Heriberto Herrera

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Heriberto Herrera (1967)

Heriberto Herrera Udrizal (1926 – 1996), calciatore e allenatore di calcio paraguaiano.

Citazioni di Heriberto Herrera[modifica]

  • Ho sempre rispettato ogni critica. Anche se spesso, per rispondere e spiegarmi, avrei avuto bisogno di un giornale mio. Non avendolo, ho dovuto rendere più capace il mio stomaco: per digerire frasi e discorsi che non mi sembravano giusti.[1]
  • Avessi una squadra composta da undici uomini con le stampelle [...], non direi mai che non sono in corsa per lo scudetto. Direi che non siamo i più forti, ma che anche i più forti possono compiere un passo falso. E al primo passo falso degli altri, io e i miei saremo lì, pronti ad approfittarne.[1]

Citazioni su Heriberto Herrera[modifica]

  • Heriberto Herrera, alla Juventus, ci aveva provato con il «movimiento», ricavandone uno scudetto (1967) e una Coppa Italia (1965), troppo poco per lasciare tracce che non fossero riccioli d'archivio. Comandavano Inter e Milan, Helenio Herrera e Nereo Rocco. Il «movimiento», così inviso al genio logoro e selvaggio di Omar Sívori, contemplava un'adesione globale alla manovra, assaggio del «totalitarismo» batavo. In assenza di tenori, ma quand'anche ce ne fossero stati, l'orchestra incarnava il fine ultimo, e non un dispotico vezzo. Heriberto, paraguagio di rigida lavagna, passò per pazzo. Viceversa, era in anticipo su convinzioni e convenzioni. Gli mancava la materia prima, non la materia grigia. (Roberto Beccantini)
  • Nel panorama un po' troppo polveroso e chiacchierone degli allenatori di calcio in Italia, uno come Heriberto, che non strilla né soffia nella tromba, è dì per sé un fenomeno, bello o brutto, amato o disamato a seconda di infiniti pareri personali. Ma certo è un uomo, ritagliato in un suo legno tutto speciale, con spigolosità che hanno un loro preciso carattere. (Giovanni Arpino)
  • Non vorrei definirlo un dittatore ma quasi. Lui voleva sempre vincere e noi calciatori siamo tutti stronzi. Lo scudetto del '67, quello conquistato all'ultima giornata è merito suo. Noi avevamo già mollato, lui no. L'Inter tecnicamente era superiore, la Juve una squadra operaia. Però abbiamo vinto e ce lo siamo anche meritato. [...] Una sera, dopo aver giocato in Coppa Campioni, quella di allora, mica la coppetta di adesso, contro l'Olympiakos, Heriberto bussa, entra in camera e mi assesta un pugno sullo stomaco. E urla: "Tua madre è una santa e tu sei un hijo de puta". Io reagisco e poco dopo parliamo come se nulla fosse. Gli chiedo: ma perché? E lui: "durante la partita il difensore greco che ti marcava, è andato due volte all'attacco". [...] Mi sono preso un esaurimento nervoso. Heriberto mi ha distrutto mentalmente. Però era onesto, giocava chi era in forma. (Gianfranco Zigoni)
  • Un uomo molto rigido, maniacale. Incuteva timore [...]. Durante uno dei primi allenamenti mi trattò malissimo davanti ai compagni. Stavamo facendo una seduta tattica, io non ero abituato a certi metodi. A un certo punto mi dice: "Basta, cono [stupido], vada fuori". Mi mandò via e fece entrare al mio posto Zigoni per farmi vedere come andava fatto il movimento. A me vennero le lacrime agli occhi dalla rabbia. (Pietro Anastasi)

Vladimiro Caminiti[modifica]

  • Ho amato la Juve di Heriberto, coi suoi giocatori non straordinari ma generosi, veri.
  • La Juve prima di Heriberto era una manica di scapestrati. Costui li mise in riga e li allenò, li torchiò, li ammonì. [...] Era una squadra con meno estro dell'Inter, ma disciplinata, con vigore furente.
  • Mai mi pentirò di una riga scritta pro Heriberto. Il paraguaiano, pur con le aberrazioni di una natura fanatica, creò una Juve-squadra seria, consapevole; abiurata la Juve dei rodomonte, i quali si allenavano quando volevano, con il vecchio Monzeglio dalle tasche piene di cioccolatini per i figli dei giocatori. La frusta adoperò Heriberto. La sua fu un'epoca di figli di papà delusi e mortificati; non riconoscevano la «vera» Juve in quella di cursori che si mordevano la coda nel così detto movimento.
  • Quel campionato [1966-1967] fu un continuo arrovellarsi di Heriberto perché la squadra si esprimesse secondo i suoi schemi, che insegnava per ore ed ore, illudendosi che dei calciatori si potessero ricordare tutte quelle astruserie che lui verificava correndo attorno, il pallone abbrancato a quel rostro di petto infossato nella figura di spilungone dagli occhietti neri spiritati.

Note[modifica]

  1. a b Dall'intervista di Giovanni Arpino, Heriberto dalla Juventus all'Inter, sempre con le squadre più amate, La Stampa, 26 agosto 1969, p. 13.

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