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Clemente Corte

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Clemente Corte

Clemente Giuseppe Corte (1826 – 1895), patriota e politico italiano.

Le conquiste e la dominazione degli inglesi nelle Indie

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  • È negli Istituti di Manù che è per la prima volta fatta formale menzione dell'ordinamento per caste. Il popolo – secondo gli Istituti – è diviso in quattro caste: i Brahmini (sacerdotale); i Ksatryas (militare); i Vaysas (artigiana); i Sudras (servile). Il Brahmino, uscito dalla bocca stessa di Brahma, è il capo delle cose create; egli solo insegna i Veda; fa le elemosine; riceve doni; è esente da tasse; esercita l'autorità giudiziaria; interpreta le leggi; consiglia i Re. Lo Ksatrya, nato dal braccio di Brahma, difende il popolo; dà elemosine; offre sagrifici; legge, non può insegnare i Veda; sfugge ogni tentazione di piaceri sensuali. Il Vasyas, nato dalla coscia di Brahma, pasce gli armenti, traffica, dà danaro ad interesse, coltiva la terra. Il Sudra, uscito dal piede di Brahma, deve servire le altre caste, non deve imparare la legge, non deve accumulare ricchezze per non dispiacere ai Brahmini, e non ha modo di espiare le sue colpe. (Introduzione, pp. 28-29)
  • Forse ha contribuito a questa trasformazione [il Brahminismo che si muta in Induismo] la nuova religione, che sorta verso il sesto secolo prima dell'era nostra e predicata da Gotama, ebbe da lui il nome di Buddismo da Buddha (intelligenza). Questa nuova religione rivendicava l'unità di Dio (eterno, ma inerte ed in istato di perpetua quiescenza), ripudiava l'autorità dei Veda e la divisione per caste ed insegnava essere supremo scopo il Nirwana od annientamento di se stesso e l'assorbimento nella divinità. Colla teoria del Karma il Buddhismo fa il bene ed il male nella vita, non argomento di premio o di castigo in una vita futura, ma conseguenza di atti compiuti in una vita passata. Questo fatalismo mistico o materialismo ascetico cosi conforme alle tendenze stazionarie del genio asiatico invase rapidamente l'India e per un lungo periodo vi dominò. Avversato del pari dai Brahmini e dagli aborigeni politeisti od idolatri, il Buddhismo andò perdendo successivamente la sua prevalenza in India. L'acquistò invece assoluta in Cina ed in altre parti d'Asia dove ora conta circa cinquecento milioni di seguaci. (Introduzione, p. 33)
  • Colla caduta del Buddhismo s'andò manifestando sempre più la tendenza di accogliere gli Dei e le credenze degli aborigeni nella teologia dei Brahmini (i Puranas) ed ora la religione degli Indù, meno che per pochissimi Brahmini di purissimo lignaggio, sta alla religione monoteistica dei Veda in quegli stessi rapporti in cui sta alla pura razza Ariana l'attuale razza di Indù. Gli antichi Ariani avevano simbolizzato nel Gange il fecondatore divino delle terre, il distributore delle ricchezze. Taluni fra i moderni Indù hanno persino divinizzato il cholera ed il vajuolo! (p. 34)
  • Non posso chiudere questa sommaria esposizione delle religioni degli Indù senza notare due fatti. Il primo è l'astensione assoluta per parte dei Brahmini da ogni tentativo di proselitismo, astensione che è la conseguenza necessaria della immutabilità ed esclusivismo della casta. II secondo è la grande tolleranza, in tutti i tempi, nelle cose di religione. (Introduzione, pp. 34-35)
  • Guardando alla religione dei Veda, noi non dobbiamo dimenticare che in quei libri sta forse la prima asserzione solenne della Unità di Dio e del concetto altamente umano e civile di un Dio benefico, amico dell'uomo e suo consolatore. Né dobbiamo dimenticare che alla religione dei Brahmini noi dobbiamo insigni opere letterarie, maravigliosi lavori architettonici, sistemi completi di filosofia e scoperte scientifiche, che pei tempi in cui furono fatte, devono sembrare ancora miracolose. Dobbiamo pure ricordare che se leggi, credenze ed istituzioni che datano da tempi immemoriali hanno sopravissuto alle vicissitudini di trenta e più secoli, devono essere congeniali al popolo che le venera così sinceramente e le sostiene con tanta tenacità. (Introduzione, pp. 35-36)
  • [...] sir John Malcolm, uno degli uomini che in Asia hanno e col braccio, e colla mente, e col cuore maggiormente onorato il nome Inglese. (Introduzione, p. 37)
  • Valoroso soldato, generale mediocre, uomo di Stato intelligente ma capace di qualunque delitto che giovasse ai suoi fini, Aurengzeb riuniva in sé tutte le caratteristiche del tiranno e del fanatico. Egli, se non gli fosse stato superiore per le doti del soldato, avrebbe meritato di essere paragonato a Filippo II di Spagna. Come Filippo II, Aurengzeb, odioso alla posterità, fu popolare tra i suoi sudditi (maomettani). (Introduzione, p. 49)
  • Assai diverso dal suo grande precedessore Akber, Aurengzeb, mentre cercava di mettere la discordia tra i Principi maomettani del Dekkan ed i Rajà Indù che egli voleva del pari soggiogare, si alienava l'animo dei primi cercando di spogliarli del dominio e quello dei secondi tentando di imporre loro il Corano e lo Zezzia[1]. Aurengzeb mori nel 1707 sotto le mura di Ahmednuggur in età di novant'anni, dopo venti anni consecutivi di guerre ingloriose ed inutili. (Introduzione, p. 49)
  • [Aurengzeb] Colla di lui morte ben si può dire che sia incominciata l'epoca della decadenza e della dissoluzione dell'Impero dei Mogoli. Questa decadenza e questa dissoluzione incominciava il giorno stesso in cui colla distruzione di diversi Stati Maomettani indipendenti, pareva che l'Impero avesse raggiunto l'apogeo della sua potenza. Come Filippo II s'era alienato quei nobili delle Fiandre che i suoi antenati s'erano con ogni arte resi amici fedeli e devoti, Aurengzeb, colla campagna e le persecuzioni del 1677, s'era alienato nobili Rajputi che il grande Akber aveva con rara sagacia saputo rendere quasi solidali della politica dell'Impero dei Mogoli. Come Filippo II s'era mostrato crudele e barbaro verso i suoi, Aurengzeb aveva imprigionato suo padre e fatto morire i suoi fratelli. Come Filippo II era morto lasciando l'Impero di Carlo-Quinto nell'anarchia e nella dissoluzione, Aurengzeb lasciava nell'anarchia e nella dissoluzione l'Impero che Baber e Akber avevano saputo fondare. E come Filippo II nei suoi delitti e nei suoi errori era stato il legittimo rappresentante delle passioni e dei pregiudizi che animavano il popolo Spagnuolo, Aurengzeb aveva riassunto in sé tutte le passioni e tutti i pregiudizi delle razze Mussulmane. (Introduzione, pp. 49-50)
  • La Bourdonnaye, l'uomo che con scarsissimi mezzi aveva saputo creare la prosperità e la ricchezza delle isole di Borbone e di Francia, l'uomo che aveva reso temuta e rispettata nei mari asiatici la bandiera francese, l'espugnatore di Madras[2], tornato in Francia, era rinchiuso in carcere e vi era tenuto per tre anni. Non ne usciva che per morire di dolore per la ingratitudine del suo governo. (cap. I, p. 95)
  • Dupleix, uno degli uomini i più meravigliosi che la Francia abbia prodotto, il primo tra gli Europei che abbia concepito la possibilità di fondare in Asia un grande Impero Europeo, e che con rara intuizione ne abbia preveduto il modo ed i mezzi, sacrificato dalla Francia alla gelosia ed all'invidia de' suoi rivali, tornato a Parigi, si vedeva non solo contestata, ma negata la restituzione di 20 e più milioni da lui anticipati alla Compagnia [francese delle Indie orientali] ed allo Stato durante la sua amministrazione. Assediato da creditori verso di cui s'era personalmente impegnato, abbandonato dagli amici, negatagli ogni giustizia, l'uomo che per anni dominò nel Dekkan e nel Carnatico, moriva a Parigi nella più squallida miseria. (cap. I, p. 95)
  • [John Malcolm] Valoroso, abile nelle cose di guerra, versatissimo nelle arti diplomatiche degli Orientali, amministratore zelante, probo, illuminato; storico imparziale, profondo, forbitissimo nel dire. Le sue opere sulla storia politica dell'India; i suoi studi sull'India Centrale; le sue istorie della Persia lo hanno posto in prima linea fra gli storici e gli eruditi di questo secolo. Nessuna cosa però parmi tanto valga per la sua fama quanto la sua larghezza d'idee, i suoi sentimenti di tolleranza, di giustizia, di vera ed onesta libertà, il suo amore sincero pei popoli che egli era chiamato a governare. (cap. VI, nota p. 251)

Note

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  1. Jizya, imposta di capitazione, detta di "compensazione". Cfr. voce su Wikipedia.
  2. L'odierna Chennai.

Bibliografia

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Altri progetti

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