quello dell'Orient Express. A queste due condizioni, era irresistibile, perfino per uno specialista di classe ed eleganza cone Jacques Anquetil. A tradirlo, forse, anche, il vagone ristorante: a tavola, spesso, non sapeva tirarsi indietro. E ogni grammo, in salita, si moltiplica fino a diventare un chilo.
  • Accompagnò Coppi, il suo idolo giovanile, in un trionfale Trofeo Baracchi, quello del 1957, la cronocoppie che chiudeva le stagioni e consacrava i vincitori. Meno affettuoso il rapporto con la Dama Bianca, impaurita dell'ombra con cui Ercole avrebbe potuto oscurare il suo Fausto (o farne dimagrire gli ingaggi). Per tutti gli altri corridori Baldini sarebbe stato compagno, amico, mentore, guida, maestro, esempio, modello, soccorritore, punto di riferimento. Prima da corridore, poi da direttore sportivo, quindi sempre nel ciclismo procurando contatti e contratti, sponsor e finanziamenti, e ancora ricordi e testimonianze. La sua generosità era proverbiale.

Massimo Cuttitta è ancora una presenza nel mondo del rugby

ilfoglio.it, 15 marzo 2023.

[Su Massimo Cuttitta]

  • I piloni – mischia, prima linea, uno a destra, l'altro a sinistra, in mezzo c'è il tallonatore – sono le fondamenta di una casa, i fanti in trincea della Grande Guerra, il leggere e lo scrivere in prima elementare. Senza, crolla tutto. Hanno soprannomi da animali ("Os", bue, per il sudafricano Jocobus Petrus Du Randt), o legati alle dimensioni dei capoccioni ("Watermelon", anguria, per il gallese Gethin Jenkins), o riferiti alla superficie base per altezza ("Bus" per l'inglese Jason Leonard, anzi, "Fun Bus" per riconoscerne la vena umoristica). A Massimo Cuttitta fu regalato un soprannome che non sembra avere nulla a che fare con la sua stazza, la sua forza, la sua possanza: "Mouse", topolino. Ma la dedica risale a quando era un bambino e sul campo si muoveva rapido, scattante, imprendibile.
  • "Mouse" era speciale. Davvero. Sul campo sprigionava solidità e veemenza, come se con la maglia numero 1 indossasse anche un'armatura, e una tempra, metalmeccanica. Fuori dal campo era di una timidezza, di una riservatezza, anche di un pudore sorprendenti. Gli amici confidano come fosse sufficiente la presenza di una donna, senza neppure il barlume di un vago corteggiamento, perché Massimo tradisse la sua sensibilità e in viso diventasse rosso.
  • L'educazione sudafricana contribuì a forgiarne il carattere e rivelarne il talento. Per Massimo un programma degno dei Marines: su e giù per le colline, scatti e accelerazioni a zig zag sui prati, infine – e qui "Mouse" ci mise del suo – sollevando pesi nel cortile. Un'arte elaborata studiando le posizioni statiche e le linee di forza per non disperdere energie. Non basta mettere le fondamenta per edificare una casa: la casa deve essere resa antisismica. E ogni mischia, si sa, equivale a un terremoto.

Il rugby vincente di Berlusconi e la fine dell'Amatori Milano

ilfoglio.it, 13 giugno 2023.

  • Il rugby non era (e non è), come pensava Berlusconi, la somma di quindici giocatori (in campo), più due (in panchina, a quel tempo), più uno (la riserva viaggiante, in tribuna, a quel tempo), più altri (dirottati nella formazione iscritta al torneo delle riserve, a quel tempo). Il rugby era (ed è) quindici uomini (e quindici donne, adesso) stretti e uniti, coesi e coerenti, legati e mischiati, sostenibili e sostenuti, quindici insieme sul campo più sette in panchina più altri in tribuna. Una squadra. Lo sport di squadra. Che non si misura sul più forte, ma sul più debole. Che gioca sulla tecnica quanto sui sentimenti, sulla strategia quanto sullo spirito, sulla forza di gambe e braccia quanto su quella dell'animo, che è sempre pronto e mutuo soccorso. Quattordici uomini (e donne) che spingono, saltano, lottano, corrono, si aiutano per dare al quindicesimo un metro, mezzo metro, una spanna o uno spiffero di vantaggio. E poi vedere l'effetto che fa.
  • Quel Campese, un fenomeno. Per una decina di anni, doppie stagioni, in Australia e in Italia, prima nel Petrarca di Padova, poi a Milano. E il suo celebre passo dell'oca, una finta irresistibile e una corsa implaccabile.
  • 23 aprile 1994, al Plebiscito di Padova. Davide (L'Aquila) contro Golia (il Milan). La squadra di una città, di una civiltà, di una cultura ovale (L'Aquila) contro la squadra di un progetto, di un Fininvestimento, di un'industria a tutto tondo (il Milan). Il rugby ignorante delle contrade (L'Aquila) contro quello sberluccicante dei condomini e dei residence (il Milan). I dilettanti (L'Aquila) contro i professionisti (il Milan, anche se ufficialmente il professionismo sarebbe stato ammesso solo un anno dopo). E la tigna ebbe ragione sull'eleganza. Finale: 23-14 per i neroverdi aquilani. E anche per tutti quelli che sostenevano l'idea di un gioco di squadra, villaggio, paese, provincia, comunità. Dove è indispensabile avere fame, voglia, fuoco. Dentro.

La Gazzetta dello Sport[modifica]

  • Il Mortirolo è il Maracanà del ciclismo.[5]
  • [Sul passo del Mortirolo] Il nome promette sangue, sudore e lacrime, e non garantisce mai il lieto fine.[6]
  • Nell'aula di una scuola elementare, nell'ufficio di un municipio, nella sala da pranzo di un albergo, alla scrivania in redazione. Davanti, la sua Olivetti Lettera 32, tenuta insieme con gli elastici. Si accendeva la sigaretta, americana: e tirava, come se l'inizio del pezzo fosse lì, in quello sbriciolamento di foglie di tabacco che lui mandava in fumo. Poi attaccava. Ezio Graziani, l'autista della Gazzetta che lo portava in giro, e al Giro, non la chiamava macchina per scrivere, ma «pianola». Perché Bruno Raschi non batteva ma componeva, non pigiava ma accarezzava, non scriveva ma suonava.[7]
  • Raschi, con quella voce da attore, calda e suadente. Raschi, con quella giacca e cravatta, anche sotto un sole così. Raschi, che dava del lei a tutti, corridori e giornalisti. Raschi, 30 Giri d'Italia e 18 Tour, quasi 24 anni di Gazzetta, da una parte la vita in redazione, da redattore a caporedattore fino a vicedirettore, dall'altra la strada, i tornanti, le fontane, cioè le storie, le avventure e la letteratura.[7]
  • Sapete perché la gente ama lo sport? Perché nello sport c'è giustizia. Perché nello sport, prima o poi, trionfa la giustizia. Perché nello sport, prima o poi, i conti tornano, arrivano i nostri, vincono i buoni. Cadel Evans vince il Tour de France. E con lui vince il ciclismo, e con lui vince lo sport, e con lui vince la giustizia.[8]

Calloni, Juary e i mal di testa. Beppe Viola non invecchia mai

gazzetta.it, 17 ottobre 2012.

[Su Beppe Viola]

  • Non è invecchiato, Beppeviola. Sono trent'anni che ha quella faccia lì, che al massimo sorride ma ti fa crepare dal ridere, che ti guarda di trequarti e non sai se prende in giro anche te o soltanto il resto del mondo, che si accende una sigaretta dimenticando di averne già una che si sta consumando morendo – lei, la sigaretta – di solitudine, che continua a scrivere di getto e a battere a macchina, che salta dal calcio all'ippica, da San Siro alla Bovisa, dalla pelota al biliardo, dal Derby ai derby.
  • Non è invecchiato, Beppeviola. Era in vantaggio sul gruppo, un uomo solo al comando, quasi un'altra corsa, o un'altra cosa, e non è più raggiungibile, neanche da quelli che hanno provato a mettersi nella sua scia, da Jannacci in poi, in giù, inoltre.
  • Non è invecchiato, Beppeviola, morto il 17 ottobre 1982, dopo una telecronaca, infarto o ictus o giù di lì, non che facesse proprio una vita da atleta e neanche da santo, tra svapore e boeri, bianchini e scommesse, Rai e marchettificio, caffè e ammazzacaffè, nonché moglie e quattro figlie che poi ricordano quei quarti d'ora, quegli accompagnamenti, quelle carezze, quegli "ossignùr" da farti venire i brividi per tanto smisurato amore. Beppeviola campava come giornalista, se diciamo sportivo è solo per dare un valore a questo mestiere che non è lavoro, ma intanto scriveva canzoni, sceneggiature, rubriche, libri, testi per cabaret e per il futuro, buoni sempre, anche adesso, anche fra un secolo.
  • Quello che alla fine dell'anno scolastico si stupiva di essere stato respinto perché, dato il numero record di assenze, pretendeva di essere dato per disperso. Quello che correva allegramente il rischio di trasformare il fegato in una bottiglieria. Quello che diceva che i giardinetti di viale Argonne servivano a tenere insieme la nebbia fino all'alba e anche più in là.

Note[modifica]

  1. Da Quando la palla era vibrata, SportWeek, 2 luglio 2005.
  2. a b Da Addio a Massimo Cuttitta, padre costituente della Repubblica italiana del rugby, ilfoglio.it, 12 aprile 2021.
  3. Da Quando il migliore al mondo giocava in Italia. Il rugby di David Campese, ilfoglio.it, 11 novembre 2022.
  4. Da Il fighting spirit dell'Irlanda del rugby, ilfoglio.it, 25 febbraio 2023.
  5. Da Chiamatela Alpe regina, gazzetta.it, 17 luglio 2006.
  6. Da La Gazzetta Sportiva, 25 ottobre 2009.
  7. a b Da Raschi, 20 anni di nostalgia per il «Divino», La Gazzetta dello Sport, 1º maggio 2003.
  8. Da Ce l'hai fatta! Storico Evans: straccia Schleck e dopo 2 secondi posti il Tour è suo, La Gazzetta dello Sport, 24 luglio 2011.

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