Enkidu
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Enkidu, personaggio della mitologia sumera.
Citazioni di Enkidu
[modifica]- Amico mio, la grande dea mi ha maledetto e dovrò morire nella vergogna. Non morirò come un uomo caduto in battaglia; io temevo di cadere in battaglia: invece, felice è l'uomo che cade in battaglia, mentre io dovrò morire nella vergogna.
- [Su Ḫumbaba] I suoi denti sono zanne di drago, il suo volto è quello di un leone, la sua carica è come l'impeto di una piena, con lo sguardo abbatte gli alberi della foresta assieme alle canne della palude.
- Il più forte fra gli uomini cadrà in preda al fato se non ha giudizio. Namtar, il fato maligno che non conosce distinzioni fra gli uomini, lo divorerà. Se l'uccello intrappolato ritornerà al nido, se l'uomo prigioniero farà ritorno tra le braccia di sua madre, allora tu, amico mio, non farai mai ritorno alla città dove attende la madre che ti ha fatto nascere. Egli ti sbarrerà la via della montagna e renderà i sentieri inaccessibili.
- [Su Ḫumbaba] Quando ruggisce è come lo scroscio della tempesta, il suo alito è come il fuoco, le sue fauci sono la morte stessa. Fa la guardia ai cedri così bene che quando una giovenca selvatica si muove nella foresta lui la ode anche a sessanta leghe di distanza. Chi è l'uomo che di sua volontà camminerebbe per quel paese e ne esplorerebbe i recessi?
- Sono io il più forte, sono venuto a mutare l'ordine antico, sono colui che nacque sulle colline, sono colui che è più forte di tutti.
Citazioni su Enkidu
[modifica]- Alla fine giungerà alla grande e civile città di Uruk e non si darà più pensiero per l'antica vita in libertà fin quando non sarà sul letto di morte: allora, in un impeto di rammarico, maledirà tutti i suoi educatori. È una «Caduta» a rovescio, una felix culpa priva di sviluppi tragici; è anche un'allegoria degli stadi attraverso cui l'umanità arriva alla civiltà: dallo stato selvaggio a quello pastorale, per concludere infine con la vita urbana. (Nancy Sandars)
- C'era in lui la virtù del dio della guerra, di Ninurta stesso. Aspro era il suo corpo, lunghi i suoi capelli come quelli di una donna, ondeggiavano come i capelli di Nisaba, dea del grano. Il suo corpo era coperto di pelo arruffato come quello di Sumuqan, dio del bestiame. Era ignaro dell'umanità, nulla sapeva della terra coltivata. (Epopea di Gilgamesh)
- O Enkidu, fratello mio, | tu fosti la scura al mio fianco, | la forza della mia mano, la spada nella mia cintura, | lo scudo davanti a me, | una veste gloriosa, il mio più leggiadro ornamento; | un Fato malvagio mi ha derubato. | L'onagro e la gazzella | che padre e madre ti furono, | tutte le creature della lunga coda che ti nutrirono | ti piangono, | tutti gli esseri selvatici della piana e dei pascoli; | i sentieri che amavi nella foresta dei cedri | notte e giorno mormorano. (Gilgameš, Epopea di Gilgamesh)
- Quest'essere primitivo ignora tutto della civiltà e vive nudo tra le bestie selvagge delle pianure. È un animale piuttosto che un uomo. Tuttavia è lui il destinato a domare il carattere arrogante di Gilgamesh e a disciplinarne la mente. (Samuel Noah Kramer)
- Si è ritenuto che i due primi elementi del nome formino quello del dio sumero Enki, del dio dell'acqua e della sapienza, l'Ea dei Babilonesi e Assiri. Nel terzo elemento, du, si è visto l'ideogramma sumero che vale creare, produrre, e si è quindi riprodotto tutto il nome in babilonese con Ea-bānī, <Ea ha creato> o <crea> o <è creatore>. (Giuseppe Furlani)