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Giacomo Emilio Curatulo

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Giacomo Emilio Curatulo

Giacomo Emilio Curatulo (1864 – 1948), ginecologo, politico e accademico italiano.

Garibaldi e le donne

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  • [...] Francesca Armosino, come è stato affermato, deve la fortuna di possedere il nome di tanto uomo al caso, che la mise sola accanto a lui [Garibaldi] nella selvaggia isoletta [di Caprera] e la fece unica e pietosa aiutatrice negli strazi che di quel corpo, ormai affranto, faceva l'artrite [...]. (p. 7)
  • Con le donne d'Inghilterra [Garibaldi] ebbe spesso interessanti discussioni sulla religione; specialmente con la giovane duchessa Anna di Sutherland e di Cromartie, donna eletta, amicissima della Regina Vittoria, della quale era dama di Corte, queste discussioni si svolsero animate. La nobile signora s'era messa in capo l'idea di convertire Garibaldi alla religione anglicana. (p. 59)
  • Il 13 giugno 1849, Colomba Antonietti, colpita da palla francese, muore eroicamente accanto al marito; il quale, arruolatosi come cadetto nelle truppe pontificie, non aveva saputo resistere al fascino di Garibaldi.
    Dagli occhi e dai capelli nerissimi, giovine di 21 anno, Colomba aveva voluto seguire lo sposo, prima a Venezia, poi a Roma. Il 19 maggio combatte a Velletri, ammirata dallo stesso Garibaldi, e la mattina del 13 giugno a San Pancrazio, avendo i soldati francesi già aperto la breccia, mentre ella porge al marito, sotto il fuoco incessante del nemico, dei sacchi ed altro materiale, una palla la colpisce al fianco. L'eroica donna, scriveva il «Monitore Romano» del giorno dopo, giunte le mani, rivolti gli occhi al cielo, morì gridando: «Viva l'Italia!». (pp. 69-70)
  • Ecco Adelaide Cairoli, esempio incomparabile di amore per la patria, portante ancora il lutto per il suo primogenito, morto l'anno innanzi, combattendo contro gli austriaci, presentarsi all'eroe d'Italia col figlio minore, il giovinetto Enrico (Benedetto era già con Garibaldi); il valoroso Enrico «dolce italico fior» che, ferito alla fronte da una palla borbonica all'entrata a Palermo, la morte risparmia per mieterlo sette anni più tardi, alle porte di Roma, a Villa Glori! (p. 71)
  • Ecco Rosalia Montmasson Crispi, attratta pur essa dal fascino dell'eroe, presentarsi a lui [Garibaldi] non per condurgli i suoi figli [come Adelaide Cairoli], ma per offrire tutta sé stessa all'arrischiata impresa [dei Mille]. Reduce appena dalla Sicilia e da Malta, dove erasi recata, col pericolo della vita, per avvertire i liberali della prossima venuta di Rosolino Pilo, il precursore dei Mille, si deve all'intrepida savoiarda se, in quei giorni, poteronsi riannodare in unità di azione i tre luoghi, dove più ardentemente si cospirava: la Sicilia, Malta, Genova. (p. 71)
  • La donna italiana si coprì di gloria nei giorni del Risorgimento. Una schiera di anime elette si raccolse intorno all'eroe popolare [Garibaldi] per dare aiuti materiali e morali; fra esse sono da ricordare [...] Laura Solera Mantegazza, che va elemosinando per le case di Milano a far colletta pei feriti delle Cinque Giornate e più tardi per il riscatto di Roma e Venezia; che sul lago Maggiore converte la sua villa in ospedale per i feriti garibaldini di Luino, che sottoscriverà mille lire pel milione dei fucili, destinati a Garibaldi e lancierà un caldo appello alle donne italiane [...]. (p. 72)
  • Con grande simpatia ed ammirazione deve essere ricordata l'Alba Camozzi, la eletta compagna del patriota bergamasco [Gabriele Camozzi], che diede all'Italia sangue e denaro. Fu dessa, ben si può dire, un'antesignana del femminismo moderno; ma di quello sano, di buona lega, non fatto di utopie e di paradossi. Tutti i problemi che spesso si sentono oggi proporre per l'educazione della gioventù, tutte le questioni sociali, che sembrano sorgere da pochi anni, nella mente dell'Alba Camozzi erano stati coltivati e talvolta risolti. (p. 73)
  • Nel settembre del '62, dopo Aspromonte, mentre Garibaldi giace ferito e prigioniero al Vatignano, una donna intercede presso Vittorio Emanuele, e ne chiede la liberazione: Maria Letizia de Solms, la futura moglie di Urbano Rattazzi.
    Nata Bonaparte Wyse [...] sposò a 15 anni Federico de Solms. La sua bellezza attirò intorno a lei molti ammiratori e fra questi molti uomini illustri. (pp. 88-89)
  • la Maria Letizia [de Solms] ebbe molti adoratori e non fu insensibile, sembra, con molti di essi. Durante la sua permanenza a Firenze, nel '67, pubblicò il celebre romanzo satirico «Bicheville» per cui Urbano Rattazzi fu costretto a battersi in duello. (p. 90)
  • La vita di Marie Espérance von Schwartz, più comunemente nota sotto lo pseudonimo letterario di Elpis Melena, traducendo in greco il nome Speranza (Elpis) e il cognome Schwartz, che in tedesco significa nero (Melena), è un romanzo dei più interessanti, che fantasia di scrittore abbia mai immaginato. (p. 126)
  • Dalla figura alta e nobile, dai capelli inanellati cadenti sulle spalle, dagli occhi azzurri, essa aveva tutta l'aria ed era un'amazzone delle più perfette. Dotata di una cultura storica ed artistica non comune, per la conoscenza perfetta di tutte le lingue, compreso il greco, per le numerose sue pubblicazioni, Speranza Schwartz fu donna superiore. (p. 126)
  • Di un'attività, di una energia, di cui forse pochi uomini sarebbero capaci, in lei [Maria Esperance von Schwartz] furono certo alcune di quelle qualità per cui, a volerla giudicare alla stregua comune, apparisce talvolta donna eccentrica, non priva peranco di quella tale vanità tutta muliebre, la quale non suole mancare nelle donne anche le più colte. Ma questi difetti, insiti alla sua stessa natura di donna, possono esserle perdonati, se si pensa che essa amò, come pochi stranieri hanno amato, il nostro paese; che essa ebbe per Garibaldi un'amicizia disinteressata, nobilissima; se si pensa che il nostro eroe, ferito e prigioniero al Varignano, ebbe da lei, nell'ora della sventura, cure di sorella, che infine per la causa da lui propugnata rischiò qualche volta la vita. (pp. 126-127)
  • [...] la verità si è che Giuseppina Raimondi non amò mai Garibaldi e che persino lo respinse; essa fu obbligata al matrimonio, che seguì, dal padre, il quale sentiva per il Generale una vera infatuazione, e da altre circostanze che nella disamina di questo dramma non furono serenamente vagliate. (p. 297)

Bibliografia

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