Giornata della vittoria (Paesi dell'Europa orientale)
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Citazioni sulla Giornata della vittoria.
Citazioni
[modifica]- Basta con le c.....e in tv, il Giorno della Vittoria è dei nostri nonni, noi non abbiamo meritato un singolo millimetro di questa vittoria. (Evgenij Prigožin)
- Cos'era la vittoria, per me scolaretto? Qualcosa di sacro, qualcosa che non si poteva mettere in discussione. E della cui importanza non dubito nemmeno oggi. Per mia madre e mia nonna la festa della vittoria non è mai stata una bella festa. E mi hanno sempre raccontato quant'era stata dura, nel 1945. Avevano vinto, era stata una grande vittoria, però quel giorno si chiudevano in casa, si abbracciavano e piangevano. Il 9 maggio 1945 si abbracciarono e piansero in un appartamento inchiavardato. (Oleg Orlov)
- Il 9 maggio è diventato la vera festa nazionale russa, molto più del 12 giugno che segna la fondazione della Russia post sovietica. [...] Il tripudio di bandiere e adesivi, manifesti e concerti, con bambini vestiti in uniformi d'epoca e fatti marciare in formazione a Z, e panini e torte pasquali con i simboli della "operazione militare speciale" in Ucraina, sembrano veramente sintomi di un impazzimento nazionale. (Anna Zafesova)
- La Seconda guerra mondiale è l'evento centrale del mito storico russo. Durante il regno di Vladimir Putin, mentre gli ultimi che hanno vissuto la guerra stanno morendo, gli eventi commemorativi si sono trasformati in carnevali che celebrano il vittimismo russo. L'URSS ha perso almeno ventisette milioni di persone in quella guerra, un numero sproporzionato di ucraini. L'Unione Sovietica e la Russia hanno combattuto quasi ininterrottamente dal 1945, ma la parola "guerra" è ancora sinonimo di Seconda Guerra Mondiale e la parola "nemico" è usata in modo intercambiabile con "fascista" e "nazista". Questo ha reso molto più facile per Putin, nel dichiarare una nuova guerra, bollare gli ucraini come nazisti. (Maša Gessen)
- Sapevamo che le autorità [moldave] avrebbero cercato di distruggerci, distruggendo la nostra identità, le nostre tradizioni, la nostra storia. Facendo finta che non esista il Giorno della Vittoria. Invece, c'è una Giornata dell'Europa. E poi, ovviamente, il festival LGBT. [...] Il popolo moldavo è pacifico e tollerante, ma c'è un limite a tutto. Ci appelliamo alle autorità. Trovate il coraggio di rispettare le nostre tradizioni. Rispettate le famiglie che vi hanno cresciuto. Che solo Sandu non viveva con i padri 1 e 2. (Ilan Shor)
- Uno degli aspetti più paradossali [...] è che il culto della Vittoria in realtà non esisteva nell'immediato dopoguerra, quando il 9 maggio non era nemmeno un festivo. Per vent'anni la parata della vittoria del 1945 è rimasta l'unica, per venire replicata nel ventesimo anniversario, e poi altri vent'anni dopo. L'ossessione della parata annuale, sempre più sontuosa, minacciosa e costosa (inclusi i lanci di missili speciali per disperdere le nuvole in caso di rischio pioggia), è un culto militarista voluto da Putin che, nonostante non avesse mai fatto un giorno in caserma, «non perde mai l'occasione di farsi fotografare accanto a un carro armato», ironizza lo storico Mark Galeotti sul Times. Ma anche la religione laica della vittoria nasce soltanto negli anni '70, in epoca brezhneviana. [...] L'introduzione del culto della vittoria era funzionale dunque non soltanto a dare a una nazione in crisi qualcosa di cui andare fiera, ma anche a giustificare la presenza di una gerontocrazia stalinista al governo. (Anna Zafesova)
- Già da qualche anno in occasione della Giornata della Vittoria cerco ogni volta di andarmene da Mosca. Per me è ormai diventato uno spettacolo intollerabile. Per alcuni giorni la nazione, già nel resto dell'anno non del tutto sana sotto il profilo psichico e morale, si trasforma in un vero e proprio manicomio. Inizia l'ennesima crisi di recrudescenza. Inattaccabile da qualsiasi rimedio medicamentoso. Gli occhi diventano vitrei, i discorsi si fanno farneticanti, la visione del mondo schizofrenica. Bava alla bocca, «i nonni hanno combattuto», «possiamo rifarlo», «fascisti», «banderisti», «cenere radioattiva», «la Crimea è nostra», «Obama-mezzasega». Falsi i berretti a bustina, false le uniformi e le medaglie, i bimbi mascherati con false gimnastërki, falsi gli adesivi, falsi i nastri di san Giorgio. Perché fare indossare ai vostri bambini la divisa? Perché girate una glip riguardo a un ragazzino in telogrejka morto? Perché vostra figlia di dieci anni fa disegni sulla guerra con le ceneri del bisnonno cremato? Lo sa solo il diavolo... Si usa così.
- In realtà, nella Russia contemporanea sarebbe più giusto chiamare questa ricorrenza non Giornata della Vittoria, bensì Giornata panrussa del mercimonio della Vittoria.
- La Giornata della Vittoria ha assunto un senso diametralmente opposto a quello originale, e io ormai non capisco più che cosa rappresenti questa ricorrenza. Il significato originario mi risultava comprensibile: perché non si ripetesse mai più niente del genere; per ricordare; per non dimenticare; per mettersi in ginocchio. Sì, anche allora non si trattava che di menzogne. Ma perlomeno a parole si invocavano principi antimilitaristi. E l'arsenale bellico che sfilava sulla Piazza Rossa era dichiarato necessario per la difesa, non per l'aggressione. Per difendere dai maledetti capitalisti le nostre frontiere imbozzolate.
Invece, adesso? - Tutte queste lacrime riguardo ad avvenimenti di quasi un secolo fa non sono che nauseante ipocrisia.
A chi ne ha fatto esperienza diretta la guerra può evocare soltanto un sentimento: orrore.
Già il solo pensiero di richiamare alla mente tutti quei ricordi fa inorridire.
Andarsene poi con le fotografie dei caduti e ballare lungo il viale a suon di fisarmonica...
Invece di organizzare questo po' po' di parata, voialtri fareste meglio a dedicarvi a comprendere il passato.
Comprenderlo, prenderne coscienza, pentirvene e non permettere che si ripeta.
Macché! La loro nazione di nuovo sta distruggendo i Paesi vicini e questi qua se ne vanno a zonzo con quei ritratti e sono chissà perché pieni di orgoglio. Per fatti accaduti settant'anni fa. Ai quali nessuno di loro ha preso parte.
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