Carl Fogarty
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Carl George Fogarty (1965 – vivente), pilota motociclistico e dirigente sportivo britannico.
Citazioni di Carl Fogarty
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- La Ducati 916 rappresenta il mio passato, la mia storia. Questa moto mi ha permesso di conquistare grandi successi e di divertirmi molto. Posso proprio dire che abbiamo instaurato un ottimo rapporto. In un certo senso siamo stati compagni di battaglie; abbiamo iniziato insieme nel 1994, con grandi aspettative, molto da dimostrare e una grande fame di vittorie. Abbiamo percorso molta strada insieme e per me sarà sempre molto più di una moto. È come una parte della mia vita alla quale sarò per sempre legato [...].[1]
- Penso che i fan del WorldSBK di tutto il mondo, indipendentemente dalla scuderia e dal pilota preferiti, considerino la Ducati 916 la moto per antonomasia. Il concetto della 916 ha avuto un enorme successo, ha riunito un mare di fan e ha rappresentato un cambiamento radicale per il marchio Ducati nel mondo. È una moto moderna ancora oggi, sensazione che poche moto riescono a trasmettere. È davvero speciale, incredibile. Gli anni '90 sono stati il periodo d'oro del WorldSBK. La nostra visibilità era altissima e i fan di tutto il mondo erano molto appassionati. Le nostre moto avevano lo stesso aspetto delle versioni stradali; il WorldSBK era infatti l'equivalente a quattro tempi della MotoGP, nella quale le moto avevano motori a due tempi. Essere al top in quegli anni faceva parte dei sogni di molti fan. Guidare moto che si potevano trovare sul mercato, lottare per la vittoria in un modo più spettacolare rispetto alla MotoGP. Sono convinto che i fan se ne siano resi conto. E che la 916 rappresenti l'apice di quella cultura. Come la McLaren di Senna o la Ferrari di Schumacher per i fan della Formula 1. [...][1]
- [Nel 2021, «la MotoGP sta andando verso la Formula 1?»] Esattamente. L'elettronica è talmente avanzata che non si vede più un pilota perdere il posteriore. A volte guardo le gare e mi domando: ma chi è veramente il miglior pilota? Come in Formula 1, è la miglior moto, il miglior team, la migliore strategia a vincere, non il pilota che guida sopra i problemi. Ai miei tempi, il polso era la centralina elettronica![2]
- [«Cosa pensi dell'imperversare del politically correct?»] Forse non sono la persona adatta perché ho sempre detto quello che pensavo. Addirittura una volta dissi che odiavo tutti! Ma non ero solo io, eravamo in tanti. Adesso gli interessi sono tali che per ragioni di sponsor si dice quello che deve essere detto, si ringrazia tutto e tutti. Anche Gesù Cristo![2]
- [Sul motomondiale d'inizio anni Duemilaventi] Guardo i piloti e non so più quanto siano bravi. Le moto hanno una tecnologia incredibile. Ascolto chi si esalta perché tutto il gruppo è a un secondo e mi chiedo: perché? La ragione è che le moto sono tutte uguali. Le moto sono così veloci e la tecnologia è così avanzata che tolgono qualcosa al pilota. Se si levasse tutta l'elettronica, cosa che ovviamente non faranno mai, allora potremmo vedere chi sia il pilota più talentuoso. C’è sempre stata una superstar in MotoGP o in Superbike dagli anni '70: Barry Sheene, Kenny Roberts, Wayne Rainey, Mick Doohan, Valentino Rossi, Marc Márquez, Jorge Lorenzo sono i nomi che mi vengono in mente. Ma ora ci sono circa otto piloti che possono vincere. E questo è dovuto al fatto che le moto sono velocissime, e che non c'è nessuna superstar che emerga.[3]
- [Sul rapporto con gli altri colleghi, negli anni del campionato mondiale Superbike] Non credo che nessuno di noi si piacesse davvero, a meno che non fossi solo io. Detto ciò, dopo un weekend di gara, la domenica sera ci ritrovavamo spesso nello stesso hotel, bar o pizzeria a mangiare qualcosa e a bere qualche birra e tutto sembrava ok. Poi al lunedì pensavi: "Odio ancora questi ragazzi, devo pensare alla gara della prossima settimana". [...] Noi non andavamo a correre insieme, ci odiavamo. Era divertente. Erano dei bei tempi.[4]
- Una MotoGP è lontana un milione di miglia dalle moto con cui correvo io. Sulla mia moto tutto era meccanico, si regolava tutto con un cacciavite o una chiave inglese. Ora arrivi, il tizio collega il portatile e cambia tutto. L'elettronica della moto è incredibile.[4]
- La 916 è la mia moto preferita in assoluto! E la versione del 1995 è quella che ho amato di più. In quell'anno la 916 era veramente bella da guidare, forse perché me l'ero cucita addosso e il reparto corse aveva fatto un grande lavoro di sviluppo. È stato un biennio indimenticabile: durante il 1994 vennero risolti tutti i problemi di gioventù, tra cui l'erogazione aggressiva e l'affidabilità, così nel 1995 avevo spesso la sensazione di poter fare tutto quello che volevo [...][5]
- Nel [campionato mondiale Superbike] 1998 stavo perdendo le motivazioni, maledicevo la moto e tutto quanto. I risultati non erano buoni e non mi sentivo motivato. Negli ultimi Round ho svoltato, data anche l'inconsistenza di tutti gli altri. Davide Tardozzi a Laguna Seca mi disse chiaramente "puoi farcela. Se non vuoi correre, faccelo sapere e smettiamo di sprecare il nostro tempo. Ritirati e stai a casa ma dipende da te, quindi smettila di lamentarti della moto" e ho pensato "mai nessuno finora mi ha mai detto una cosa del genere" e questo mi ha acceso per gli ultimi Round del Campionato. Mi sono messo giù a testa bassa e ho dimostrato a tutti che si sbagliavano e che io avevo ragione, facendo vedere che potevo ancora farcela. Nell'estate 1998 avevo perso la bussola ma poi ho svoltato e a Sugo ho vinto il titolo con un paio di punti di vantaggio.[6]
- Donington Park non è un circuito veloce, è un circuito da piloti.[6]
Intervista di Gordon Ritchie, motosprint.corrieredellosport.it, 25 aprile 2021.
- [«Tuo padre correva, era scritto nelle stelle che avresti gareggiato anche tu?»] Penso di sì [...]. Alla fine se cresci in un certo ambiente, circondato da determinate cose, finisci per farle tue, che sia a livello professionale o amatoriale. Io sono cresciuto con il desiderio di gareggiare, i miei primi ricordi sono all'Isola di Man nella settimana senza scuola per andare a vedere il TT. Ce l'avevo nel sangue.
- La 250 era la classe "regina", e a ripensarci ora non mi spiego le ragioni. Forse perché c'era maggiore affollamento, dato che era economicamente più sostenibile. E quindi io volevo gareggiare in 250: il mio primo sogno da pilota era vincere il Mondiale della 250!
- [Sul debutto in Superbike nel 1991] Con la Honda UK. Disputai gran parte della stagione con un budget così modesto da rasentare la barzelletta. Non fu una buona idea. Però andai più forte degli altri piloti che guidavano la mia stessa moto, compreso il due volte campione Fred Merkel. Ma nessuno notò tali risultati. Chiusi l'annata al settimo posto, e si parla di una stagione in cui in pratica tutte le manche andarono ai piloti Ducati. Quindi non fu un cattivo risultato, ma faticai, forse anche per mie responsabilità. A livello personale, invece, fu un anno bellissimo: mi sposai e poi arrivò mia figlia Danielle. Fu un toccasana, perché guidare la RC30 era ormai un supplizio [...] La peggior moto all'anteriore della mia carriera.
- [Confrontando le esperienze in Honda e Ducati] La Honda era organizzata ma lì eri soltanto un numero. In Ducati c'era un'organizzazione non sempre perfetta, ma era bello sentirsi il numero uno.
- [«[...] c'è però il rimpianto per non aver avuto una carriera nel Motomondiale?»] Onestamente, non ho mai avuto una vera occasione. C'era abbastanza "politica" in tutto questo, a livello di sponsor. Ebbi un incontro con Kenny Roberts in Spagna, a fine 1995, per poter entrare nel Team Marlboro Yamaha, sembrava una buona occasione su una moto adatta alle mie caratteristiche. Sono convinto che su quella moto avrei vinto delle gare e avrei lottato per il titolo, non mi importa di chi la pensa diversamente. Anche perché da wild card sulla Cagiva, a Donington nel 1993, sarei andato sul podio se soltanto non fossi rimasto senza benzina. Era una moto che non avevo praticamente mai provato, eppure iniziai con il secondo tempo nelle prove del venerdì, e nessuno se lo ricorda... Io invece ricordo che iniziai a cercare il mio nome sullo schermo dall'ottavo posto in giù, e non lo trovavo. Ma attorno a me vedevo gente sorridente, molto sorridente: ci credo, ero secondo dietro Wayne Rainey, davanti a Kevin Schwantz e Mick Doohan! Il sabato, però, caddi in modo pesante, colpa di un attimo di deconcentrazione, e praticamente persi l'intera giornata. Per la gara, dove scattai dalla seconda fila, tirammo a indovinare tutto: assetto, gomme. Alla fine ero terzo, nonostante problemi con la gomma anteriore e i freni, ma finì la benzina! Conclusi quarto. Non male, per essere stata la parentesi di un weekend su una moto non mia.
- [...] come pilota, avevo uno stile di guida paragonabile a Luca Cadalora, Max Biaggi, Carlos Checa, gente che ha avuto successo in 500. E non credo che loro fossero più forti di me. Credete davvero che sui curvoni di Donington o Assen non avrei potuto vincere nella stessa 500? Credetemi, avrei vinto anche in 500.
- Se oggi ripenso a com'ero quando correvo, un po' mi sento in imbarazzo. Anzi, forse dovrei pentirmi di certi atteggiamenti. Ma in fondo ero proprio così, almeno in pista. A questi livelli di competitività, si è quasi costretti a odiare chi sta cercando di precederti e di batterti. E nel mio caso, funzionava. Ai tempi, tutto ciò che dicevo lo sentivo e lo pensavo, ma se tornassi indietro, non ripeterei certe cose, e mi limiterei a parlare in pista. Ricordo anche che fuori dai circuiti ero una persona differente, ero molto più timido. Però in pista, più vincevo e più diventavo arrogante, non riuscivo a fermarmi.
Intervista di Gordon Ritchie, motosprint.corrieredellosport.it, 30 aprile 2021.
[Sulla Petronas FP1]
- Il contatto nacque da alcuni miei vecchi sponsor, grazie a loro conobbi la Petronas e vinsi alcune gare per loro in Malesia. David Wong [...] fece in modo di arrivare alla firma: fu lui a convincere la Petronas a non limitarsi a realizzare due-tre moto per andare a correre in MotoGP nel 2003, bensì a produrre 150 esemplari, diventando un vero e proprio costruttore e correre nel mondiale Superbike. Non so come, ma ci riuscì.
- Sono orgoglioso per ciò che è stato costruito e realizzato in un periodo breve. Ingaggiammo ottimi piloti, le nostre strutture non avevano nulla da invidiare a nessuno [...]. Al debutto in pista, però, eravamo stati orribili. Ma non erano problemi legati a ciò che era sotto la mia responsabilità. L'unica cosa del progetto in cui non avevamo parola né io né le persone del mio team, era il motore. Che era realizzato dalla Petronas originariamente con la Sauber, ma l'accordo saltò. Cercammo aiuto, mi rivolsi a motoristi di mia fiducia, come Cosworth, ma dai vertici dell'azienda ci venne intimato uno stop. Perché la loro idea fu di andare con lo svizzero Eskil Suter. Noi ci guardammo un po' straniti, in fondo pensavamo che la sua competenza fosse sui motori due tempi e le 250 di cilindrata... Sapete com'è finita la storia. In un modo che definirei frustrante.
- Tutto era stato fatto alla perfezione, ma non appena accendemmo la moto arrivarono i problemi. La moto faceva un bel rumore, ma si surriscaldò subito e perse olio e poi acqua. Lo fece al debutto nel mondiale Superbike e credo lo fece anche nell'ultima gara disputata, a Magny-Cours nel 2006. Ma cosa si poteva fare? Una volta che il progetto era stato realizzato, con 150 modelli costruiti, non c'era modo di cambiare tutto all'improvviso. Più volte in Petronas si saranno chiesti "in cosa diavolo ci siamo cacciati?", ma hanno voluto onorare i contratti fino alla fine, noi facemmo il possibile con ciò che avevamo a disposizione.
- Per chi è abituato a vincere, lottare per prendere punti e finire le gare, è frustrante. E lo era anche per Petronas, che aveva investito parecchi soldi. [...] il motore non era nemmeno vicino all'essere competitivo. Poi le regole cambiarono dopo che portammo il 900 tre cilindri, visto che aumentò la cubatura per tutti: finimmo per avere la moto più lenta in gara, con la minore cilindrata. Ma oggi, dopo tanti anni, resta l'idea di un'esperienza molto interessante.
Citazioni su Carl Fogarty
[modifica]- Piloti veri, duri e puri come Fogarty, Chili, Falappa, Pirovano... Amavano correre e confrontarsi in pista, non certo le interviste. Ad esempio avevamo l'ordine di non avvicinare mai Fogarty (come tanti altri) prima di cinque minuti dalla bandiera a scacchi. Era uno che poteva menarti, strappare il microfono o dire cose che poi si sarebbe pentito amaramente di aver detto in diretta. Perché avevano l'adrenalina a mille e se ne fottevano dei giornalisti. Ricordo a Monza, gara di casa della Ducati... Carl Fogarty partiva in seconda fila e così sono andato a chiedergli come mai non fosse riuscito a fare la pole. Mi rispose qualcosa in slang... un amico inglese poi me lo tradusse con "brutto segaiolo, vacci te al posto mio!". Capito? Erano così. (Giovanni Di Pillo)
- Carl aveva un talento innato, qualsiasi cosa gli mettessi sotto il sedere, lui riusciva ad andare forte.
- Con Fogarty credo che il culmine lo raggiungemmo nel 1998 quando, finita una corsa in cui andò malissimo sul bagnato, andò via con sua moglie senza salutare nessuno un quarto d'ora dopo la gara. Non riuscii più a rintracciarlo per una settimana. Era sparito totalmente. Mi aveva poi fatto sapere che con quella gara aveva finito di correre. E invece poi nel '98 vinse il Mondiale. Ricordo che dopo quella gara ci fu il primo World Ducati Week, e io lo costrinsi a girare il giovedì a Misano sulla pista bagnata perché pioveva. Ci fu un litigio di quelli brutti. In pista lui cadde, tornò ai box inferocito dicendomi che l'avevo fatto cadere. Fortunatamente Michaela, sua moglie, prese le mie difese e continuammo a litigare due contro uno. Lui ha vinto quattro titoli, nel 1994 e 1995, nel 1998 e 1999, e io gli dico sempre che due li ha vinti lui e due li ha vinti sua moglie. Michaela è una grandissima donna, spesso le donne dei piloti possono fare la differenza, sia nel bene che nel male.
- Di Carl [mi piaceva] la determinazione, la consapevolezza che comunque in gara sarebbe andato forte anche a dispetto di varie problematiche. Capitò a Hockenheim, nel 1999: prendeva un secondo al giro da Aaron Slight e Colin Edwards, il sabato sera è venuto da noi e ci ha detto: "Avete fatto tutto? Domani ci penso io". E ha vinto, gara e titolo, con l'ultima sua manche conquistata. La cattiveria agonistica di Carl era una cosa che ci tranquillizzava spesso, anche quando le cose non andavano bene.
- Di Fogarty si è detto di tutto, che era un matto, uno scapestrato, gliene hanno dette di ogni. In realtà Fogarty era semplicemente una persona timida, bisognava capire e comprendere la sua timidezza.
- Fogarty sia stato uno dei primi piloti della SBK che avrebbe potuto correre nel motomondiale ed essere molto competitivo. Carl aveva un talento stratosferico.
Note
[modifica]- ↑ a b Da Intervista con un mito, ducati.com, 2019.
- ↑ a b Da Maria Guidotti, L'intervista a Carl Fogarty: in questa MotoGP in cui il polso non conta più, Valentino non deve dimostrare nulla, mowmag.com, 2 maggio 2021.
- ↑ Da un'intervista a crash.net; citato in Valerio Barretta, MotoGP / Fogarty: "Moto tutte uguali, non ci sono star", formulapassion.it, 4 agosto 2022.
- ↑ a b Dall'intervista a The Classic: Silverstone per Adrian Flux; citato in Daniela Piazza, SBK, Fogarty: "Con Kocinski, Edwards e Slight, ci odiavamo: era divertente", gpone.com, 7 ottobre 2022.
- ↑ Da 916: come una magia, SLICK nº 21, maggio-giugno 2023; citato in un post sul profilo ufficiale facebook.com, 5 giugno 2023.
- ↑ a b Dall'intervista Fogarty parla del mercato piloti 2024, di BMW e delle difficoltà di Rea con Kawasaki, worldsbk.com, 28 giugno 2023.
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