Francesco Liverani
Francesco Liverani (1823 – 1894), presbitero e storico italiano.
Il Papato, l'Impero e il Regno d'Italia
[modifica]- Io non sono né liberale, né nemico del papato, come le mie opere rendono testimonianza: io non sono né ingannato né illuso, né ho bieche e torte idee contro la Santa Sede: prima di scrivere ho studiato profondamente, e per formare un giudizio adeguato ho visitato personalmente quasi tutto il territorio, e scrivo con piena coscienza: il governo del cardinale Antonelli[1] è cattivo, non già per manco di leggi, d'instituzioni, di codici e di esempli di antico valore, ma per baratteria moderna. Si perdoni ad un prelato che scrive «non calumniandi, sed medendi animo» questa parola, dopoché lord Russell[2] l'ha bandito per pessimo e peggiore del turco[3]. (cap. IV, p. 47)
- Disse bene quel vecchio economista, che fu Bernardo Davanzati: la moneta essere per lo Stato, come il sangue e il calorico nel corpo umano; pel quale torna in ragione di morte il possederne, così al di là, come al di qua del bisogno. Io non farò qui rivivere studi da gran tempo abbandonati[4] per concludere che la banca romana è stata la ruina di Roma, senza che io intenda per ciò di condannare ogni istituzione di tal natura, ma solo gli eccessi e l'abuso che ne fu fatto, le mani in cui si avvenne, l'improvvido e surrettizio e mal carpito statuto, le torte e bieche mire e i raggiri di chi chiamò o fu chiamato a compilarlo. (cap. V, pp. 63-64)
- Santa Maria Maggiore una delle tre basiliche patriarcali e possiede un clero di forse ottanta tra cappellani, beneficiati e canonici, e questi ultimi sono per lo più prelati. [...]. Se alcuno avrà vaghezza di conoscere e avere un saggio della condizione morale di questo clero, si trattenga alquanto nella basilica, paziente spettatore dei divini uffici. Allo squillo della campana vedrà otto o dieci persone vestite in varie foggie, i più col batolo di vaio e gli altri di ermellino, sbucar fuori da una sala, che ai vestigi dell'antica magnificenza argomenterà essere la sagrestia; ma non già al portamento loro, che procederanno altercando con atto e voce sconcia e sonora. Tratteranno forse qualche quistione della più astrusa e arcana teologia, inosservata a sant'Anselmo di Aosta e a san Tommaso di Aquino? Oibò; essi parlano del libro dei sogni, della estrazione del lotto e delle cabale fallite, sulle quali fecero già invano assegnamento e che non iscompagnano mai dal breviario e dal calendario. Se il vespro li rauna[5] alle salmodie, non mancherà fra essi chi è uscito pur ora del tempio di Bacco, e porterà espressi sul volto infuocato i favori e i lazzi di questa sollazzevole e lepida divinità. (cap. VII, pp. 113-114)
- Il padre Ventura[6], uno dei più bei nomi che vanti il clero italiano, ebbe l'esilio da Napoli, e la censura dell'Indice di Roma per aver scritto una orazione funebre sui morti di Vienna nel 1848; la Civiltà Cattolica[7] dopo la sconfitta di Castelfidardo[8] ha pubblicato elegantissimi articoli, nei quali ad ogni pagina son chiamati e dimostrati veri martiri. Non mi voglio intromettere di una questione così delicata e pericolosa, nella quale il giudizio solo dell'Onnipotente ha sicura la pupilla. La mia osservazione non batte là, ma sulla conclusione che dice così: «possano queste considerazioni servire di qualche refrigerio a tante famiglie che sono in lutto per l'Europa e lamentano la perdita di alcuno dei loro amati». Vi sono altre famiglie in lutto, e sono famiglie cristiane, cattoliche e italiane: queste non chiedono che i gesuiti scrivano il panegirico dei cari che lamentano. Ma la pietà che non si rifiuta alle belve; ma quello squisito sentimento di umanità e di mestizia che rende ogni uomo generoso, eziandio verso gli sconosciuti e i nemici, se per avventura li trova lagrimare la perdita di un fratello e di un figlio; voleva si risparmiassero i nomi di figli ribelli, di cristiani scomunicati, di fedeli in armi contro il Vaticano – empi che menan trionfo, gavazzando tra stragi e incendi – che irruppero ladronescamente a riportare una vittoria, più vergognosa d'ogni sconfitta. (cap. XVI, p. 273-274)
La dottrina cattolica e la rivoluzione italica
[modifica]- E per verità le poche pagine ch'ella, signor Cardinale[9], ha voluto destinare all'umile persona mia e che avrebbe potuto agevolmente risparmiare, riboccano, secondo lo stile gesuitico, di calunnie e contumelie, così sformate da farmi ricordare i tempi descritti nella mia Storia ecclesiastica, quando il pontefice e l'antipapa e cardinali e prelati si regalavano a vicenda il nome di cane, di ladro, bagascione, assassino e buffone: ovvero quando Giovanni VIII nelle sue lettere e nei sinodi chiamò ladri e assassini Formoso vescovo di Porto, Stefano secondicerio, Sergio maestro delle milizie e Adalberto marchese e Gregorio nomenclatore, e la sua figlia Agostina e Rotilde imperatrice bagasce, meretrici, adultere, incestuose, e Guido imperatore membro dell'Anticristo. (Monsignor Liverani all'eminentissimo e reverendissimo sig. Cardinale Mathieu Arcivescovo di Besançon, p. 6)
- Quanto si spaccia tutto dì come nuovo diritto europeo, è già cosa vieta e quasi dimenticata secondo la sincera dottrina cattolica: e quel che chiamasi conquista della rivoluzione e grandi principj dell'89, risale presso i maestri in divinità per secoli e secoli, sin quasi a non poterne altronde scuoprire l'origine che nella culla stessa della società. La Chiesa non ha giammai messo in dubbio quell'assioma, che vien detto moderno, cioè dimorare nel popolo la facoltà di scegliere la forma del suo governo e di reggersi con le leggi da sé stesso fatte e sanzionate: ed essere questa una condizione necessaria al concetto di giusto e legittimo principato per escludere da lui il sospetto e il sozzo nome di tirannide. (cap. IV, p. 39)
- Se pertanto gl'Italiani sono oggi inebbriati e innamorati delle forme temperate e del regime rappresentativo, non è da farne loro carico, come non si potrà a talento dei gesuiti mettere all'indice o potare ad usum delphini laSomma di san Tomaso, che i Padri del Concilio di Trento tenevano aperta insieme colla Bibbia nelle ammirabili loro assemblee. Né venga fuori il signor cardinale di Besançon[9] a dipingere come una beatitudine i passati governi d'Italia e come un lutto l'ordinamento presente, poiché noi francamente e lealmente risponderemo che in questo sventurato paese furono provincie (e debbo dire che vi sono ancora) nelle quali il governo non tenne altro metro che di portar via l'oro e dispensare legnate. (cap. IV, p. 40)
- Brighino e manovrino pure a lor talento i gesuiti, ma non recheranno mai alla Chiesa l'onta di fargli autenticare colla parola infallibile e incorruttibile le loro vertigini. Il papa non darà mai a credere ai fedeli, come verbo di vita, che il dominio temporale è necessario al pontificato, in quella guisa che non dichiarerà essere articolo di fede che sua è la villeggiatura di Castelgandolfo. Sono diverse le proporzioni, ma l'effetto e la materia è la medesima. (cap. XII, p. 115)
Preceduta da segni minacciosi nell'aria, che non mancano mai a chi abbia voglia di speculare le stelle, ai quali le ingenue cronache ponevano mente solo dopo che si era scaricato il malanno sul paese, cedendo la Pannonia agli avari ed unni, tartari abitatori di Moldavia, il dì dopo pasqua del 568 tutta la stirpe longobarda, ingrossata d'infinite orde barbariche sue vicine, capitanata dal re Alboino, mosse verso l'Italia per mettere a ferro e fuoco le sue città, rovesciare i villaggi, desolare le campagne e ridurle senza coltivazione, manometterle con le scorrerie, incalzare con le spade gli italiani, farli prigioni, mozzar loro le mani ed uccidere spietatamente ed inesorabilmente tutti i valentuomini.
Queste parole di colore oscuro sono tratte da vari brani delle opere di s. Gregorio magno che ricordano l'eccidio.
E la testimonianza di un papa e di un tale papa è superiore ad ogni sospetto di ampollosità, ancor per ciò che trova confermazione nel fatto che molte città scomparvero allora dal suolo italiano e molte diocesi si dovettero riunire dal medesimo pontefice per mancanza di popolo e di sede.
Citazioni su Francesco Liverani
[modifica]- In un album di fotografie raccolte da un mio bisnonno, su due pagine vicine, avevo sempre veduto due fotografie: l'una, dell'Alinari di Firenze, di un prelato dall'aria severa, un po' testarda e paesana: e dietro ad essa era scritto il nome di Liverani. L'altra, di un fotografo di Parigi, mostrava un prelato di tutt'altra tempra: un'aria mondana e un sorriso tra ironico e compiaciuto ne affinavano i tratti aguzzi e, sia detto con rispetto, volpini. Dietro a questa fotografia il bisnonno aveva scritto questa epigrafe: «De Merode. Non trovando credito per le tue scelleraggini nel secolo, cuopristi la tua vergogna con la tonaca del prete, che più infame ti fece». [...].
Recentemente, Vittorio Gorresio aveva appunto ricordato il De Merode ministro della guerra di Pio IX, in una sua briosa rievocazione su «Papalini e liberali dopo il '70» sulle pagine di un settimanale liberale. Ma non so per quale strana combinazione, volendo pubblicare una fotografia del De Merode, gli era accaduto invece di darne una di Monsignor Liverani. E non è da dire, come abbiamo visto, che un monsignore ne valga un altro. Sarebbe come se uno oggi scambiasse una fotografia del ministro Scelba con una dell'on. Pajetta. (Ranuccio Bianchi Bandinelli)
Note
[modifica]- ↑ Giacomo Antonelli, segretario di Stato di papa Pio IX, ultimo dello Stato Pontificio.
- ↑ John Russell, I conte di Russell (1792 – 1878), politico inglese.
- ↑ Russell, alla Camera dei Comuni, 3 maggio 1861. [N.d.A.]
- ↑ La Gazzetta di Genova, n. 71, 1861, ha un bellissimo articolo che concorda colle reminiscenze allegate nel testo: "un gran numero di pubblicisti vedendo l'influenza del credito sulla circolazione, hanno cercato i mezzi di attivarla artificialmente, ed hanno creduto trovarli nello sviluppo forzato dei mezzi di credito, dimenticando che il credito suppone la fiducia, e che questa non si può produrre a volontà... Il biglietto della banca rende al commercio ed all'industria degli utili servigi: ma è necessario che ne sia mantenuta l'emissione in un limite convenevole; perché, se questo fosse oltrepassato la produzione non sarebbe più in rapporto coi veri bisogni che la generano etc." Così egli, e rettamente. [N.d.A.]
- ↑ Variante arcaica di raduna.
- ↑ Gioacchino Ventura (1792 – 1861), predicatore, filosofo e teologo italiano, noto per il suo sostegno alla causa della Rivoluzione siciliana del 1848.
- ↑ Civiltà Cattolica, IV, VIII, 187, e seg. [N.d.A.]
- ↑ Il 18 settembre 1860, si scontrarono gli eserciti del Regno di Sardegna e dello Stato Pontificio; la battaglia si concluse con la vittoria dei piemontesi.
- ↑ a b Césaire Mathieu (1796 – 1875), cardinale e arcivescovo di Besançon, autore di Le Pouvoir temporel des papes justifié par l'histoire, étude sur l'origine, l'exercice et l'influence de la souveraineté pontificale.
Bibliografia
[modifica]- Francesco Liverani, Il Ducato e le antichità longobarde e saliche di Chiusi, Stab. tip. di A. Mucci, Siena, 1875.
- Francesco Liverani, Il Papato, l'Impero e il Regno d'Italia, G. Barbera editore, Firenze, 1861.
- Francesco Liverani, La dottrina cattolica e la rivoluzione italica, Felice Le Monnier, Firenze, 1862.
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