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Fortunato Depero

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Fortunato Depero (1892 – 1960), pittore, scrittore, scenografo, scultore e designer italiano.

Fortunato Depero, 1922.
Fortunato Depero, primo a sinistra della fila davanti, e Filippo Tommaso Marinetti esibiscono i panciotti disegnati da Depero. Accanto a Marinetti, Francesco Cangiullo. Torino, Congresso futurista, novembre 1924.
  • Quando vivrò di quello che ho pensato ieri, comincerò ad avere paura di chi mi copia.[1]
Fortunato Depero, Autoritratto su un albero, 1915.

Citazioni di Fortunato Depero

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  • L'arte della pubblicità è un'arte decisamente colorata, obbligata alla sintesi. Arte fascinatrice che arditamente si piazzò sui muri, sulle facciate dei palazzi, nelle vetrine, nei treni, sui pavimenti delle strade, dappertutto. Si tentò perfino di proiettarla sulle nubi. È insomma un'arte viva che penetra e si diffonde ovunque, moltiplicata all'infinito e che non rimane sepolta nei musei. Arte libera da ogni vincolo accademico. Arte gioconda, spavalda, esilarante, ottimistica. Arte di difficile sintesi, dove l'artista è alle prese con la creazione ad ogni costo. Il cartello è l'immagine simbolica di un prodotto, è la geniale trovata plastica e pittorica necessaria per esaltarlo e interessarlo. Esaltando con ingegno i nostri prodotti, le nostre imprese (cioè i fattori e l'essenza della nostra vita), non facciamo che dell'arte sinceramente moderna. L'arte pubblicitaria poi offre temi e campo di ispirazione inesplorati. Essa è fatalmente necessaria, attuale e rapidamente pagata. Sono persuaso che un solo industriale dà maggiore incremento all'arte nuova e alla sua evoluzione, più di cento critici o di cento collezionisti passatisti.[2]
  • un solo industriale è più utile all'arte moderna ed alla nazione che 100 critici, che 1000 inutili passatisti – i futuristi furono i primi pittori, poeti ed architetti che esaltarono con la loro arte l'opera moderna – dipinsero automobili in velocità – dipinsero lampade scoppianti di luce – dipinsero locomotive sbuffanti e ciclisti veloci – i futuristi stilizzarono le loro composizioni con uno stile violentemente colorato; con una plastica riassuntiva e geometrica moltiplicarono e scomposero i ritmi degli oggetti e dei paesaggi per accrescere la dinamicità e per rendere efficace la loro idea veloce, il loro stato d'animo e la loro concezione – a contatto continuo con il paesaggio d'acciaio, di luce e di cemento dei nostri tempi –[3]
  • Le dolomiti dei grattacieli tacciono la loro imponente altezza. I veli bigi e violenti di alta fuliggine sfumano gradualmente i piani e le rupi squadrate che salgono. Lassù guizzano gli aculei d'argento e irradiano le cupole dorate mentre garriscono le bandiere punteggiate di stelle e strapiombano gli spigoli dei verticali macigni abitati, degli alveari a picco. I sentieri per salire le babeliche montagne sono ardui e spinosi. I viottoli che portano agli uffici sono scoscesi: visi duri, porte ermetiche, abitanti inospitali, risposte pungenti, conversazioni amare e fatiche inconcludenti. Il paesaggio interno è monotono: cartame a mucchi, ticchettio permanente della gragnuola dattilografica. Fruscìo e sventate degli ascensori che aspirano e immergono come potenti stantuffi la nera marea umana. È una marea di milioni di insetti che brulicano, mordono, penetrano, vanno e vengono a processioni, si arrampicano, sostano e indietreggiano. Fuggono di casa in casa, cadono e si rialzano, combattono, assalgono affamati ed assetati di luce, di pane e di un pezzo d'oro che splende lassù fra le vette dell'ingannevole paradiso terrestre. L'ascesa dà la vertigine. Una misteriosa febbre spinge l'uomo-animale alla conquista di quelle fragili guglie. Sale sfiorando gli abissi, cammina per svolte a precipizio, prosegue fra lo sgretolarsi delle valanghe e il boato dei crolli. [...] Il povero e misero mulo, quasi accecato, passa attraverso le cortine di fumo, zoppica, fra il ringhiare delle macchine, fra le tempeste e gli uragani delle genti. E sale ancora duramente per una manciata di confortevole altitudine, per un fascio di autentico sole, per un lembo di cielo, per un guscio di pace e un meritato pugno di stelle. (Da Il mulo metropolitano, citato in Fortunato Depero nelle opere e nella vita, Edizione a cura della legione Trentina, Trento, 1940, pp. 292-293)
  • Per liberarmi da tutto quello che fu tecnica ed espressione impressionista, vaga, sensuale, sparpagliata, m'imposi uno stile piatto, semplice, geometrico, meccanico. Linea precisa, forma chiara e colore complementare, piatto o a curvature sfumate, sferiche e cilindriche. Ritorno ad una severa prospettiva di corpo inteso e non veduto, considerazione profonda fino a scrupoloso e freddo calcolo dei valori intuiti. Rapporti ritmici e organici dei minimi dettagli con le maggiori masse, fra fiorellini invisibili di prato e gigantesche flore tropicali; massicce pesanti geometrie di palazzi, torri, castelli; larghe vie di duro asfalto e nuvole grasse e tonde; fumi, profumi, fili e nastri di trasparenze e infiniti, tipici ghirigori di nuvole al vento. I più semplici profili di ordigni casalinghi e utensili; animali e fiori, tutto in sintetici rapporti lineari-architettonici, fino alle più libere, astratte combinazioni grafiche. Non solo gamma coloristica, rapporti plastici, ma una libertà di linea che fonde e regge i più disparati elementi strutturali in un unico assieme.[4]
  • Rosetta intenta al telaio a imbastire e cucire i primi arazzi..., [e io che] saltello di gioia, sprizzo di allegria, persuaso di avere trovato la pratica soluzione di un insospettato avvenire redditizio. Mi rivolgo verso l'ampio azzurro mediterraneo e tirando un grande sospiro... prometto profeticamente di saper trasformare in avvenire le pezzuole degli scampoli policromi in seducenti banconote da cento e da mille.[5]
  • [Su Remo Wolf] Si chiama Remo Wolf. Incisore in legno, astuto chiaroscurista, tormentato da un suo mondo interiore letterario e filosofico. È legato al libro per la sua specifica tecnica del bulino. I suoi soggetti sono disparati e contrastanti, tendenti ad una sconfinata e libera fantasia. [...] Ha qualche passaggio più borghese, più addomesticato, magari, sicuramente più vendibile. Ma dove l'inquietudine si rivela maggiormente apprezzabile e la sua maestria inconfutabile è nelle luci autonome. La sua abilità specifica risulta nei bagliori improvvisi, nelle ombre illogiche ed a sorpresa, nelle assurde prospettive, antivere, ma taglientemente evidenti, dimostrative che rilevano la figura e la scena; sia essa mistica, letteraria, biblica, satirica o fiabesca. [...] Ha un pizzo che sembra un bulino. Ha un naso che sembra un raschiatoio. Ha l'occhio basso indagatore penetrante, quasi poliziesco. Fuma impenitentemente la pipa – quindi vede la realtà attraverso le pieghe del suo sogno fumante. Ha uno studio che sembra un baule volante. Sotto il tetto zeppo di libri, di carte, di Album, di piccoli quadri strani, di molti disegni. Ad un filo di traverso pende una verde lanterna. Sembra l'astro magico d'un alchimista. In un angolo: corde – picozze e chiodi di rocciatore. Quindi da bravo trentino non arrampica solo con la fantasia inquieta sulle pareti di fumo involuto e seducente, ma con coraggio fisico e sano ordinamento, anche sulle pareti alte del nostro imponente e formidabile gruppo Brenta – meraviglia del Mondo.[6]

Citazioni su Fortunato Depero

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Fortunato Depero, Il motociclista, 1918.
Fortunato Depero, Marionette dei Balli Plastici, 1918.
  • A proposito di Depero il discorso si arricchisce poi di altre valenze: e sono quelle legate all'utilizzo che egli fa, nella sua Casa d'arte roveretana, di tematiche, iconografie, cadenze e modi formali provenienti dal folclore trentino. L'uso di repertori locali, in quanto singolarità etniche, era stato teorizzato già da Modernismo, cioè dalla serie di atteggiamenti di tipo Art Nouveau; si trattava della volontà di mantenere caratterizzata e differenziata una produzione che l'aspetto internazionale dell'ideologia ad essa sottesa rischiava di rendere uniforme, e di salvare in questo modo scuole, laboratori, tradizioni locali contro un'ipotesi di standardizzazione totale – che avrebbe oltre tutto spazzato via dal mercato appunto i prodotti delle piccole imprese. (Rossana Bossaglia)
  • All'esposizione di Parigi l'estrema punta dell'avanguardia artistica era rappresentata dal padiglione dei Soviet e dalla sezione futurista italiana. Vi figuravano le concezioni d'insieme architettoniche e i progetti di decorazione e di scenari per teatro di Enrico Prampolini e Giacomo Balla, e i pannelli di Fortunato Depero, dai vivacissimi colori, dalle figure ricamate e sovrapposto in panno sul panno, di perfetta esecuzione e di finissimo gusto, con una composizione stilizzata in maniera schematica e talvolta caricaturale. Anche alcuni tra i suoi fantocci in legno dipinto attestano con i volumi sommari e la ricerca di ritmi curiosi ed efficaci, uno sforzo d'invenzione spesso felice. (Margherita Sarfatti)
  • Attiva con alterne vicende per oltre vent'anni la Casa d'Arte Futurista Depero inizia la sua attività nell'autunno del 1919 a Rovereto, in un piccolo locale di via Vicenza. La notizia relativa all'apertura era stata data alla stampa dallo stesso Depero. Il 5 giugno infatti, nel n. 12 di «Cronache d'Attualità» si legge: "Il pittore Depero sta per fondare un grande stabilimento per mobili e oggetti d'arte decorativa nel Trentino". Il progetto della Casa d'Arte ha però origini più lontane e può essere agevolmente fatto risalire ancora all'estate del 1917. Fu proprio in quell'anno che Depero, nel clima incantato di Capri, vicino all'amico Gilbert Clavel, iniziò a sperimentare i primi quadri di stoffa "cuciti". (Gabriella Belli)
  • Certo è che pure in Balla e in Depero le sagome si fanno esatte, plastiche, volumetriche, conciliate col piacere della decorazione. De resto Depero non è alieno dallo sfruttare anche lui il tema della maschera, seppure sotto la forma, più consona al credo futurista, del robot: e dunque si tratta di una maschera, di un burattino confacente al clima dell'industrialismo; così come il sostanziale realismo magico-incantato di Dottori cerca la legittimazione nell'Aeropittura. Ma sono alibi, giusto per non tradire la fede nel progresso, quando in realtà essa vacilla ed è scossa dal dubbio. (Renato Barilli)
  • ha una consumata perizia tecnica che gli permette di ricavare effetti coloristici grati agli occhi dei profani e ce lo mostra pittore a prima vista. I Pappagalli e la Tarantella (solo per citare due opere) in panni colorati (pazientemente cuciti dalle mani gentili della moglie dell'artista[7]) rappresenterebbero il più delizioso e raro ornamento di un chiaro e squisito salone moderno. (Filippo de Pisis)
  • L'attenzione di Depero] per una rivisitazione globale del fare artistico-artigianale, che interessava soprattutto il settore dei manufatti realizzati nella Casa d'arte roveretana si colora proprio in quegli anni di un portato ideologico che, di fatto, trasferisce il contenuto del quadro e, più in generale delle sue opere, dal contesto del mito a quello del folclore. [...] Dunque, non è un caso che Depero fosse nato austriaco e che la sua formazione scolastica fosse orientata in senso tecnico-artigianale dall'insegnamento presso la Scuola Elisabettiana di Rovereto, scuola sorta nel panorama di un progetto didattico delle scienze e delle arti applicate, diffuso in tutto l'Impero. (Rossana Bossaglia)
  • La configurazione dell'esperienza di Depero "astrattista futurista", secondo l'organigramma proposto nell'invito alla mostra romana del 1916 si realizza dunque nei "complessi plastici motorumoristici", nel "dramma pitto-plastico" costituito dalla pittura, nell'enunciazione dell'"architettura dinamica" della "città aerea", e nelle "parole in libertà". Non vi ha ancora voce in capitolo autonoma l'impegno progettuale per la scena, tuttavia presente con i bozzetti di costumi plastici per Minismagia. Completa comunque il ventaglio di soluzioni in linguaggio analogico astratto. (Enrico Crispolti)
  • Sappiamo del resto dallo stesso Depero che nell'autunno del 1919, rientrato definitivamente a Rovereto, aveva ottenuto da Umberto Notari l'incarico di eseguire due grandi arazzi in panno colorato per decorare le pareti della sala da fumo della sua villa a Monza. Venivano così realizzati Cavalcata fantastica e Il corteo della Gran Bambola, due arazzi di grandissime dimensioni cuciti in pochi mesi, straordinario atto di nascita della Casa d'Arte Futurista Depero. Nell'agosto del 1920, grazie anche alle prospettive aperte da queste prime importanti commissioni, la Casa d'Arte viene trasferita nei grandi saloni di casa Keppel in via 2 Novembre a Rovereto e in questo nuovo spazio si assiste allo sviluppo e all'incremento massimo del suo programma di produzione. In questi ampi locali Depero si prepara per l'esposizione del 1921, ma anche per quelle ben più importanti del 1923 a Monza e del 1925 a Parigi. Da qui escono anche i progetti esecutivi del primo allestimento d'interni a lui affidato, quello del Cabaret del Diavolo a Roma (1921-1922). (Gabriella Belli)

Note

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  1. Da Corriere d'America, 1929; Citato in Gabriella Belli, La Casa del Mago. Le Arti applicate nell'opera di Fortunato Depero 1920-1942, Catalogo Mostra, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Edizioni Charta, Milano-Firenze, 1992, p. 13. ISBN 88-86158-09-2
  2. Da Fortunato Depero nelle Opere e nella Vita, Trento, 1940, pp. 221-223; Citato in Visitate il Trentino, a cura di Roberto Festi, Qm Servizi Editoriali, Trento, 1988, p. 203.
  3. Da Manifesto dell'arte pubblicitaria futurista; Citato in Depero, Mostra a cura di Gabriella Belli, Catalogo a cura di Maurizio Fagiolo dell'Arco, Museo Provinciale d'Arte Sezione Contemporanea, Trento, Electa, Milano, 1988, p. 171.
  4. Da Mondo e teatro plastico, In Penombra, aprile-maggio 1919, pp. 20-22; Citato in Depero, Mostra a cura di Gabriella Belli, Catalogo a cura di Maurizio Fagiolo dell'Arco, Museo Provinciale d'Arte Sezione Contemporanea, Trento, Electa, Milano, 1988, p. 104.
  5. Da Fortunato Depero nelle Opere e nella Vita, Trento, 1940, p. 148; Citato in Gabriella Belli, La Casa del Mago Le Arti applicate nell'opera di Fortunato Depero 1920-1942, Catalogo Mostra, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Edizioni Charta, Milano-Firenze, 1992, p. 24. ISBN 88-86158-09-2
  6. Da Discorso per l'inaugurazione della personale di Gino Pancheri, Guido Polo e Remo Wolf alla Galleria A.I.V, Trento, 18 dicembre 1936; Citato in «La mia arte io la chiamo mestiere», Remo Wolf uomo e artista del '900, a cura di Domenica Primerano e Riccarda Turrina, Comune di Trento e Museo Diocesano Tridentino, Tipografia Editrice Temi, 2010, p. 332. ISBN 978-88-89706-82-4
  7. Rosetta Amadori Depero (Rovereto 1893-1976). Le nozze furono celebrate il 23 giugno 1919.

Voci correlate

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