Vladimiro Caminiti

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Vladimiro Caminiti (1932 – 1993), giornalista, scrittore e poeta italiano.

Citazioni di Vladimiro Caminiti[modifica]

  • [Su Virginio Rosetta] È stato il primo grande stratega difensivo della storia del nostro calcio, suoi palloni, lunghi o brevi, erano messaggi. Il suo grandissimo senso della posizione, il suo elucubrato pragmatismo, la sua tecnica nel difendere l'1-0 evitando inutili sforzi. Il ragioniere insegnava calcio, ed anche comportamenti di vita, a tavola era facile vederlo evitare il bicchiere di vino.[1]
  • [Su Giuseppe Furino] Nella sua storia leggendaria la Juve ha avuto eccelsi gregari. Ma nessuno all'altezza di questo nano portentoso, incontrista e cursore, immenso agonista, indomabile nella fatica, i piedi come uncini dolorosi in certe circostanze.[2]
  • [Su Pietro Anastasi] Paragonato ai centravanti tradizionali, è un misto di Gabetto e Lorenzi, ha più estro che tecnica, più possesso fisico dell'azione che senso tattico; caccia il goal come uno stallone la femmina.[3]
  • [Su Renato Cesarini] Parlava con una voce arrochita e addolcita dalle stravaganze. Era tutto meno quello che avrebbe voluto essere. Aveva un cuore grande come una chiesa ma era crudele come un serpente. Sapeva piangere e ridere. Era angelo e diavolo, un clown del pallone, un ciuffo di capelli e un collo, occhi smagati sul precipizio. Era matto davvero e pure savio specialmente bevuto. La sua casa era di tutti e strimpellava dolcemente alla chitarra. Inventò un sacco di cose già inventate, meno una proprio tutta sua: il goal all'ultimissimo. Giocava quando ne aveva voglia e quando non ne poteva più dormiva. Perché dormire se c'è tanto da prendere? E prendeva prendeva. La primavera del 1969 gli fu fatale...[4]
  • [Su Virginio Rosetta] Prima di lui il pallone era inteso solo per assestargli solenni calcioni [...][1]
  • [Su Antonio Cabrini] [Un] Rodolfo Valentino del calcio senza le falsità e le angosce del divo per forza.[5]

Gli eroi in bianconero: Cestmir Vycpalek

Citato in Stefano Bedeschi, tuttojuve.com, 15 maggio 2023.

[Su Čestmír Vycpálek]

  • In pochi mesi di Palermo, Čestmír di Praga diventò Cesto, si fece largo da stretto e giocava con paciosa serenità, esprimendo grazia tecnica e rotondità di anca. Prima di lui al Palermo le mezzeali arronzavano, non avevano dimestichezza con la classe, non avevano garbo, non avevano cultura. Facevano tutto presto e male. Cesto sapeva fare bene e con comodo, per il godimento della plebe, tutti dovendosi beare del suo gioco danzato, stile Slavia di Praga. Da Praga, appunto, arrivava, anzi da Torino, dopo un campionato alla Juventus [...]; da Praga via Dachau, otto mesi di campo di concentramento ansimando in attesa della fine, negli occhi la fame trista di quando si è persa la dignità per le malvagità del prossimo.
  • 1971. La malattia di Picchi ispirò Boniperti di fare uscire dall'ombra il pacioso boemo latte e miele. Era duro anzicchenò per Cesto, alla guida della Juventus, sedersi sulla panchina più illustre d'Italia, con Boniperti alle spalle che tanto si prendeva tutta la gloria facendo tutto lui, con una squadra piena di malandrini, Haller, Causio, Anastasi, Marchetti, ma le esperienze della vita e degli uomini lo avevano cambiato, morì Picchi ma la squadra nomata Juventus aveva l'ideale continuatore, né trascinatore né condottiero, uno stratega sorridente che manovrava le carte in ritiro a Villar Perosa da mafioso siculo, che sapeva usare paroline graziosissime per scuotere o pungolare, grasso roseo ballonzolante davanti alla truppa negli allenamenti condotti con altissimo senso della misura. I ragazzi si divertivano, lo presero in simpatia, Boniperti lo confermò alla guida tecnica della squadra e ne fu compensato: quest'uomo che non rifiutava mai un'intervista e non faceva dramma di niente, era Campione d'Italia con la squadra.
  • La modernità di Vycpálek, apparentemente re travicello, è nella sua cultura tecnica e umana, il suo alato ottimismo, la sua dolcezza dialettica, una squadra di professional negli anni Settanta non potendosi guidare soltanto coi giri di campo. A parte che Cesto anche i giri di campo sapeva dosare con acume. Un allenatore vero.

Citazioni tratte da articoli[modifica]

  • [Su Giancarlo Antognoni] L'uomo che gioca guardando le stelle.[6]
  • [Dopo la morte di Gaetano Scirea] Morire giovani capita ai profeti, ai poeti, ai predestinati, ai santi. Ma è una menzogna, morire giovani è solo una porcheria.[7]

Guerin Sportivo[modifica]

Citazioni tratte da articoli[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Boniek non è un centravanti secondo i moduli tradizionali e non è un cervello, un regista, piuttosto è un giocatore con la musica del calcio altolocato nelle vene, la zona e il gioco senza palla, la verticalizzazione costante, lo spunto mai fine a se stesso, lo sprint reiterato, travolgente, di gambe e di polmoni, sull'out o al centro, mai un fronzolo fine a se stesso, un senso del gioco materiato di amore per il pallone, gioco di prima innervato nel gioco di squadra.[8]
  • Dicono che ogni epoca ha i suoi assi. Un asso chiamato Sivori non è di un'epoca o di un'altra. Il tunnel che egli inventò sventrava le montagne dei cuori umani nel senso del divertimento massimo che trasmetteva con le sue imprese che volevano essere ridanciane ma forse erano disperate.[9]
  • [...] la figura di Tazio Nuvolari mi ha risvegliato in questi giorni memorie e ricordi di gioventù; l'epoca in cui ventenne frequentavo in piazza Ignazio Florio l'ufficio della Targa Florio e vedevo ogni mattina arrivare, vestito di bianco col baffo elettrico, quell'eccentrico delirante signore che creò l'omonima Targa e portò la civiltà nella desolata giogaia delle Madonie. Per me erano altri tempi. Mi accompagnavo a una ragazza dai capelli rossi nei miei viaggi a Cerda. Sognavo di andare in continente. Perché? L'emigrante nasce col destino di fuggire.[9]
  • [Su Dino Zoff] [...] nella leggenda è entrato con i fatti dei suoi primati: non mi ha mai divertito, ma mi ha sempre appassionato. [...] i primati di Zoff erano espressione del suo carattere, divenuto stile di uomo [...][10]
  • In Italia, solo a ventisette anni, Carlo Parola uscì devastato dal confronto puramente atletico con il centrattacco del Milan, Gunnar Nordahl [...]. La forza fisica di Nordahl deflagrava in gol per i quali è arduo trovare aggettivi adeguati. Era novanta chili di muscoli, 1 e 80 di fisico ben modellato con 104 centimetri di torace. E aveva l'olimpismo degli assi nordici, affrontava lealmente ogni tipo di contrasto, e una volta ne uscì con un fianco sbrecciato da una scarpata di quell'uccellaccio di Nay. "Perché giocare così?", si lamentava grondando sangue dalla ferita. [...] Due volte nel Resto d'Europa contro l'Inghilterra, era lui l'asso più temuto del GreNoLi che illustrava il Milan a tutto campo, aveva una natura confidente, uno spirito fanciullo, orgoglioso.[11]
  • Parola andava a disegnare eterni capolavori. Il suo anticipo e il suo rilancio, i suoi inserimenti provvidi per il gioco corale, anticipavano il libero come sarebbe stato soltanto Scirea negli anni Settanta. Con qualcosa di meno. Nessuno come Parola sul piano dello stile e della classe conseguente.[12]
  • [Su Arrigo Sacchi] [...] sembra uscito da una pagina di Bellow, con questa sua paradossale, inverosimile pelatina da sacrestano invaso dalle folgorazioni mistiche.[13]
  • [...] Zoff è come uno di quegli alberi centenari sempre verdeggianti dalle profondissime radici e dalle tante anime. Definirlo l'uomo dei silenzi è ridicolo, perché quest'uomo è piuttosto difficile, rancoroso, scorbutico, cioè malcontento per natura, scettico su tutto, titubante, bisognoso di certezze assolute in ogni istante [...] giovanissimo e vecchissimo, arido e saturo di linfe segrete. Riuscì a fare il portiere di calcio nel Paese di tutti i voli, veri e fittizi, non volando quasi mai, e giocando non soltanto in porta, facendo avanzare il ruolo in tutti i sensi come coscienza e come scienza del calciatore. [...] Non è che non avesse difetti. Gli è sempre mancato, diciamocelo, quel pizzico di fantasia traducibile in colpo di reni che invece aveva un Albertosi; ma a parte questo, cosa gli mancava? Proprio nulla. In porta non andava soltanto un portiere, andava un grande uomo [...][14]
  • [Sul Grande Torino, nel 1989] Mi chiedo se prima dell'undici granata di Erbstein e Copernico, amato da Vittorio Pozzo [...] vi fosse mai stata in Italia una squadra così completa e rispondo che sicuramente l'Ambrosiana di Peppino Meazza, la Juventus di Viri Rosetta e Felice Placido Borel, il Bologna di Andreolo, Sansone e Schiavio, squadroni autentici furono, ma non come il Toro, una squadra impetuosamente italiana, alpina eppur sferzata dai venti marini per vincere le tempeste attorno al suo drammatico piccolo riccioluto gigante, quel Valentino Mazzola che un pure grande calciatore come Boniperti, nello scrigno dei ricordi più gelosi, considera a tutt'oggi il più incredibile fuoriclasse mai esistito.[15]

La centesima di Zoff

Dal Guerin Sportivo nº 24 (392), 17-23 giugno 1982.

  • Nulla meraviglia di Zoff e semmai meraviglia la sua sobrietà.
  • È vero che il tempo passa, ma Zoff ha l'aria di fregarsene. E passato bene, questo tempo. Ha arricchito il campione di esperienza, lo ha reso tetragono perfino alle invidie. Suo padre e sua madre, in quel paesino del Friuli, non hanno mai fatto il passo più lungo della gamba, semmai più corto, come mi diceva il figlio che per parte sua non ha mai fatto stravaganze, si è rispettato e basta. E lo ha fatto come pochi italiani lo sanno fare, se è vero, com'è vero, che oggi il profilo dell'italiano è la pancia.
  • [...] un cognome titanico come la sua classe, col senso della parata istintiva, senza fronzoli, non si capisce facile perché facile è la sua classe, perché semplice è il suo stile.
  • È la mancanza di retorica che rende difficile capire lo stile di Dino, amarlo.
  • Zoff ha materiato il ruolo di portiere di un'essenzialità poco italiana, molto furlana forse, ma molto poco italiana lo stesso. Ma non è cambiato niente, perché Enzo Bearzot, furlan come lui, ad un cronista tedesco, per fissare in una frase chi è Zoff quarantenne, col massimo impegno cerebrale che gli consentono questi giorni tormentati, dice: "Zoff è un uomo di quarant'anni ma è un giocatore di ventanni", forse un po' retorico ma dà il senso.

Nettuno è come lui

Dal Guerin Sportivo nº 25 (393), 23-29 giugno 1982.

  • Bruno Conti è l'ala che irride. Irride ai giganti bruti, irride alla stessa forza. Quante volte Liedholm mi ha detto che, se avesse anche forza, vincerebbe ogni partita da solo? E quante volte mi è sembrato moltiplicarsi in campo, essere qui e contemporaneamente altrove? Bruno Conti è un nanetto. Ma ci sono nanetti e nanetti, in fondo le fiabe dei grandi favolieri sono piene di tipi come lui. Tipi usciti dal popolo, da una casa piena di fame, da una vita presa con allegria, con testarda passione, con gioco e con il gioco del calcio con cui si sale in paradiso.
  • Bruno Conti, i capelli neri sulla fronte stretta, occhi neri furbi e piccini, naso e bocca vicinissimi, è il dribbling fatto uomo. È una carezza di velluto al pallone. È l'arte che non si sa da dove arriva, di giocare come un Mumo Orsi ieri, come un Bruno Conti oggi.
  • Era quello il calcio dell'individualista, completamente separato dalla realtà della squadra. Nel dopoguerra, si viveva il pathos del calcio ma, giocatori compresi, non se ne afferravano le autentiche esigenze. Non giocava quasi mai la squadra, ma i campioni singoli, vincevano la Juve di John Hansen e Boniperti, il Milan del Grenoli [contrazione di Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm], voglio dire che la Juve vinceva quando i suoi fuoriclasse ne avevano voglia, e così il Milan. La nazionale andò a disputare il Mundial brasilero del '50 perdendovi la faccia. Polverizzati tutti gli ideali di Don Vittorio Pozzo, precipitati dall'alto dei palazzi nei giorni della così detta liberazione, assieme ai cimeli del fascismo.
  • Il calcio non può esimersi di essere sempre fatto atletico, ma non potrà mai somigliare al basket, e perciò è anche estro, invenzione, improvvisazione.
  • Bruno Conti non è un atleta, è un soldo di cacio. Ma fisicamente tosto e tatticamente geniale. Col suo sinistro può mettere in crisi anche i giganti. [...] Bruno Conti, dalla fascia, sa fare il cross pennellato ma anche dal centro sa calibrare il passaggio giusto. Non ha ruolo, non ha posizione, a destra o a sinistra è egualmente un diavolo questo figlio di muratore che nella vis proletaria racconta il lunghissimo amore per rendere sapiente il suo sinistro. E, in fondo, con lui è il trionfo dell'intelligenza sulla forza bruta, meno letterariamente la conferma che al calcio si può aver fortuna solo se si sa giocare e, se non si sa giocare, non basta essere belli, forti e puri come Tarzan. Il calcio si esalta, oltre che coi piedi, a livello di carattere. Bruno Conti è un nano che in campo lotta come un gigante.

Il rosso volante

Dal Guerin Sportivo nº 18 (436), 4-10 maggio 1983, pp. 38-41.

  • [...] i valori del calcio della Polonia per i primi cinque posti in una ideale classifica si scrivevano così: 1. Deyna, 2. Deyna, 3. Deyna, 4. Deyna, 5. Deyna.
  • [Su Zbigniew Boniek] [...] pur essendo un possente cavallone del gioco, è un talentuoso, abbina stile e forza, eleganza e potenza, ha tutte le qualità immaginabili per copioni in cui gli spazi vengano conquistati da geometrie elementari, perché in Polonia il singolo inteso come virtuoso non funziona, funziona il singolo che lega con gli altri, che quantifica e vivifica il collettivo.
  • Boniek si può definire il calciatore polacco più originale della storia, è l'anarchico per eccellenza, non ha un ruolo specifico e su di lui può cadere qualsiasi numero di maglia, dal 4 in poi, fungere da centravanti arretrato per trasformarsi poi in centravanti effettivo, folgorante e sfolgorante; fungere da regista classico, da punto di riferimento per i compagni con i suoi piazzamenti senza palla. Un ruolo preciso non gliel'ha ancora trovato nessuno [...]
  • In effetti Boniek non ha ruolo. È buono per tutto, anche per difendere, se appena volesse. Ma nella sua terra polacca ha acquisito di sé un'enorme consapevolezza e il suo modo di essere non è disgiunto da una discontinuità di concetto, di ispirazione. È, voglio dire, vocato al difficile più che al banale. Se avesse anche continuità sarebbe un mostro, io penso.
  • Boniek è il fantasista volante del calcio europeo. Il suo ruolo li contempla quasi tutti, la sua potenza atletica [...] fa in maniera che egli si sappia esaltare come punta pura, se si sente in vena, come superarsi da rifinitore se ne ha voglia. Sa far tutto coi polmoni che ha. [...] È un possente cursore di rabbia e di conquista, è l'ultimo campione chopiniano, cioè melodioso, di un paese dove la fame è realtà quotidiana.

Il tulipano rifiorito

Dal Guerin Sportivo nº 19 (437), 11-17 maggio 1983, pp. 34-35.

  • La Napoli dei poveri e quella dei ricchi sono a contatto di gomito e si ignorano.
  • Ho sempre pensato che il calciatore del nostro campionato migliora, chiunque esso sia.
  • Krol ha riconquistato Napoli tornando a giocare nello spirito dei tempi ruggenti dell'Ajax. È l'ultimo «divino» del calcio mondiale. È l'ultimo difensore marziano. Per il fisico che gli ha dato madre natura [...] e per il concetto che ispira il suo gioco.
  • [Su Ruud Krol] [...] nato per giocare al calcio. In difesa, ma nel concerto e nel concerto totale. Oh già. Quel calcio fortissimo, mai rugginoso, travolgente al di là degli schemi, che modificò tutto il modo di scrivere calcio in Europa.

Cose d'America

Dal Guerin Sportivo nº 34 (452), 24-30 agosto 1983, pp. 17-21.

  • Io ho detto [...] che non vedrò giammai più, finché campo, un altro come Omar Sivori l'inventore del tunnel e il campione che picchiava i terzini per non farsi picchiare lui, con gli stinchi nudi, feroce come un autentico capo Apache sul sentiero di guerra.
  • La Casa Bianca è bianca [...]. Nessuna sovrastruttura necrofora, un candore, una lietezza, un'allegria tutta americana perfino nei due poliziotti che controllavano i passaporti. Un terzo illustrava ai giornalisti in attesa il funzionamento della sua pistola a ripetizione.
  • L'America è sfrontatamente sportiva. Nel calcio è unica e romanzesca. Non ci ha ancora capito molto, ma corrono.
  • Penzo ha personalità. Sa giocare ma di più sa lottare. Tutto il pane duro che ha mangiato per arrivare [...] lo dimostra prendendo sul serio ogni impegno.
  • Tacconi si considera un portiere volante. Mi ha detto: «Io in porta mi diverto». Ha un temperamento guascone come i portieri romantici.

Mai troppo Tardelli

Guerin Sportivo nº 15 (484), 11-17 aprile 1984, pp. 14-16.

  • Più volte ho pensato che Marco Tardelli incarni la figura e il destino del calciatore. Sorte e malasorte, felicità e infelicità, orgoglio e debolezze, uno dei pochi ideali rimasti a noi umani [...]. Ma io l'ho pensato e lo penso anche in conseguenza del tipo umano che Tardelli rappresenta: toscanino uscito praticamente dall'Hotel Duomo a Pisa, camerierino cioè a trentamila lire al mese che nel tempo libero correva e schizzava in campo così da farsi notare e stupire dapprima.
  • [...] ancora non era arrivato un calciatore come Tardelli, sì difensore, ma in grado, con una sparata di scatto, un allungo sull'out oppure centrale, insaccando ossigeno e sparendo ai mortali, schizzando insomma, di stravolgere gli schemi e di andare a vincere una partita.
  • [Su Giuseppe Furino] [...] il calciatore della Juventus meno bavoso, meno parlato, più schietto, più plebeo, più sacrificato. L'antidivo per eccellenza.
  • [Su Marco Tardelli] [...] nato da un ceppo povero non si è mai assunto atteggiamenti da caporione, ha vissuto la sua parte con orgoglio, ha testimoniato il suo talento più col sacrificio podistico che con la finezza. Anzi, la finezza non sa proprio cosa sia. Egli è un ragazzo toscano poco portato al compromesso e molto virile. Cioè silenzioso e astuto. Piace a Boniperti per queste sue qualità tutte juventine. È uno che si consuma in campo e che non dorme la notte prima di ogni partita.
  • [Su Adolfo Baloncieri] Balon o il pipistrello. Tipo di calciatore inedito per quei tempi! Una mezzala che copriva il campo e legnava audacissimi gol. Un oriundo con cristallini estri nelle sue giocate spazianti. La prima mezzala tutta fosforo. Il Tardelli Anni Venti aggiungo [...]
  • [...] mediano che sa essere mezzala, incontrista e scattista, un eclettico della fatica e del gioco. Ecco, non era pensabile fino a dieci anni fa che un giocatore uscisse dal ruolo quanto ci è riuscito Tardelli. [...] il [...] giocatore più intrepido nei fatti, la cerniera tattica, il paladino degli slanci più sanguigni, l'uragano di istinti e di volontà primordiali a legare i suoi compagni attorno al suo scatto inviperito, al suo piede aquilino.
  • Qual è il ruolo di Tardelli? La domanda è precisa. Non posso scivolare. Tardelli è un difensore di fascia o un mediano di spinta? Tardelli è un propulsore? Rispondo: Tardelli si attaglia al ruolo in cui gioca. Può essere un terzino definitivo o un mediano definitivo, una mezzala da gol o una mezzala da fatica. [...] Il punto è dunque di prendere Tardelli e staccarlo da ogni frase fatta. Egli è il calcio di oggi assolutamente nuovo [...] rispetto al calcio di ieri. [...] un calciatore che non si arrende mai, che scatta e non rifiata, che si dedica con passione alla causa comune, che corre per il compagno, che rischia per il compagno.
  • Parola era il centromediano della rovesciata più popolare della pizza napoletana, ad ogni modo un musicista del calcio difensivo.
  • Salvadore pur di non «aiutare» deliberatamente un compagno, di non rischiare lui la brutta figura, andava a marcare il palo sinistro della porta di Anzolin.
  • Questa è la Juve che raccontai per anni, squadra superiore a tutte nel momento in cui finivano le chiacchiere e cominciavano i fatti.
  • Tardelli non sa giocare che di corsa, accelera, inventa il guizzo, il raptus, il momento medianico.

Cavalli da tiro

Dal Guerin Sportivo nº 25 (494), 20-26 giugno 1984, pp. 30-32.

  • Bagni è come dev'essere. È un'ala che va a fare il mediano di spinta ed un mediano di spinta che va a fare l'ala, oscillando tra questo e quello non si sa ancora esattamente cosa sia, anche se con guizzi, scossoni, contrasti ruinosi, rincorse gagliarde, va a dare un contributo, seppur irrazionale, a tutti i reparti.
  • [Su Gabriele Oriali] Ci affascina la sua semplicità seriosa, la sua incantevole modestia, il suo essere uomo e padre anche nel modo di giocare, di correre, di lottare, voglio dire un atleta sano e puntiglioso. Oriali è l'emblema del calcio lombardo come dev'essere, quando da ragazzi si vive per il calcio, uscendo da un salone di barbiere ed andando a conquistare, col sudore e l'umiltà del facchinaggio, il successo.
  • [Su Renato Zaccarelli] Un rompitore elegante però incisivo, un trascinatore all'occorrenza.
  • [Su Massimo Bonini] Se bastasse correre, se li metterebbe tutti in tasca.

La frusta di Heriberto

Dal Guerin Sportivo nº 2 (522), 9-15 gennaio 1985, pp. 28-31.

  • [Sul miracolo economico italiano] [...] quando l'Italia scoprì d'improvviso di essere ricca, fortunata e felice. E non era vero niente.
  • [Su Renato Dall'Ara] [...] presidente espanso, pieno di bonomia e di arguzia, il quale conosceva come pochi il suo mestiere. Mecenate sì ma fesso no. Ad ogni modo precursore. Cioè organizzatore e manager. Cioè competente.
  • [Su Aldo Olivieri] È il tormento fatto portiere.
  • Sono i giorni dell'italouruguaiano Petrone, compare imbrillantinato, dal dribbling ubriacante e il tiro sconvolgente. In 44 partite giocate tra i viola [...] segnerà 38 gol. Nessuno di testa, perché la testa gli serve per pensare. Il calcio lo risolve con i suoi due piedi, che calzano un paio di scarpe alle quali è affezionatissimo. Proprio prendendo lo spunto da una di queste scarpe che, perso un bullone, non gli era stato rimesso in tempo, Petrone che di nome fa Pedro, faccia larga, colorito olivastro, barzelletta pronta per gli amici, impudico compare, ne approfitterà per tornare ai patri lidi, insalutato ospite.
  • Campionato '73-74. Il mio amico Cestmir Vycpalek non ne azzeccherà una e perderà la panchina. La Lazio-Lazietta pistolettara intrepida di Giorgione Chinaglia, allenata con immensa passione da Zio Tom Maestrelli (distribuiva pure i biglietti ai giocatori, agli amici dei giocatori, agli amici degli amici dei giocatori), riuscirà a fregare la potentissima Juventus di Boniperti, per la soddisfazione immensa di papà Nerone-Lenzini e delle schiere di suoi amiconi in marcia verso il ristorante. Il calcio è come la vita. Chi si distrae è perduto.
  • [...] mai mi pentirò di una riga scritta pro Heriberto [Herrera]. Il paraguaiano, pur con le aberrazioni di una natura fanatica, creò una Juve-squadra seria, consapevole; abiurata la Juve dei rodomonte, i quali si allenavano quando volevano, con il vecchio Monzeglio dalle tasche piene di cioccolatini per i figli dei giocatori. La frusta adoperò Heriberto. La sua fu un'epoca di figli di papà delusi e mortificati; non riconoscevano la «vera» Juve in quella di cursori che si mordevano la coda nel così detto movimento. [...] La Juve prima di Heriberto era una manica di scapestrati. Costui li mise in riga e li allenò, li torchiò, li ammonì. [...] Era una squadra con meno estro dell'Inter, ma disciplinata, con vigore furente. La Juventus che vinse il tredicesimo scudetto, a mio modo di vedere, avviò anche la successiva Juve, quel repulisti generale che portò Boniperti a creare la «sua» Juventus, la prima della storia «collettivo in campo e fuori», tutti pedine, compreso l'allenatore [...]. Nei giorni di Heriberto, la società viveva staccata dalla squadra. Il presidente [...] era un bell'oratore. Quel campionato [1966-1967] fu un continuo arrovellarsi di Heriberto perché la squadra si esprimesse secondo i suoi schemi, che insegnava per ore ed ore, illudendosi che dei calciatori si potessero ricordare tutte quelle astruserie che lui verificava correndo attorno, il pallone abbrancato a quel rostro di petto infossato nella figura di spilungone dagli occhietti neri spiritati.
  • [Sulla Serie A 1966-1967] Ultima giornata di campionato, l'Inter ha quarantotto punti e gioca a Mantova. La Juve ha quarantasette punti ed ospita la Lazio. È la grandissima Inter pluriscudettata. Che debba perdere tutto da questo momento, 1 giugno 1967, nessuno lo può prevedere. [...] Il fatto è che l'Inter campione d'Italia non è ancora guarita psicologicamente dalla sconfitta di Lisbona in Coppa Campioni dove ha ceduto il trofeo continentale al Celtic, prima squadra britannica della storia. Così cade anche a Mantova, gialla foglia autunnale quel rinfacciarsi a vicenda colpe e difetti; quel non essersi ancora recuperati «dentro» all'umiltà che fa più grande il campione e la squadra sono fatali; l'umiltà invece è il carattere della squadra di Heriberto [Herrera]; agli uomini l'ha insegnata lui; non mollare mai. L'Inter è più forte ma nel calcio ci sta tutto. Basta volere, volere, volere, correre, correre. Ho amato la Juve di Heriberto, coi suoi giocatori non straordinari ma generosi, veri. [...] La Juventus batte la Lazio per 2 a 1 nella frenesia di momenti irripetibili. [...] All'Inter sarebbe bastato uno zero a zero miserello, ma un pallone qualsiasi scappò alla presa dei guantoni di Giuliano Sarti che l'anno successivo, pensata non certamente sublime [...], avrebbe giocato – male – nella Juve.
  • [Sulla Serie A 1984-1985] Oggi il Verona è squadra da scudetto per la sua organizzazione a livello di vera azienda, meriti congiunti di dirigenti (Mascetti), tecnici (Bagnoli) e giornalisti. Verona è nata per il calcio. Presto o tardi doveva sbocciare.

Roberto benigno

Dal Guerin Sportivo nº 2 (522), 9-15 gennaio 1985, p. 32.

  • [Su Roberto Bettega] Il coacervo di emozioni di cui ha fatto dono alle folle col suo colpo di testa sonante come il battacchio di una giovane, lucente campana. [...] Il suo gol ruggiva e ruzzolava dall'alto, potente e sapiente.
  • Bodini tanto solo tanto vero. Un portiere non gigante, ma un portiere. La predisposizione al tuffo, al volo, all'uscita. Naturalezza, soprattutto eleganza. Cerco di far capire agli addetti ai lavori che il futuro del ruolo è del portiere non del corazziere. [...] Intanto seguiamo Bodini, erede di Pizzaballa [...]. Merita successo il calciatore e l'uomo.
  • Ammiro Andreotti, lo scrittore e lo statista. Lucidità, ironia, taglio della sua prosa mi sono cari. Quel suo saper scrivere tra le righe terribili verità. [...] Io che non faccio politica ho sempre saputo perché Andreotti dura e convince gli onesti.

Gran Mole di gioco

Dal Guerin Sportivo nº 13 (533), 27 marzo - 2 aprile 1985, pp. 34-37.

  • Il giornalismo sportivo, io penso, deve molto a Ghirelli nel senso di una partecipazione emotiva e pur razionale che ne allargò i confini popolari [...]. Il giornalismo sportivo con Ghirelli fu cultura.
  • Ora mi chiedo quando è nata in Italia la passione vera, spesso accanita, per il calcio. E rispondo che è nata col Grande Torino.
  • Il calcio non è solo divismo, non è tifo alquanto cretino con richiesta di autografo, è resoconto della vita. Questo gioco è emblematico del resto. Uno stortignaccolo può vincere nel calcio come un Adone. Contano le qualità dello spirito, il nerbo, la tempra.
  • [Sul derby di Torino] Il derby era allora una cosa violenta. Parola odiava Mazzola. Si consideravano di due razze. [...] «Era come mettere contro undici cani ed undici gatti».
  • [Su Michel Platini] Il fuoriclasse freddo e sublime, che sa far tutto, che può dominare tutto, divertendosi nella sofferenza generale.
  • Gli schemi standardizzati non esistono nel calcio. Esiste un costume tecnico che via via si evolve.
  • Galassi di nome Alberto, perugino di Todi. [...] Un piè veloce. Io lo apparentavo ad Achille.

La lettera – rubrica[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [...] Napule non è più la stessa quando piove; la provvisorietà bellissima dei suoi palazzi ottocenteschi merlati, delle sue sponde rivolte al mare infinito, si moltiplica. Tutto sembra galleggiare dentro penombre diavolesche e alle quattro del pomeriggio spunta l'atmosfera di certi racconti di Edgar Allan Poe.[16]
  • Boniperti è come Richelieu, non hai mai finito di conoscerlo.[17]
  • [Sul giornalismo sportivo] Amerò sempre [...] tutti quelli che sanno essere sinceri. Ma odio e odierò sempre i superficiali, i vanotisi, i mediocri puttaneschi belli fuori e vuoti dentro, i ritaglieri, che dopo lustri di ritaglieria esibiscono sul quotidiano sportivo quella loro prosa di aria fritta al cubo con continue citazioni statistiche di cacio sui maccheroni, senza mai uno scampolo di originalità, un aggettivo verace, in perenne orgasmo e mai liberati da un'immagine catturante.[18]
  • Da sempre combatto il fuoriclasse idolo-divo-dio. Sono per i gregari, nerbo e cuore della squadra; sono per gli umili.[18]
  • La mia «idea» sul giornalismo sportivo è che deve partecipare all'acculturamento delle masse [...]. Il giornalismo sportivo deve partecipare a mandare sugli spalti tifosi che siano anche sportivi, non dementi che tirino petardi sui giocatori. Per me il giornalismo sportivo è questo. Ed è anche genere letterario. [...] I gerghi e i tecnicismi di tanti miei colleghi che gremiscono i loro resoconti [...] di frasi fatte non mi hanno mai riguardato, e me ne vanto.[19]
  • [Sul secondo dopoguerra in Italia] Appartengo a una generazione tardivamente derubata dal destino di ideali e sogni che parevano marciare al sole e invece marciavano nel fango e nel sangue. Nel precipizio di tutti quei busti del così detto duce, nella polvere precipitammo anche noi adolescenti che la guerra non aveva risparmiato; poveri in canna e disperati ricominciammo come tutti, dove tutti avevano lasciato orme di se stessi; e già i fascisti erano spariti, non se ne trovava più uno nemmeno a cercarlo con fanatismo. I democratici cristiani con in testa il malinconico trentino De Gasperi e i comunisti col molosso dal cuore allegro Togliatti che nemmeno una pallottola ben piazzata riuscì ad accoppare, si spartivano il paese che oggi è ridotto a tocchi. Non si sa se esiste più l'Italia che così tanto amiamo o se sia, come era suo destino da sempre, tanti staterelli superficialmente radunati sotto una bandiera dai tre colori.[20]
  • [Su Gianluca Vialli] [...] guerriero contemporaneo scanzonato e risolutivo, un cremonense fuori da ogni tradizione e divertito dal voler essere principalmente se stesso, un uomo libero, in niente egoista ma tutto considerato nemmeno altruista.[20]
  • Per me il calcio è una parte della vita che conta, porta avanti la salute e il benessere, dà ai diseredati tanta illusione.[21]
  • Mi pare assurdo un giornalismo sportivo sempre così virgolettato e spoglio di idee, di pensieri, di catturanti fantasie, di storia, di contenuti.[21]

Uomini e pupi

Dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 9 (683), 2-8 marzo 1988, p. 73.

  • [...] Maradona è insuperabile. È la fantasia.
  • Luca Vialli ci tiene ad essere ritenuto prima di tutto un bravo ragazzo, ma perché, mi domando? [...] Ma mi faccia il piacere, lasci, abbandoni questa teoria del bravo ragazzo; si lasci, si abbandoni al suo istinto infallibile, i gol che va a segnare la dicono molto più lunga delle sue studiate borghesi viziate parole di aspirante conformista o ipocrita di stato. Dice: gli anticonformisti non durano. Io voglio entrare nella storia del calcio. Ma che significa?! Forse non dire mai quel che si pensa, abundare in frasi fatte, affermare e negare al contempo [...] significa entrare nella storia?! Solo gli ipocriti e i conformisti hanno successo?
  • Io mi tengo stretto Zenga coi suoi umani difetti e la sua sincerità totale. Zenga bauscia mi ricorda l'italiano come deve essere; in un contesto di sorrisi finti, benedico questo sorriso sgherro, di ragazzo-uomo che cerca la felicità impossibile e intanto si parla addosso, si confida, si sente attore e lo dice, non se lo tiene per sé tra quattro mura, dei suoi sfoghi, della sua verità, brutta o bella che sia, ma la sua, non si vergogna, è orgoglioso. [...] Zenga può sbagliare il congiuntivo, ma non sbaglia altro.
  • I bravi ragazzi interessano solo tra i banchi di scuola, e nemmeno.

Hurrà Juventus[modifica]

  • La Juventus per un poveraccio è qualcosa di più di un hobby domenicale, di una ragione di tifo, ma può ipostatizzare un'intera vita, l'illusione di una vita.[22]
  • Qualunque sia la situazione sociale, storica, il ruolo della Juventus non può cambiare. Ruolo perennemente vincente, ruolo glorioso.[23]
  • Tokyo, 8 dicembre 1985. Di questa partita ricordo tutto, è stata sicuramente una delle più belle – tenuto conto del valore che aveva – alle quali abbia avuto la fortuna di assistere. Una sorta di godimento assoluto, anche per gli juventini che l'avranno vissuta con il cuore in gola, com'è comprensibile. Una partita da riproporre spesso a scopo didattico, una sintesi di tutto quello che il calcio può offrire: goal, emozioni, finezze tecniche, errori, tensioni. Una di quelle partite che non si vorrebbero mai veder concluse.[24]
  • [Su Luciano Favero] Vedo un uomo nella sua semplicità, nel suo nero baffo si possono scorgere piccole immense cose del carattere umano; quella consapevolezza di vivere la parte con umiltà in ogni istante, anche facendo i giocatori di successo.[...] Un giocatore adatto alla difesa ma in grado di discese snelle e convergenti. Un difensore tattico mai statico e sempre ricco di slancio. Un campione dell'impegno morale anche la domenica, imperlato di serenità, [...] un campione come ne vorremmo molti, e invece ahimè ne abbiamo pochi così compenetrati nella professione da farne qualcosa di limpido, di vero, prima che qualcosa di tecnico. Prima lo spirito insomma, poi la tecnica. [...] Io penso che Luciano Favero sia il massimo oggi, con pochi altri esemplari, di professionalità.[22]

Citazioni su Vladimiro Caminiti[modifica]

  • Al giornalismo sportivo di oggi, così prevedibile, così senz'anima, così inutilmente presuntuoso, mancano le immagini e gli aggettivi di Camin, il suo sguardo attento e pulito, il suo entusiasmo, la sua cultura. (Darwin Pastorin)
  • Caminiti aveva cuore grande e competenza calcistica, uniti a un caratterino niente male. La sua penna sapeva essere tagliente: se non entravi nelle sue grazie, ogni domenica erano bacchettate. Aveva capacità non comuni come giornalista, i suoi erano pezzi da incorniciare. Un poeta prestato al mondo del calcio. (Sergio Brio)
  • Scrivere era il suo essere, il suo cappotto, la sua nuvola, il suo giardino dei ricordi. Fu il mio maestro, giusto e severo. "Ricordati: comincia sempre il racconto della partita dal verde del prato e dall'azzurro del cielo". Maneggiava gli aggettivi con maradoniana abilità. Sapeva svelare, con due domande, l'anima segreta di ogni personaggio. Fu tenero e feroce, ingenuo e astuto: soprattutto, per noi giovani avvolti di sogni, un esempio. (Darwin Pastorin)

Note[modifica]

  1. a b Citato in Stefano Bedeschi, Gli eroi in bianconero: Virginio Rosetta, tuttojuve.com, 25 febbraio 2022.
  2. Citato in Giuseppe Furino, il mediano con due cuoriche spegneva i campioni: «Ma a Sivori feci un tunnel», repubblica.it, 10 febbraio 2014.
  3. Citato in Stefano Bedeschi, Gli eroi in bianconero: Pietro ANASTASI, tuttojuve.com, 5 aprile 2011.
  4. Citato in Stefano Bedeschi, Renato CESARINI, ilpalloneracconta.blogspot.com, 11 aprile 2022.
  5. Citato in Giuseppe Bagnati, Cabrini, il campione antidivo, gazzetta.it, 19 aprile 2008.
  6. Da Tuttosport, 16 ottobre 1972; citato in Auguri Antognoni, l'uomo che giocava guardando le stelle, sport.sky.it, 1º aprile 2014.
  7. Da Tuttosport, 1989; citato in Francesco Moroni, L'Italia che resiste: storie e ritratti di cittadini controcorrente, Effepi Libri, 2010, p. 114. ISBN 8860020166
  8. Da Scatto matto, Guerin Sportivo nº 27 (395), 7-13 luglio 1982.
  9. a b Da Tecnica e sentimento, Guerin Sportivo nº 34 (452), 24-30 agosto 1983, p. 21.
  10. Da Al casinò esce l'uno, Guerin Sportivo nº 37 (455), 14-20 settembre 1983, p. 14.
  11. Da Un quintale di gol, Guerin Sportivo nº 4 (524), 23-29 gennaio 1985, p. 38.
  12. Da Basta la Parola, Guerin Sportivo nº 9 (529), 27 febbraio – 5 marzo 1985, p. 37.
  13. Da Rosso Nero e Virdis, Guerin Sportivo nº 9 (683), 2-8 marzo 1988, pp. 12-15.
  14. Da Dinomito, Guerin Sportivo nº 23 (697), 8-14 giugno 1988, pp. 24-25.
  15. Da Giocava anche per noi, Guerin Sportivo, 1989.
  16. Sfracelli d'Italia, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 10 (684), 9-15 marzo 1988, p. 41.
  17. Il Fininvest giustifica i mezzi, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 21 (695), 25-31 maggio 1988, p. 90.
  18. a b Libero di non essere un merlo, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 22 (696), 1º-7 giugno 1988, p. 49.
  19. Gli spazza Camin, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 23 (697), 8-14 giugno 1988, pp. 18-19.
  20. a b Faccia di Luca, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 24 (698), 15-21 giugno 1988, p. 16.
  21. a b Emigrand'Italia, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 25 (699), 22-28 giugno 1988, p. 24.
  22. a b Da Hurrà Juventus, gennaio 1986.
  23. Citato in Hurrà Juventus nº 7 (55), luglio 1993, p. 70.
  24. Da La Juventus nella storia, prima puntata: Juventus-Argentinos Jrs. 6-4 (d.r.): Il capolavoro di Platini, Hurrà Juventus, n° 10 [46], ottobre 1992, p. 26.

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