Emilio De Marchi
Emilio De Marchi (1851 – 1901), scrittore italiano.
Citazioni di Emilio De Marchi
[modifica]- La penna è nella vita moderna ciò che la lancia fu nei tempi eroici, protegge, uccide, conquista. Chi non si addestra per tempo a maneggiare quest'arme, male per lui! II suo posto sarà tra i vassalli o i servi.[1]
- O buon Gesù, che invecchi sulla croce, | scendi, ripiglia la tua veste bianca; | vedi l'umanità, che a te la stanca | mano distende e stanca alza la voce.[2]
Ambrogio Bazzero
[modifica]- [Ambrogio Bazzero] Anch'egli amò la sua donna, ma non come tutti gli altri. Amò troppo castamente, e sacrificò all'ideale più che non sia permesso alla debole natura umana. Fenomeno strano è questo che in un tempo, in cui dal languido romanticismo l'arte e con essa il sentire si avviavano verso il godimento pagano del realismo, strano fenomeno veramente è il vedere questo solitario rifugiarsi nel deserto, con un'immagine sola soavissima nel cuore, meno donna alla fine che luminosa e innocente visione, ch'egli adorò estatico come quel d'Assisi adorò la Vergine sua.
- Alle anime generose è poca soltanto una vita.
- Il Bazzero, d'ingegno facile, senza le noiose distrazioni del bisogno, con un'anima semplice, con tanto medioevo appiccato alle pareti del suo studio, poté meglio di molti altri ricreare quel mondo morto intorno a sé. Né lo ricreava per sola vaghezza d'antiquario, come si disse, ma perché gli pareva che in quel mondo astratto i suoi sottili ideali respirassero meglio che nell'aria grossa della realtà pregna di cose.
- [Ambrogio Bazzero] Il pensiero era libero e audace, ma la volontà paurosa. Di questo squilibrio di forze, fra l'occhio che vede e la mano che non osa, egli si querelava spesso con me durante il nostro viaggio di piacere a Firenze e a Venezia, e spesso ne piange anche in questo libro, che è la storia dell'anima sua.
- [Ambrogio Bazzero] Non so dire se più dell'arte egli amasse la libera natura.
Demetrio Pianelli
[modifica]Verso mezzodì Cesarino Pianelli, cassiere aggiunto, vide entrare nell'ufficio il cassiere Martini più pallido del solito, col viso stravolto, con un telegramma in mano.
Citazioni
[modifica]- [...] la pazienza dei popoli è la mangiatoia dei tiranni [...]. (parte seconda, cap. II, p. 140)
- La superbia è il cavallo dei ricchi: la povera gente è fin troppo onore quando va a piedi. (parte seconda, cap. VI, p. 190)
- Non c'è mestiere più bello che fare lo zio d'America. (parte terza, cap. III, p. 228)
- L'amore non si accende come un pagliaio e non c'è nulla che mandi più fumo di un fuoco mal fatto. (parte terza, cap. VI, p. 271)
- Il mondo ama più le apparenze che la sostanza, e non c'è nulla che più offenda la gente incapace di bene quanto la vista del bene che fanno gli altri.
Non potendo difendersi dal bene che ricevono, gli uomini cercano di non accorgersene e di dimenticarsene presto, fin che giunge opportuno il momento di vendicarsi con un piccolo trionfo d'ingratitudine. (parte quarta, cap. III, pp. 362-363)
Giacomo l'idealista
[modifica]Giacomo Lanzavecchia mi scriveva sui primi di settembre: "Ti ricordo la promessa che mi hai fatta di venir a passare qualche giorno alle Fornaci. Non ebur neque aureum Mea renidet in domo lacunar... Ma c'è sempre la cameretta libera dello zio prete colla bella vista sul Resegone. Seguace dei pitagorici, io non sono cacciatore, ma c'è qui presso il 'Roccolo' di don Andrea, dove sento che quest'anno i tordi si lasciano pigliare volontieri. Se stenterai a pigliar sonno la notte, ti darò a leggere le bozze di stampa d'un certo mio 'Saggio sull'Idealismo dell'avvenire', che ebbe, se non lo sai, l'onore d'un mezzo premio d'incoraggiamento dal R. Istituto Veneto. Ma non spaventarti, caro Edoardo! So fare anche una polenta che non teme contraddizioni... Se discendi sabato sera colla corsa delle sette alla stazione di Cernusco, sarò a prenderti colla grigia e col venerando Blitz, un vecchio cane in cui dev'essere trasmigrata l'anima penitente d'un antico scettico. I miei ti aspettano a cena".
Citazioni
[modifica]- Il bisogno che fa gli uomini cattivi, fa brutte le donne.
- Il denaro non è l'idea, ma compera i padroni dell'idea.
- Non c'è nulla che meglio si adatti a un'idea confusa quanto una parola che non si capisce.
- Non è mai utile complicare la verità, specialmente quando si ha bisogno di far quattrini.
- Vero e unico creatore di bene è l'affetto, l'affetto naturale che scorre quieto ma inesauribile, a portare i freschi ruscelli della vita; mentre la passione o è fiamma che dissecca o è un tormentaccio rovinoso, che assorda, trascina, devasta.
Il cappello del prete
[modifica]Il barone Carlo Coriolano di Santafusca non credeva in Dio e meno ancora credeva nel diavolo; e, per quanto buon napoletano, nemmeno nelle streghe e nella iettatura.
Citazioni
[modifica]- L'arte è cosa divina; ma non è male di tanto in tanto scrivere anche per i lettori. (Avvertenza premessa dall'autore, p. VIII)
- Per quanto su un nudo scoglio non resti che di morire di fame, pure si preferisce soffrire un giorno di più al morir subito. (parte I, cap. II, p. 17)
- La coscienza — aveva scritto il dottor Panterre — è un geroglifico scritto col gesso sopra una tavola nera. Si cancella così presto, come si fa. La coscienza è il lusso, l'eleganza dell'uomo felice. E Dio? Dio una capocchia di spillo puntato nel cuscino del cielo.... (parte I, cap. II, p. 21)
- La società è come le donne. Non si offende d'essere tradita se non quando lo sa. Se la lasci nella sua ignoranza, la donna ti vorrà bene come prima. (parte I, cap. II, p. 22)
- Nel rispetto dei diritti e delle leggi ogni debole trova la sua difesa e la sua protezione, e l'egoismo di ciascuno viene a creare questo grande egoismo sociale che si chiama la legge. (Barone Santafusca: parte I, cap. V, p. 66)
- La speranza è niente, ma dà un buon sapore alla roba. (parte I, cap. VI, p. 73)
- La fortuna è come l'onda del mare grosso che vi spinge a terra, ma non vi lascia mai sbarcare e qualche volta vi ammazza sullo scoglio. (Filippino: parte I, cap. VI, p. 75)
- La vita è un fiume che dopo un uragano ha le acque torbide; ma lasciate passare dell'acqua, e a poco a poco il fiume andrà schiarendosi. (Barone Santafusca: parte I, cap. VII, p. 83)
- Il paradiso e l'inferno sono in fondo a un sacchetto. Tu vi cacci la mano e tiri a sorte.... (Barone Santafusca: parte I, cap. VII, p. 84)
- Il mattino è la giovinezza del giorno, una giovinezza che torna ogni giorno, mentre l'altra, ahimè, una volta passata non ritorna più. (parte I, cap. VIII, p. 86)
- [...] fanciullezza, felice età, quando il giuoco ci rende tutti eguali. (parte I, cap. XIII, p. 135)
- Nella nausea del male s'invoca il bene come un porto di rifugio e di riposo. Forse c'è un paradiso terrestre oltre quel porto, ma chi lo nega non lo merita. (parte I, cap. XIV, p. 136)
- [...] [il] mondo dei bisogni semplici e degli affetti semplici della natura. Solo in questo terreno vergine cresce l'erba della felicità. (parte I, cap. XVI, p. 170)
- [...] questo sistema detto di democrazia che consiste nel raccogliere su un foglio stampato i pettegolezzi, che le pescivendole sparpagliano sui loro usci. Colla scusa di un «si dice», si stampano cose che nessuno dice, che nessuno vorrebbe dire, e nemmeno sentire a dire. (parte II, cap. III, p. 202)
- Regola generale, per un giornalista, un misfatto esiste sempre e specialmente quando si accorge che non esiste. Questo processo del prete ha troppo interessato i nostri buoni lettori perché si possa ora disgustarli con un non farsi luogo a procedere. Noi abbiamo bisogno di galvanizzare il nostro morto, di farlo vivere oggi per ammazzarlo dimani, seppellirlo dopo, esumarlo più tardi, e ciò almeno fino alle prossime elezioni politiche, cioè fino a nuovi assassini politici. E perché non faremo tutto ciò con un morto, se lo facciamo sempre coi vivi? (Cecere: parte II, cap. V, p. 225)
- Chi manda al diavolo un giornalista, lo manda a casa di suo nonno. Il divino poeta ha detto che il diavolo è il padre della menzogna, e noi siamo i figli della figlia.... capite. (Cecere: parte II, cap. V, p. 226)
- Il bene è necessario alla vita quasi come l'olio alla macchina. (parte II, cap. VII, p. 260)
I nostri figliuoli
[modifica]- Parini che in pieno teatro, contro chi urlava: «Morte agli aristocratici!» grida: «Viva la libertà! Morte a nessuno!» doveva avere un cuore meglio temperato del nostro, che ai primi bisbigli di abbasso e di viva, scantoniamo nel viottolo più buio.
- Un cittadino che non abbia un significato politico quel tanto che basti per la chiarezza del suo carattere, non solo è un valore nullo nella generale attività, ma un terreno insidioso sul quale non mi arrischierei di fabbricare la mia casa.
- Una boccata d'aria sui laghi e sulle colline fa bene al sangue, mentre il restare un mese di più nell'afa d'agosto e litigare sui bilanci delle Società cooperative, oltre alle inimicizie che si fanno, lima la salute.
Citazioni sul libro
[modifica]- In questo libro raccolgo il meglio... delle molte cose che ho avuto occasione di scrivere... intorno al grave argomento dell'Educazione dei figli, e non credo di fare opera inutile se penso al bisogno che in Italia si sente di libri, i quali, senza dir cose nuove, abbiano a diffondere la massime della morale educativa.
Le quattro stagioni
[modifica]- Nella Primavera -nota un vecchio almanacco- si semina la speranza, crescono i fiori del lieto vivere, germoglia l'amore. Nell'Estate si lavora la vita, cresce il coraggio e la fiducia in sè stessi, fiorisce l'ambizione. Nell'Autunno si raccoglie ciò che si è seminato e si sparge la tolleranza sulle umane cose. Nell'Inverno, mentre abbrucia le ultime illusioni, l'uomo riposa nella rassegnazione e nella pietà. (p. 11)
- [Su Giacomo Marchini] Uno dei più amabili vecchi ch'io abbia conosciuto nella mia vita. (p. 83)
Redivivo
[modifica]Ventiquattro anni! gran bel numero questo ventiquattro per un giovanotto che veste la prima volta una divisa elegante di panno nero con ricamini d'oro e che passeggia nella sua qualità di medico di bordo in mezzo a un centinaio d'uomini robusti, sopra una fregata dai fianchi d'acciaio, dai polmoni di ferro!
Citazioni
[modifica]- Noi non decoriamo noi stessi per il gusto fatuo di rimirarci in uno specchio. Anche la gloria piace, se sappiamo che fa piacere a qualcuno: è nell'opinione altrui che mette radici l'ambizione degli uomini. (cap. XVIII)
- La terra fa l'uomo simile a sé; e come soffre la pianta che esce dalla sua coltura e dal suo clima, così soffre l'uomo costretto a vivere d'aria non sua nell'associazione spirituale di uomini diversi, in un clima morale non adatto al suo temperamento.
Questo benedetto sentimento verso la patria che ci produce, non è in fondo che un bisogno d'adattamento fisico e morale. E poiché l'uomo trova il piacer suo nel minor sforzo ch'egli mette al vivere, ecco perché la patria, cioè la terra a cui ci adattiamo, ci piace più d'ogni altra. L'amor di patria è dunque sacro, perché è un piacere della vita... (cap. XIX)
Arabella
[modifica]Milano, la grande città del fracasso, dopo aver mandato a casa l'ultimo ubbriaco, si sprofondò nel silenzio grave delle piccole ore di notte.
A San Lorenzo sonarono due tocchi languidi, rotti dalla neve, che cadeva a fiocchi larghi.
Il Berretta, buttato l'ultimo pezzo di legno nel caminetto, fregandosi in fretta i ginocchi, brontolò in fondo alla gola:
"Basta, finirà anche questa".
Nella stanza vicina, dove malamente ardeva una candeluccia benedetta, stava nel suo letto distesa la povera signora Ratta, morta, vestita di una logora gonnella di cotone color terra secca, con in capo la più sgangherata delle sue cuffie famose e sulle gambe sottili un paio di calze di filugello bigio.
Col fuoco non si scherza
[modifica]Cinque minuti prima dell'arrivo del battello, Beniamino Cresti era già col suo inseparabile ombrello chiuso, che gli serviva di bastone, allo sbarco di Tremezzo in attesa di Massimo Bagliani. Per la circostanza il solitario misantropo del Pioppino aveva indossato un vestito d'un grigio chiaro tutto eguale, che insieme al cappello chiaro di paglia faceva comparire ancor più scura la carnagione del volto e delle mani d'un color nero di terra lavorata.
Le due Marianne – I coniugi Spazzoletti
[modifica]Le due Marianne
[modifica]Luigi: entrando seguito dalla Sig.ra Spazzoletti: Siamo a tempo, signor capo?
Voce del Capo: Per dove parte il Signore?
Luigi: Per Milano?
Voce: Eh gh'è tempo venticinque minuti.
Luigi: E dopo questo treno non ce n'è altri?
Voce: Per Milano el xè l'ultemo...
Signora Spazzoletti: Che bisogno c'era di farmi correre a questo modo?
Luigi: Che bisogno! Se era tardi non si arrivava a tempo, eh...
I coniugi Spazzoletti
[modifica]Varese, Gallarate, Parabiago, Musocco, Milano partenza.
La macchina mugge come un mostro in collera: i guardiani sbattono, chiudono gli sportelli, il capotreno dà un fischio.
- Presto, signori, per di qua.
- Secondi posti, terzi posti.
- Qui, su, presto.
- Margherita!
- Eccomi.
- Dlen, dlen, dlen.
- Partenza.
- Fuf, fuf, fuf – il treno parte.
Il signor dottorino
[modifica]La bella strada che costeggia il lato destro del lago di Como, poche braccia al di sopra delle acque, segue le sinuosità della scogliera, ora abbassandosi con dolce pendio fino al letto d'un torrente, che scavalca, ora elevandosi a raggiungere l'altezza d'un dosso ed ora nascondendosi fra le case di una borgata, che discendono fino al ghiaieto. Le ville e i casini con nomi allegri o mesti, secondo ricordano un voto compiuto od una sventura, sfilano quasi in catena non interrotta, dipinti, sospesi, nascosti, rannicchiati, a solatío, su per le radici dei monti, che ripidi e coperti di poco verde s'inerpicano fino all'altezza delle nubi.
Milanin Milanon: prose cadenzate milanesi
[modifica]Te scrivi rabbiôs, Carlin, dal mè stanzin depôs al campanin de San Vittor di legnamee. Chì dedree l'è trii mes che fann tonina di cà de Milan vècc: e picchen, sbatten giò camin, soree, finester, tôrr e tècc, grondaj, fasend on catanaj in mezz a on polvereri ch'el par propi sul seri la fin del mond.
Nuove storie d'ogni colore
[modifica]All'ombrellino rosso
[modifica]- Com'è andata? – ecco, ve la conto in poche parole. Tant'è; la cosa è fatta e non ho proprio nessun motivo di pentirmene. Col povero Battista Batacchi eravamo amici vecchi, cresciuti, si può dire, insieme, quantunque io fossi innanzi di lui qualche anno. S'era giocato colle stesse trappole ai tempi della buona zia di Valmadrera, che gli voleva un bene dell'anima come a un suo figliuolo. A quei tempi i topi si lasciavano ancora pigliare....
Medici e spadaccini
[modifica]Il Calchi venne a casa mia prima delle quattro colla carrozza e mi trovò già quasi vestito e pronto. La mattina era bellissima, fatta più per una scampagnata che non per un duello. Non abituati a levarci col sole, noi poveri redattori d'un giornale del mattino, che andiamo a letto quando canta il gallo, ci sentivamo ancora la testa piena di sonno e di nebbia; ma un bicchierino d'acquavite svizzera, che all'amico parve una cosa spiritata più che spiritosa (il Calchi è famoso per questi giochetti di parole) finì col risvegliarci.
Zoccoli e stivaletti
[modifica]Accadde quel che doveva accadere. Per quanto don Cesare sferzasse i cavalli, il temporale, che s'era andato raccogliendo fin dalla mattina, scoppiò e l'acqua cominciò e cadere una mezz'ora prima d'arrivare alla Castagnola. E bisognò pigliarla.
L'anatra selvatica
[modifica]Il retrobottega della drogheria, messo come un salottino, dava con una finestra su un vicolo contiguo agli uffici della Pretura, e il vicolo era così stretto, che il nobile de' Barigini poteva dalla finestra della cancelleria contare i gomitoli nella cesta di lavoro della simpatica signora Cecilia, moglie al signor Baldassare Maliardi, consigliere comunale e sindaco della banca popolare di Terzane.
Certe economie
[modifica]La mattina del 17 Giugno 1885 il camparo della grande tenuta d'Arbanello, uno dei più grossi fondi che l'ospedale d'una nostra città possegga nel basso milanese, andando per la solita ispezione, rilevò una piccola rottura in uno dei molti canali di scarico che danno da bere ai prati. Il temporale della notte aveva schiantata una pianta, scassinando con essa la testa d'un arginello, rovesciando tre o quattro mattoni che, caduti nell'alveo, turbavano per un quarto d'oncia la bocca di scarico del canale; un'inezia, ma che rubava qualche secchio d'acqua al fondo dell'Opera pia a tutto beneficio del vicino fondo del marchese Riboni.
Vecchie cadenze e nuove
[modifica]Benvenuto, vicin, di nuovo in questa
Erma dimora, che al lume si accende.
Che fu gran tempo spento al pianto mio;
Or che la notte la finestra splende,
Ove tu preghi su tuoi canti pio,
La veglia del giardin non è più mesta.
Vecchie storie
[modifica]Due sposi in viaggio
[modifica]La giornata spuntò serena e limpida per gli sposi, che dopo aver riposato una notte a Como, continuarono il loro viaggio verso la Tremezzina. L'acquazzone del giorno prima aveva posto nell'aria i brividi precursori del non lontano ottobre e le cime dei monti, e specialmente delle Alpi, brizzolate di neve, splendevano sotto un raggio alquanto diluito e raffreddato nell'atmosfera trasparente.
Un regalo alla sposa
[modifica]Gaspare Carpigna aveva fatto i suoi molti denari in ogni maniera, coll'industria, coll'usura, coll'inganno. Ma una volta fatti non vi era uomo più galantuomo di lui e ben disposto a godere onestamente dei beni di questa vita. Invecchiando si era dato anche alla pietà, e faceva recitare molte messe da morto, invitando il prete a far colazione nella sua bella casa di Macagno, dove aveva giurato di passare i suoi ultimi giorni in santa pace.
Nei boschi
[modifica]Chi non conosce i boschi dell'alto Milanese, detti boschi di Saronno, di Mombello, di Limbiate, può immaginare una stesa di selve, sopra un terreno disuguale, una volta incolto e oggi piantato a pini silvestri e a qualche rovere, che è quanto la terra, oltre le eriche e il bruco, può sopportare. Queste piantagioni non sono molto antiche e appunto per ciò, non sono molto note.
Parlatene alla zia (dialogo)
[modifica]è un giovinetto maturo, che ha già fatto le sue campagne. Gran buon diavolo nel fondo. Siamo in campagna nella villa d'Incirano. Nicolò in cappello di paglia e in abito grigio chiaro, entra dal giardino e dice a qualcuno che non si vede: | |
Grazie, aspetterò. | |
Dà un'occhiata intorno, si passa una mano nei capelli e con un breve sospiro d'affanno dice: | |
Eccomi qua. Il cuore mi batte come se volesse scoppiare. Ho paura di aver già fatto un passo falso. Basta! sono ancora in tempo a pentirmi e se sarà il caso, infilerò l'uscio. |
Ai tempi dei tedeschi
[modifica]- Tutte le mattine la salutavo con un bel trillo di flauto (allora il flauto era di moda): e tutte le sere, prima di levarmi le scarpe, le mandavo un altro saluto con una volatina di note, che volevan dire: – Bona note, siora Nina!
Note
[modifica]- ↑ Da L'età preziosa, Fratelli Treves, Milano, 1918, p. 67.
- ↑ Da Ad un vecchio Crocifisso, in I Capolavori, U. Mursia, 1979, p. 871.
Bibliografia
[modifica]- Emilio De Marchi, Ambrogio Bazzero, introduzione ad Ambrogio Bazzero, Storia di un'anima, Fratelli Treves Editori, Milano, 1885.
- Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli, Fratelli Treves Editori, Milano, 1915.
- Emilio De Marchi, Le quattro stagioni, Lampi di stampa [1892], 2004. ISBN 9788848803014.
- Emilio De Marchi, Col fuoco non si scherza, prefazione di Gaetano Negri, Carlo Aliprandi Editore, 1901.
- Emilio De Marchi, Il cappello del prete, Fratelli Treves, Milano, 1918.
- Emilio De Marchi, Il signor dottorino, in "Romanzi, racconti e novelle di Emilio De Marchi", Vol. II, Mursia editore, 1963.
- Emilio De Marchi, Le due Marianne - I coniugi Spazzoletti, testo teatrale a cura di Maria Chiara Grignani, prefazione di Maria Corti, Editore Lombardi, 1991. ISBN 8877990104
- Emilio De Marchi, Milanin Milanon: prose cadenzate milanesi, Fratelli Treves, 1926.
- Emilio De Marchi, Nuove storie d'ogni colore, Libr. edit. Galli di C. Chiesa e F. Guindani, 1895.
- Emilio De Marchi, Redivivo, in Id., Tutte le opere narrative e le prose cadenzate, a cura di Giovanni Titta Rosa e Emilio Guicciardi, Mursia, Milano, 1963.
- Emilio De Marchi, Vecchie cadenze e nuove, Società Lito-Tipografica Lombarda Bollini e Colombo, 1904.
- Emilio De Marchi, Vecchie storie, Fratelli Treves, 1926.
Altri progetti
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Opere
[modifica]- Il cappello del prete (1888)
- Demetrio Pianelli (1890)