Carlo Botta
Carlo Giuseppe Guglielmo Botta (1766 – 1837), scrittore, storico e politico italiano.
Citazioni di Carlo Botta
[modifica]- Nessun maggior segno v'ha di cuor ben nato, e di mente ammaestrata di ottime discipline, che il far onore ai morti, che han lasciato di qua una memoria degna d'onoranza. (da una lettera a Giuseppe Grassi, Parigi 22 aprile 1812, in Lettere, Pompeo Magnaghi Editore, Torino 1841)
- [Su Andreas Hofer] Non aveva Andrea alcuna qualità eminente, dico di quelle, alle quali il secolo va preso: bensì era un uomo di retta mente e di incorrotta virtù. Vissuto sempre nelle solitudini dei tirolesi monti ignorava il vizio e i suoi allettamenti. I parigini e i milanesi spiriti, anche i più eminenti, correvano alle lusinghe napoleoniche; povero albergator di montagna perseverava Hofer nell'innocente vita. Allignano in ordinario in questa sorte di uomini due doti molto notabili, l'amore di Dio e l'amore della Patria: l'uno e l'altro risplendevano in Andrea. Per questo la tirolese gente aveva posto in lui singolare benevolenza e venerazione. Non era in lui ambizione. Comandò richiesto non richiedente. Di natura temperatissima, non fu mai veduto, né nella guerra sdegnato, né nella pace increscioso, contento a servire o al principe o alla famiglia. Vide vincitori insolenti, vide pacifici tugurj, vide lo strazio e la strage dei suoi: né per questo cessò dall'indole sua moderata e uguale: terribile nella battaglia, mite contro i vinti, non mai sofferse che chi le guerriere sorti avevano dato in sua potestà, fosse messo a morte; anzi i feriti dava in cura alle tirolesi donne, che, e per sé, e per rispetto di Hofer gli accomodavano di ogni più ospitale servimento. Distruggeva Napoleone le patrie altrui, sdegnoso anche contro gli amici: difendeva Hofer la sua, dolce anche contro coloro che la chiamavano a distruzione e a morte. (citato in Massimo Viglione, Rivolte dimenticate: le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, p. 115)
A Giovanni Paisiello, a Napoli
[modifica]Caro e gran Paisiello,
Strana cosa potrà parere a taluno, il quale abbia il cuore formato d'insensibile marmo, la cagione dello scrivere a V. S. illustrissima: pare però a noi assai giusta e ragionevole, e speriamo che possa riuscire a lei cara ed accetta.
Noi abbiamo qui ascoltato la sua Nino- cantata dalla compagnia-Bassi nel teatro dell'illustrissimo sig. marchese d'Angennes, e tanta fu la soprabbondanza de'sensi dolci e teneri, ch'ebbe forza d'eccitare in noi, che non possiamo resistere al piacere di attestarglielo solennemente. La S. V. era in cielo quando compose quella divina musica, e noi pure siamo stati in cielo nel sentirla, di maniera che, terminata l'azione, tutti rimanemmo muti e tristi, privati di quei bellissimi accenti e di quella cara armonia d'oro.
Citazioni
[modifica]- Venti volte si rappresentò la Nina, e sempre col medesimo effetto. Ognuno in questa città parlava di Nina, di Nina si discorreva in tutte le conversazioni. Dopo la rappresentazione di quella cara Nina tutti sembravano divenuti matti, come successe a quei di Ancira dopo una rappresentazione del tragico Sofocle. (p. 4)
- Se tutte le musicali produzioni di oggidì fossero come quelle della Nina, i maestri di musica si potrebbero a giusto titolo nominare estirpatori dei vizi, produttori delle virtù, correggitoli dei costumi: e la musica meriterebbe ancora gli encomi, e gli onori che i legislatori delle nazioni, ed i virtuosi antichi popoli le attribuirono. (p. 4)
- Facciamo tutti sinceri voti per la sua felicità, e vivamente desideriamo che il cielo la conservi lungamente alla Italia. (p. 5)
Storia d'Italia
[modifica]Proponendomi io di scrivere la storia delle cose succedute in Italia ai tempi nostri, non so quello che gli uomini della presente età saran per dire di me. Conciossiachè mancati col finire del decimo sesto secolo gli eccellenti storici fiorentini, i quali soli forse fra gli storici di tutti i tempi e di tutte le nazioni scrissero senza studio di parti la verità, i tempi andarono sì fattamente peggiorandosi, e l'adulazione in guisa tale distendendosi, che il volere scrivere la storia con sincerità pare opera piuttosto incredibile, che maravigliosa. E non so perch'io m'oda dire tuttavia, che la storia è il lume del tempo, e che insegna bene il fatto loro ai popoli, ed ai principi: imperciocchè, scritta secondo il costume che prevalse, io non so quale altra cosa ella possa insegnare altrui, fuori che a dir le bugie; e qual buona guida nel malagevole cammino della nostra vita siano queste, ognun sel vede, stantechè i negozi umani con la realtà si governano, non con le chimere.
Citazioni
[modifica]- Chi intende a libertà, deve, anzi che spegnere, nodrire la divisione, che la natura ha posto tra la nobiltà e il popolo, e dare a quella ed a questo nella ordinazione sociale quella parte d'autorità e di potenza, che loro si conviene al fin comune della libertà. Il non averlo fatto è il verme, che rode le costituzioni libere fondate sulla egualità politica di tutti i cittadini. (I)[1]
- Domenico Cirillo, medico e naturalista, il cui nome suonava onoratamente in tutta l'Europa, non isfuggì il destino di chi ben ebbe amato in tempi tanto sinistri. Richiesto una prima volta di entrare nelle cariche repubblicane, aveva negato perché gl'incresceva l'allontanarsi dalle sue lucubrazioni tauto gradite di scienze benefiche e consolatorie. Gli fecero una seconda volta suonare agli orecchi il nome e la necessità della patria. Lasciossi, come buon cittadino, piegare a queste novelle esortazioni. (da Storia d'Italia dal 1789 al 1814, lib. XVIII; citato in Giuseppe Maffei, Storia della Letteratura Italiana, Vol. III, p. 53)
- Dopo un terribile interno muggito la terra tremando distrusse Casalnuovo [...]. Le strade avea larghe, dritte, le case basse pel timore de' terremoti, ciascuna di essi con un albero, ed una pergola avanti [...]. Non vi rimase pietra sopra pietra, tutto fu pareggiato al suolo, tetti sconvolti, sassi schiantati, alberi infranti. Quasi la metà della popolazione di Casalnuovo perì schiacciata sotto le rovine [...]. (Storia d'Italia, vol. VIII, p. 237)
- [Domenico Cirillo] La dottrina l'ornava, la virtù l'illustrava, la canizie il rendeva venerando. Ma i carnefiici non si rimanevano, perché il tempo era venuto che una illusione proveniente da fonte buona coll'estremo sangue si punisse, ed alla virtù vera non si perdonasse. Se gli offerse la grazia, purché la domandasse, non perché virtuoso, dotto e da tutto il mondo onorato fosse, ma perché aveva servito della sua arte Nelson ed Emma Liona. Rispose sdegnato, non voler domandar grazia ai tiranni, e poiché i suoi fratelli morivano, voler morire ancor esso; né desiderio alcuno portar con sé di un mondo che andava a seconda degli adulteri, dei fedifragi, dei perversi. La costanza medesima che mostrò coi detti, mostrò coi fatti: perì per mano del carnefice, ma perì immacolato e sereno. (da Storia d'Italia dal 1789 al 1814, lib. XVIII; citato in Giuseppe Maffei, Storia della Letteratura Italiana, Vol. III, p. 53-54)
- Mario Pagano al quale tutta la generazione risguardava con amore, e con rispetto, fu mandato al patibolo dei primi: era visso innocente, visso desideroso di bene; né filosofo più acuto, né filantropo più benevolo di lui mai si pose a voler migliorare quest'umana razza, e consolar la terra. (da Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Vol.III, 417)
- [il generale francese Louis Alexandre Berthier] Salito in Campidoglio bandiva la Repubblica romana solennemente, la riconosceva in nome della Francia, lodava la libertà, chiamava i Romani figlioli di Bruto, e di Scipione. Queste cose si facevano veggendo, ed udendo dalle stanze del deserto Vaticano il canuto, ed infermo pontefice [Pio VI]. Erano tutto il restante giorno, e la seguente notte canti, balli, e rallegramenti di ogni forma. (da Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Italia, 1824, tomo VI, libro decimoterzo, pp. 29-30)
L'America, e specialmente alcune parti di essa state scoperte dall'ingegno, e dall'ardire degl'Italiani, ricevettero in varj tempi, come in luogo d'asilo, gli uomini, i quali le turbazioni politiche, o religiose cacciavano dalle proprie contrade d'Europa; posponendo eglino la dolcezza della patria e dell'aere natio alla sicurezza, che quelle lontane e deserte regioni alle menti loro appresentavano.
Citazioni su Carlo Botta
[modifica]- Lo zelo di richiamare la lingua a' suoi principii e di impedire, come si esprime egli stesso, che tutta diventi infrancesata, lo spinse a non metter mai il piede se non nelle orme segnate dagli Storici del Trecento e del Cinquecento. (Ambrogio Levati)
Note
[modifica]- ↑ Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
Bibliografia
[modifica]- Carlo Botta, A Giovanni Paisiello, a Napoli, dalle Lettere, Pompeo Magnaghi Editore, Torino, 1841.
- Carlo Botta, Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, Fontana, 1827.
- Carlo Botta, Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Capolago, 1833.
- Carlo Botta, Storia d'Italia, Biblioteca scelta di Opere Italiane antiche e moderne, Silvestri, Milano, 1844.
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