Caterina Caselli
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Caterina Caselli (1946 – vivente), cantante, produttrice discografica, attrice e conduttrice televisiva italiana.
Citazioni di Caterina Caselli
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Cantare mi entusiasmava e mi entusiasma allo stesso modo veder cantare artisti che stimo. È bello aiutarli. È bello essere qualcosa per qualcuno.[1]
- Non tradisco mai gli artisti o la loro arte. Semmai la declino nella realtà, trovando soluzioni pratiche ai limiti che essa impone, ma questo è normale.[1]
- [...] io sono affascinata da Ferretti, e trovo sia uno scrittore tra l'altro bravissimo. Il fatto che lui abbia parlato sempre bene di me mi inorgoglisce. C'è una stima reciproca, e una grande stima soprattutto per quello che hanno fatto i CCCP. Trovo che sia una persona davvero speciale, che ha avuto il coraggio di cambiare. E poi la disciplina con cui porta avanti la sua vita e il suo lavoro... Insomma, chapeau.[2]
- Sono sempre stata affascinata da qualcosa di imprevedibile... Qualcosa che mi rendesse un po' "scomoda", non so come dire... E quella cosa lì, quella sensazione, mi piaceva moltissimo. Quindi ho sempre pensato che il marketing arriva dopo. L'artista deve arrivare prima del marketing insomma. Sei tu che devi portare qualcosa che non c'è. Certo, oggi è molto difficile, però l'atteggiamento e il desiderio sono quelli.[2]
- Io ho avuto due nonne, quella biologica Caterina che è morta giovane a 42 anni di emorragia cerebrale, e la seconda moglie di mio nonno, Maria, che non aveva studiato ma era intelligentissima e di gran sensibilità; capiva tutto e si occupava di tutto, faceva tappeti al telaio, curava l'orto, dava da mangiare a tutti e se ti facevi male faceva anche il medico, era speciale. È grazie a lei se mi chiamo Caterina: quando nacqui avendo capito che volevano chiamarmi Imelde — in Emilia è così, hanno questi nomi strani, mio zio si chiamava Falcero — andò da mio nonno e gli disse che doveva insistere perché mi mettessero il nome della nonna vera. Si dice che Caterina mia nonna cantasse benissimo, aveva una voce da contralto come me e si dice che quando lei e suo zio cantavano nei campi la gente si fermava ad ascoltare.[3]
Dall'intervista di Giovanni Robertini a Rolling Stone Italia, settembre 2016; citato in rollingstone.it, 7 settembre 2016.
- [«Oggi il luogo di ricerca del talento è il talent show in tv»] A questo proposito c'è una riflessione che ho fatto prima di tutto con me stessa. L'artista, solitamente, è una persona timida. Di fronte alla telecamera c'è il rischio che la tua prima preoccupazione diventi piacere agli altri e, di conseguenza, ti trasformi in ciò che gli altri vogliono da te. La lusinga è molto forte. Non sono né a favore né contro i talent show, ma questo aspetto della questione mi fa molto riflettere.
- Il talento, oltre a essere timido, è anche democratico. Si può trovare ovunque [...] ma ha bisogno di qualcuno che ci creda, che crei le condizioni perché emerga.
- [Su Elisa] All'epoca facevamo un concorso legato alle radio commerciali a cui chiedevamo di segnalarci artisti interessanti. Ogni mese organizzavamo un incontro in CGD [...]. E lì vidi questa ragazzina minuta, piccola piccola, con il suo tastierista, piccolo pure lui. Quando cantò la sua versione di Yesterday, che è una canzone impegnativa, rimasi impressionata. Lei sembrava molto fragile, e quella era la sua bellezza, la sua forza. Corrado Rustici, il produttore che all'epoca seguiva Zucchero, rimase molto colpito da un VHS che Elisa nel frattempo ci aveva spedito, dove faceva anche l'imitazione di Benigni. Decidemmo, cosa che oggi non si fa più, di portarla a registrare negli Stati Uniti, a Berkley, dopo averle chiesto se aveva paura dell'aereo. Al momento del contratto, di fronte a un giudice tutelare, Elisa non era neppure maggiorenne. Fu una scommessa, anche economica. Un contratto per un singolo più un secondo opzionato. Quando Elisa tornò, era trasformata. In America aveva respirato aria nuova. Era partita con sette, otto pezzi ed era tornata con una serie di pezzi nuovi, tutti pensati e scritti là. Ascoltai Sleeping in Your Hand e capii che era successo qualcosa. Poi, all'uscita del primo disco, ci rendemmo conto che aveva le stesse sonorità dell'album di Alanis Morissette, un successo grandissimo pubblicato pochi mesi prima. All'inizio, quando abbiamo conosciuto Elisa, non sapevamo ancora che avrebbe cantato in inglese.
Intervista di Isabella Ferrari, vanityfair.it, 25 settembre 2020.
- Era il Sanremo del 1966, avevo 19 anni e ho cantato Nessuno mi può giudicare, una canzone che era destinata a Celentano, ma per fortuna lui disse di no. Me l'avevano presentata come un tango, ma per me tango, all'epoca (ora non più) era tutto quello che sapeva di vecchio. Pensavo: manco morta lo faccio questo pezzo. Poi, in realtà, l'abbiamo modificato e io l'ho cantato. Ero talmente contenta di andare a Sanremo! [...] E poi sul palcoscenico mi è accaduta una cosa che posso raccontare, inspiegabilmente a un certo punto, mentre cantavo, il ritmo della canzone mi ha portato a fare quel movimento che poi divenne così famoso. L'avevo copiato dai Gufi: a settembre, avevo cantato a Milano all'Intras' Club, dove c'erano anche I Gufi, bravissimi, e uno di loro, cantando un brano di tradizione popolare, Sant'Antonio allu desertu, faceva roteare le mani. Mi venne spontaneo ripetere quel movimento mentre ero sul palco di Sanremo. E poi c'erano i capelli: ero andata a tagliarli dai Vergottini.
- Ho avuto un carcinoma al seno, a cui è seguito un periodo molto lungo di terapie. Di certo la malattia cambia i pesi delle cose, a me ha alleggerito certe sofferenze, quelle legate alle delusioni, per esempio, le ha rese meno cocenti. L'ottica diventa completamente diversa, è come se aumentasse la distanza fra te e le cose, hai una visione più distaccata e le vedi da una prospettiva che ti dà più libertà, più coraggio. E quindi, certo, è meglio godere di buona salute, ma secondo me la malattia lascia una esperienza che non è così negativa.
- Il mio orizzonte è sempre aperto, non metto limiti alla provvidenza. Sai quando sei su una barca, vai verso il largo e vedi il punto di congiunzione tra mare e terra che si sposta sempre? Ecco il mio orizzonte è così, e mi vedo con un bicchiere di vino in mano, della buona musica in sottofondo ad aspettare il tramonto. E in mezzo possono cambiare tante cose, come dice quel verso bellissimo di Paolo Conte: "Nasci da solo, muori da solo, in mezzo c'è un gran traffico".
Da Caterina Caselli - Una vita, cento vite, regia di Renato De Maria (2021); citato in Andrea Conti, ilfattoquotidiano.it, 13 dicembre 2021.
- Dovevamo già pensare alla canzone dell'estate. C'era una canzone che mi piaceva molto ed era Perdono ed era curioso che arrivasse dopo Nessuno mi può giudicare. Fu un successo travolgente e vinse il Festivalbar. In quell'anno, il 1966, non potevo aspettarmi un successo del genere. In quel periodo tantissime ragazze si tagliavano i capelli come me. Un parrucchiere fece proprio la parrucca casco d'oro e ne vendette tantissime. Ebbi la possibilità di sperimentare il casco d'oro sul set del film musicarello Nessuno mi può giudicare. Avevo i capelli ricci perciò appena sudavo la frangia diventata riccia e così usammo la parrucca. Era un ulteriore avvicinamento al pubblico popolare che toccava tutta l'Italia, un segnale di libertà in una società ancora spietata. Ho iniziato nelle balere dove c'era il pubblico genuino e le persone semplici che si vogliono divertire. La mia semplicità penso abbia contribuito al mio successo.
- Papà Francesco era bravo a fare salami e prosciutti, mamma Giuseppina era una magliaia. [...] Papà era socialista e si confidava con Don Giuseppe, stava molto male. Mia mamma non lo aveva capito bene. Lui aveva una depressione molto forte e un giorno mi disse "ti accompagno a scuola oggi" e mi disse "studia". Mi chiamava "Ciccio" perché ero un po' più robusta rispetto a mia sorella che era esile. Andò a lavorare e tornai a casa alle 12, c'erano tutti i parenti e mia mamma era seduta per terra. Mia zia mi dice che papà era in ospedale e non stava bene. Andai in camera mia, avevo 14 anni mia sorella 11, e a nonna chiesi "papà è morto vero?" Lei mi disse di sì. Per molto tempo non riuscii ad andare a nessun funerale.
- [Sul passaggio da cantante a produttrice discografica] Mi rendevo conto che non potevo più cantare e fare ciò che un cantante fa. Non potevo più esibirmi con quella facilità di prima perché comunque ero anche la moglie del proprietario di questa azienda che aveva tanti artisti importanti. Non volevo pensassero che fossi una privilegiata. Ho trovato una soluzione che appagasse me e non creasse turbe nella famiglia. La musica mi ha dato tanto [...], ma il mio essere non più locomotiva ma vagone mi mi dava una certa calma e tranquillità. Dovevo trovare la mia strada. Così passo alla discografia per lavorare sulle tendenze musicali trascurate dalle grandi ditte perché musica troppo sperimentale.
- I ragazzi hanno vite più complicate di quelle della mia generazione: escono 60mila proposte al giorno nel mondo, 6mila solo in Italia, affermarsi è davvero complicato. Le difficoltà che hanno oggi i ragazzi è che vivono sempre connessi in mezzo a grandi solitudini. La musica pop è bella perché racconta la vita che vivi e la musica ha quel linguaggio: la verità. Secondo me non serve avere una grande voce, ma serve unicità.
Intervista di Giulia Cavaliere, rollingstone.it, 14 dicembre 2021.
- [...] quando dalla campagna modenese mi sono traferita a Roma, e andavo [...] a esibirmi al Capriccio, la gente non ballava mentre quando c'era Pippo Caruso con la sua orchesta ballavano eccome, dunque io pensavo di aver sbagliato tutto, avevo pensato di fare ritorno a casa, avevo pure un pretendente fidanzato che mi aspettava, invece una volta arrivano dei ragazzi e mi dicono che sono brava. Sono stati gli altri a farmi capire che qualcosa c'era ed è stato grazie a chi me lo ha detto che io mi sono costruita un'identità; gli altri sono stati fondamentali per me, mi hanno fortificata, grazie a loro ho capito che avevo talento, ma certo non sapevo se avrei avuto successo. Il successo è arrivato dopo [...]
- [...] mi ricordo ancora la prima serata dopo il festival [di Sanremo], alle Rotonde di Garlasco, c'erano questi fiumi di automobili parcheggiate ai lati della strada, io ero straniata, non avevo realizzato, allora non c'erano i social, di certe cose era difficile rendersi conto. Appena io e la band siamo scesi dalle macchine c'era il proprietario del locale fuori che ci aspettava, e io mi dicevo: ma perché? Perché mi aspettano? Eravamo stati lì varie volte, ma nessuono ci aveva aspettati mai. Quella sera ho capito che anche io avevo la faccia di quelli che hanno successo. [«E com'è la faccia di quelli che hanno successo?»] Non lo sapevo mica prima, forse non lo so bene nemmeno oggi, ma io dicevo da ragazzina che quelli che hanno successo hanno una faccia particolare, all'epoca ero molto matura perché la vita coi suoi eventi mi aveva portata a diventare più adulta presto, ma c'era anche un'ingenuità, me ne accorgevo, un'ingenuità che ha avuto più tempo per crescere e che magari mi faceva dire cose come questa.
- [...] io amo i giovani da sempre, mi piace il coraggio e mi piace l'incoscienza, da queste qualità nascono le cose nuove, l'espressione dei sogni e la loro realizzazione, anche l'errore, sia chiaro, perché anche quello ci vuole. Io, da cantante prima e in discografia poi, ho fatto le mie battaglie, le mie sfide, ho avuto i miei momenti di coraggio e le mie débâcle, non sempre le cose sono andate come speravo andassero, però tutte le volte tutti i drammi sembravano problemi insormontabili e poi col tempo si sono ridimensionati e appunto trasformati in inciampi, riuscire a vedere questa trasformazione è una delle cose importanti della vita. Noi negli anni '60 sbagliavamo dicevamo "ok non è andata bene, facciamo un'altra cosa", questo dà grande impulso artistico perché avere il timore di sbagliare ti fa trattenere invece bisogna essere liberi e non offendersi se qualcuno ti fa presente che qualcosa non funziona e a quel punto provare un'altra via: quello è un atteggiamento virtuoso, secondo me, da adottare, trasformare la sensazione del dolore e di fallimento in una cosa più piccola, relativizzare.
Note
[modifica]- ↑ a b Dall'intervista di Andrea Pedrinelli, Caselli: «Io, artigiana della musica», avvenire.it, 23 agosto 2009.
- ↑ a b Da La tenacia vince sempre: abbiamo intervistato Caterina Caselli, vice.com, 6 dicembre 2016.
- ↑ Dall'intervista di Maria Luisa Agnese a Sette; citato in Caterina Caselli: «Il dolore non si delega, nessuno te lo può togliere», corriere.it, 14 giugno 2019.
Filmografia
[modifica]- Tutti giù per terra (1997)
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