Roberto Beccantini

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Roberto Beccantini (1950 – vivente), giornalista sportivo italiano.

Citazioni di Roberto Beccantini[modifica]

  • [«C'è chi crede che a rubare i campionati sia stata solo una squadra»] Alla fine il campionato è pulito solo se lo vince la tua squadra. Così ragionano quasi tutti i tifosi d'Italia.[1]
  • La Juventus è una figlia di papà. Di papà Agnelli, di Edoardo e di tutta la generazione a venire. La Juve è stata la squadra di Charles, di Sivori, Platini, Baggio, Zidane. Il Torino invece è stato figlio della madre di tutte le sciagure: Superga. Andrei al di là della solita divisione convenzionale di una Juventus aristocratica e di un Torino popolare. Direi che la Juve è la squadra che si è tolta tutti gli sfizi, mentre il Toro spesso è stato costretto a scendere a patti con il destino.[2]

"Un ponte tra epoche, uomini prima di calciatori"

Sulla Juventus a Villar Perosa; intervista di Guido Vaciago, tuttosport.com, 4 agosto 2022.

  • [«[...] dico Villar Perosa, cosa pensi?»] A Villar mio papà era l'unico ospite "laico" dell'albergo della Juventus. Nel senso che una rispettosa amicizia con Boniperti consentiva, a lui tifoso, di soggiornare insieme ai suoi idoli. Era entrato in sintonia anche con Trapattoni e con il suo vice Bizzotto, l'ombra che faceva luce, una pasta d'uomo che ricordo con grande affetto. Papà Mario andava anche all'epoca di Parola, ma era più legato all'epoca trapattoniana.
  • [«Oggi come concepisci il senso di Villar?»] Un viaggio archeologico in un altro calcio. Una rappresentazione sacra in un ambito pagano. Qualcosa che tocca emozioni infantili.
  • So che Villar è ponticello esile, ma vitale, fra il calcio romantico di un tempo e quello di oggi che va troppo veloce. È una giornata che riavvicina giocatori e tifosi, un evento in cui la partitella non conta granché dal punto di vista tecnico, ma con quel contorno e il significato che la famiglia Agnelli ha dato a questo rito è come se una lametta da barba diventasse durlindana. È una scampagnata, qualcosa di simile anche alle feste dell'Unità di quando il segretario del Pci era Berlinguer.
  • [«Villar uguale Agnelli: equazione scontata?»] No, perché nel campetto di Villar Perosa si specchia il miracolo di una proprietà centenaria, caso unico nello sport. La stessa famiglia che di generazione in generazione ha tramandato la squadra e la tradizione. Non è poco.
  • Ho inziato nel 1970 a Tuttosport ma seguivo il basket. Con il calcio ho iniziato nel 1974. Villar per noi cronisti significava Avvocato, nella speranza di avere qualche dichiarazione. Il ritiro [precampionato della Juventus] all'epoca si svolgeva tutto lì ed erano due o tre settimane piuttosto noiose, l'elicottero che atterava era uno dei momento che poteva rendere tutto più elettrizzante. Una leggenda metropolitana che diventava realtà.
  • [«[...] i tifosi delle altre squadre cosa ne pensano secondo te?»] Guardano incuriositi. Magari sorridono, sotto sotto invidiano, perché una cosa del genere è unica al mondo.

Citazioni tratte da articoli[modifica]

  • Heriberto Herrera, alla Juventus, ci aveva provato con il «movimiento», ricavandone uno scudetto (1967) e una Coppa Italia (1965), troppo poco per lasciare tracce che non fossero riccioli d'archivio. Comandavano Inter e Milan, Helenio Herrera e Nereo Rocco. Il «movimiento», così inviso al genio logoro e selvaggio di Omar Sívori, contemplava un'adesione globale alla manovra, assaggio del «totalitarismo» batavo. In assenza di tenori, ma quand'anche ce ne fossero stati, l'orchestra incarnava il fine ultimo, e non un dispotico vezzo. Heriberto, paraguagio di rigida lavagna, passò per pazzo. Viceversa, era in anticipo su convinzioni e convenzioni. Gli mancava la materia prima, non la materia grigia.[3]

Eurosport[modifica]

  • [Nel 2020] Il Mondiale delle notti magiche [...] lo ospitammo dall'8 giugno all'8 luglio del 1990 in un Paese che si inventò il terzo anello di San Siro ed edificò stadi così mostruosi che sarebbero poi stati abbattuti (come il Delle Alpi di Torino) o trascurati (come il San Nicola di Bari). Un'orgia di cemento dai costi esorbitanti, con troppo incenso, troppe ombre e troppi morti sul lavoro. Meglio l'Italia di Azeglio Vicini dell'Italia di Franco Carraro e Luca di Montezemolo, nessun dubbio su questo.[4]
  • Scirea è sempre stato Scirea, in campo e fuori, mai espulso, eppure comandava le barricate, mai un gesto che non fosse normale, quasi noioso. Aveva quel naso a prua che gli indicava la rotta, si sganciava spesso [...], non snobbava i taccuini: semplicemente, non era così ruffiano, così «figliodi», da intortarli. La riservatezza, a volte, arma il coraggio.[5]

Perché Johan Cruyff è stato il "padre" del calcio moderno

eurosport.com, 18 marzo 2020.

  • Per dirvi chi era: prendeva la palla come se fosse un confetto e, con un colpo di acceleratore, la trasformava in una pallottola. Come Picasso ha cambiato la pittura, così Johan Cruijff ha cambiato il calcio. Lo sradicò dall'ovvio, lo portò nell'insolito.
  • Il calcio prima di lui non era necessariamente brutto o mediocre. Era, semplicemente, diverso. C'era il Real di Alfredo Di Stéfano, lo squadrone delle cinque Coppe dei Campioni; c'era il Benfica di Eusébio, c'erano Milan e Inter, e proprio il Milan di Gianni Rivera, nella finale del 1969, gliene rifilò quattro. C'erano gli eccessi piccanti di George Best, il quinto Beatle, e poi, d'improvviso, saltò fuori lui, «il profeta del gol», secondo la definizione di Sandro Ciotti. Portava il quattordici, dribblava verticale, in agilità, tirava di destro e di sinistro, s'imboscava e s'impennava. Dava ordini, metteva ordine. Stava nascendo, attorno al suo genio paradossalmente elettrico, il calcio totale. Quel calcio che, all'alba dei Settanta, avrebbe spaccato le convinzioni e demolito le convenzioni. Tutti per uno e uno per tutti.
  • «Falso nueve» di posizione, Cruyff segnava, faceva segnare e sognare, soprattutto. Se Pelé e Diego Maradona hanno aggiornato la storia del calcio, e Di Stéfano l'ha cambiata sul piano individuale, moltiplicandosi, Johan l'ha sabotata a livello filosofico. Gioco corto, dal quale Pep Guardiola, allievo devoto, avrebbe ricavato il tiki taka dell'ultima svolta; zona, pressing, libero attacco in libera squadra. Essendo stato tutto, tutto pretendeva.

La Stampa[modifica]

  • [Sulla finale della UEFA Champions League 2002-2003] Certo, la crudeltà dell'epilogo (attenzione: la crudeltà, non l'ingiustizia) farà scorrere fiumi di rimpianti e di rimorsi. Tortura dei rigori a parte, e comunque anche nel batterli ci vuole occhio, gli sprazzi più gradevoli li aveva offerti proprio il Milan. Resta il risultato, resta, soprattutto, uno zero a zero sul quale già inglesi e spagnoli si stanno dando di gomito: ah, questi italiani, parlano parlano e poi vigliacchi se si ricordano di tirare in porta.[6]
  • [Dopo il "caso Iuliano-Ronaldo" in Juventus-Inter 1-0 del 26 aprile 1998] Il rigore su Ronaldo era netto. Iuliano si disinteressa del pallone e va, con il corpo, a sbattere sul brasiliano. Piero Ceccarini, livornese, si astiene. Saranno pure episodi, ma sono episodi pesanti, e per niente isolati. Il gol di Bianconi, il gol di Bierhoff. Non si può dire che, nel corso della stagione, la classe arbitrale abbia preso di petto la Juventus. Tutt'altro. [...] L'odierno Del Piero, e il cemento della squadra, meriterebbero epinici di ben altro tenore. Ma non si può rimanere indifferenti di fronte a coincidenze così singolari e, permettetecelo, così "nutrite". La Juve è, e deve essere, forte di suo. A certi eccessi si arriva quando comincia a serpeggiare il sospetto che le regole non siano uguali per tutti. O comunque, che per alcuni siano più uguali che per altri: come i maiali della Fattoria orwelliana. [...] La misura è colma. La stessa Juve — o, almeno, quella costola di Juve meno faziosa — faticherà a celebrare l'immanente titolo, venticinquesimo della storia, se questo è il prezzo non da pagare, ma da far pagare. Avremmo voluto dilungarci sui voli spericolati di Peruzzi e Pagliuca, sui passi di danza di Del Piero, sulle sgommate di Ronaldo. Peccato.[7]
  • [Sul campionato di Serie A 1997-1998] Non ricorderemo questo campionato come il più limpido (in testa è successo di tutto, in coda sta succedendo di peggio), e questo scudetto come il più smagliante. Questione di gusti. Nei momenti topici, la Juventus ha goduto di generose sviste arbitrali. [...] Riconoscerlo non significa sminuire i meriti, ma rispettare la realtà, gli avversari, i tifosi (quelli veri). [...] La Juventus è un colpo di forbice, un taglio netto e profondo sulla pelle del tifo. O con lei o contro di lei. Solleva passioni, alleva rancori, semina invidie: che, non di rado, sono un tributo al merito. Per quanto possa essere stata spinta, l'energia e gli stimoli li ha sempre prodotti e moltiplicati dall'interno. Protagonista in Italia e in Europa. Da quattro anni è così. Troppi, per buttare tutto in congiure e porcherie.[8]

Grazie Milan, questo è il calcio

La Stampa, 19 maggio 1994, p. 31.

  • Quattro a zero al Barcellona di Cruyff, Romario e Stoichkov, al Barcellona dei 91 gol in campionato, ai nuovi interpreti del calcio totale. Il più straordinario Milan di tutti i tempi rovescia il pronostico, schianta un monumento e alza, nel delirio dei tifosi, la quinta Coppa dei Campioni della sua storia, la terza di Berlusconi, la prima di Capello, osannato come e più dell'Arrigo ai tempi d'oro.
  • Capello si beve Cruyff. Il Milan schiaccia i catalani in ogni settore. Nessuno si accorge che Baresi, Costacurta e Van Basten sono in tribuna e non in campo. La ripresa si apre nel segno di Savicevic. Un gol straordinario. Dejan ruba palla a Nadal (gamba tesa?), e dal limite dell'area, tutto spostato sulla destra, scavalca l'amletico Zubizarreta con un drop di sinistro da orgasmo puro. La gente del Milan non sta più nella pelle. Nadal, suonato, sfiora l'espulsione sulle caviglie di Savicevic. Cruyff è in barca (bi minuscola).
  • Savicevic, scatenato, centra il palo al 13' e nel giro di un minuto, ecco Desailly schizzare al di là di difensori ormai allo sbando e calare il poker. Di Romario, Stoichkov e Koeman, patetici naufraghi, non si hanno notizie da un pezzo.
  • La doppietta scudetto-Coppa Campioni porta il Milan al livello dell'Inter etichetta 1965, quella targata Helenio. Le lacrime di Fabio Capello introducono l'apoteosi. Tre scudetti su tre e una Coppa su due: e gli davano del passista...

Beck is Back – blog[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [Sul campionato di Serie A 2014-2015] Sembrano tutti dovuti, gli scudetti della Juventus. Come se il censo degli Agnelli bastasse, da solo, a produrli, a giustificarli. Invece no. Ognuno ha la sua storia, il suo fascino. Questo è il trentunesimo, il quarto consecutivo (anche per la Clinica, inaugurata il 7 novembre 2011), il primo di Massimiliano Allegri, sul Conte del quale ero molto scettico. [...] D'accordo, la concorrenza non era straordinaria, ma la Juventus l'ha resa ancora più piccola. [...] Soltanto una società «con le palle» poteva passare dal tribolato quadriennio post Calciopoli (terza-seconda-settima-settima) a un'esplosione così fragorosa: prima-prima-prima-prima. Questo scudetto ha confermato, inoltre, la centralità del club (Andrea Agnelli, Beppe Marotta, Fabio Paratici, Pavel Nedved): sembrava che, perso Conte, sarebbe crollato tutto. Non mi risulta.[9]
  • [Sul campionato di Serie A 2020-2021] Era stata l'Inter, negli anni Trenta, a conquistare l'ultimo scudetto prima del quinquennio di Edoardo Agnelli. È l'Inter, ancora lei, ad aggiudicarsi il primo dopo il novennio del nipote Andrea. [...] L'Inter era rimasta al Triplete di Mourinho, alle coppe di Benitez e Leonardo. A un Moratti sazio, a un Thohir in transito. Fino, improvvisamente, ai cinesi di Suning, a una lontananza che spesso abbiamo definito canaglia. Fino a Beppe Marotta e Antonio Conte. La chiave di volta, e di svolta. Costole juventine in una società che viveva della pazzia raccontata dall'inno e dalla storia, il romanzo di Ronaldo il fenomeno, delle foglie morte di Mariolino Corso, del circo di Alvaro Recoba. È il diciannovesimo titolo, tavolino compreso.[10]
  • [Su Gianluca Vialli] In un calcio di fighetti, è stato un «guerriero borghese». Trascinava i compagni, sfiancava gli avversari. La Cremonese di «papà» Domenico Luzzara, il giardino incantato della Sampdoria e dei «sette nani», sotto la regia di Paolo Mantovani, Paolo Borea, Vujadin Boskov e Narciso Pezzotti, con Roberto Mancini a fargli da gemello, coppia di «fatti» che la storia avrebbe agghindato come un albero di Natale. Poi la Juventus di Giampiero Boniperti, altro presidente di una volta, che lo aveva smarrito per una dritta errata (e recuperato a suon di miliardi). Quindi l'irruzione della Triade, la saudade genovese che diventa adrenalina. Non legò col Trap, fu Marcello Lippi a ricaricarlo. La finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley con la Samp, anche per colpa sua (come avrebbe confessato) ma soprattutto per la bomba di Ronald Koeman, segnò un confine drastico, profondo. Finiva la scapigliatura. Cominciava il servizio «militare». Juventus, Chelsea, tra i primi a esplorare la Premier, giocatore allenatore, scudetti (quello, mitico, del Doria), Champions (da capitano juventino, nel '96), coppe su coppe [...] In Nazionale furono più spine che rose. Totò Schillaci gli rubò la vetrina delle notti magiche; Arrigo Sacchi, fondamentalista, ne spense il fuoco azzurro. Succede, quando l'io diventa ego. Fine dicitore, Gianluca lo è stato soltanto dopo, da opinionista tv di Sky, scrittore di libri [...] e dirigente accompagnatore, erede di un certo Riva, Gigi. Non in campo. Lì era un belva. Uno scultore, non un pittore. Uno che assestava martellate davanti, non coltellate dietro. Uomo d'area e di mondo. Che non tradì il Mancio neppure per Roby Baggio. [...] Il destino lo marcava stretto, come i rudi stopper con i quali faceva a botti, se non a botte. Rispettoso, rispettato, gli piaceva guadagnarsi la pagnotta. Non era un santo, non era un eroe. Era tosto, era vero, era scaltro. Non ci sono parole, se non queste di Joe Louis, il «bombardiere nero» dei pesi massimi: «Ho fatto il meglio che potevo con quello che avevo». Gli sarebbero piaciute.[11]
  • [Su Davide Astori] Era il capitano della Fiorentina. Era un pezzo di pane che il ruolo di difensore costringeva a essere di ferro. Quando scocca il minuto 13, il numero di maglia che portava, il Franchi si ferma. Caschi il mondo. Applausi e tutti in piedi.[12]
  • Fu proprio a Istanbul che vidi la finale più folle. Era il 25 maggio 2005: Milan-Liverpool. Forse perché eravamo sospesi tra due continenti, e dunque in posizione ambigua, forse perché il calcio è «loco» [...], o forse perché qualcuno (non solo il destino, però) si distrasse: fatto sta che dal 3-0 del primo tempo si passò – in una manciata di minuti – al 3-3 della ripresa. E poi ai rigori, sui quali si arrampicò l'improvvisa aureola di Jerzy Dudek, «santo durante»: la più influente delle categorie di beati. Polacco come papa Karol Wojtyla: pure lui, in gioventù, portiere. Morale: il Milan di Carlo Ancelotti controllò la sfida per 120 minuti meno sei. Il Liverpool di Rafa Benitez fu più umile ad accettarne il magistero e più freddo al tie-break dei penalty. [...] Lo sapete. Successe l'inverosimile. Eupalla diede un calcio nel sedere ai fissati della logica e puntò dritto alla Bastiglia delle lotterie. E così il mar Rosso invase il mar di Marmara. Un vento forte, rissoso, accompagnò la premiazione e scortò il vuoto del dopo. Ero rimasto lassù, solo, a sfumazzare un mezzo toscano. Volavano cartacce, bicchieri di carta, cuscini con i colori dei vinti e dei vincitori.[13]
  • Silvio Berlusconi è stato un politico di destra che, nel calcio, ha fatto una rivoluzione di sinistra. Scrivere di sinistra farà sorridere, ma deve far meditare. «Di sinistra» nel senso di svolta estetica, di visione ricca di sostanza, e non unicamente di sostanze, di ville o di scandali. In smoking e non in jeans. Di gioco e non banalmente di giochi. Di faccia e non semplicemente di facciata. [...] Il Milan di Silvio. Quando lo presentò all'Arena, tra cavalcate delle Valchirie ed elicotteri battenti, ci demmo di gomito, ridemmo di lui, e non solo con lui. Ci sembrava, pur così Paperone e così bauscia, il comandante dell'esercito di un atollo piccolo piccolo. Prossimo a essere inghiottito dall'alta marea della presunzione, dell'arroganza, della concorrenza. Viceversa, era l'ammiraglio della Sesta flotta. Il suo Milan. Quel Milan. [...] Sua Emittenza straparlava di mission, di spettacolo, di «giuoco» avvolgente e divertente, di vincere e convincere. Fu di parola. Il Milan di Arrigo (Sua Intensità), il Diavolo di capitan Franco Baresi e Paolo Maldini [...], l'orchestra dei tre olandesi [...]. Gli piaceva l'informazione, faceva le formazioni, e prima di credersi Dio – in anticipo su coloro che tale lo avevano considerato fin dalle epifanie di Milanello – ha segnato e trasfigurato lo sport. [...] L'Europa e il Mondo si inginocchiarono, rapiti. Noi, naturalmente, ci scannammo: chi coglieva, in quella cesura, la scintilla dell'idea; e chi, viceversa, il profumo, il colore e il peso dei soldi. Esclusivamente quelli. Perché sì, come gli emiri oggi, Silvio spendeva e spandeva: solo che le figurine dei suoi album rispondevano non tanto ai capricci del caudillo, ma anche a un progetto condiviso con l'allenatore. Carica e ruolo che il Berlusca ha spesso avocato a sé. Era il calcio dei ricchi, il suo. [...] Potevano costruirlo tutti, quel Milan lì, voglio dire una squadra così diversa, così lontana dallo zoccolo filosofico del Paese. Così di rottura. Lo edificò lui.[14]

Note[modifica]

  1. Dall'intervista di Roberto Santilli, Beccantini, il cantore della Juve. Calciopoli? Fu una guerra tra bande, abruzzoweb.it, 2 maggio 2012.
  2. Dall'intervista Il Toro, un figlio della sciagura, Cattolica News, 5 dicembre 2006.
  3. Da La Ternana anni 70 di Viciani, piccola Ajax de noantri, La Gazzetta dello Sport, 11 luglio 2013.
  4. Da Le notti magiche (meno una) compiono 30 anni: un Mondiale di confine (non solo per Schillaci), eurosport.it, 1º giugno 2020.
  5. Da Raccontare Gaetano Scirea ai giovani: un "libero" signore e un signor "libero", eurosport.it, 25 maggio 2020.
  6. Da La scommessa dei rigori, La Stampa, 29 maggio 2003, p. 1.
  7. Da I sospetti e gli errori, La Stampa, 27 aprile 1998, pp. 1, 25.
  8. Da E ora la Coppa, La Stampa, 11 maggio 1998, pp. 1, 25.
  9. Da Infinita Juventus , beckisback.it, 2 maggio 2015.
  10. Da C'era una volta la pazza Inter, beckisback.it, 2 maggio 2021.
  11. Da Vialli, un guerriero borghese, beckisback.it, 6 gennaio 2023.
  12. Da Davide e i suoi Golia, beckisback.it, 4 marzo 2023.
  13. Da Finalmente, «la» finale, beckisback.it, 9 giugno 2023.
  14. Da Silvio, c'era una svolta, beckisback.it, 12 giugno 2023.

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