Alphonse Daudet

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Alphonse Daudet

Alphonse Daudet (1840 – 1897), scrittore francese.

Citazioni di Alphonse Daudet[modifica]

  • Il romanzo è la storia degli uomini e la storia il romanzo dei re.[1]
  • Su quante biblioteche di persone private, come sulle bottiglie del farmacista, si dovrebbe scrivere: "Solo per uno esterno"! [2]

Il nababbo[modifica]

Incipit[modifica]

Ritto sulla scalinata della sua piccola casa di via Lisbona, rasato di fresco, con gli occhi brillanti, con un sorriso di soddisfazione sulle labbra, coi lunghi capelli, che cominciavano a diventar grigi, sparsi sull'ampio bavero dell'abito, quadrato di spalle, robusto e sano come una quercia, l'illustre dottore irlandese Roberto Jenkins, cavaliere del Medjidjiè e dell'insigne ordine di Carlo III di Spagna, membro di parecchie società scientifiche, fondatore e presidente dell'Opera di Betlemme, Jenkins insomma, lo Jenkins delle pillole Jenkins a base di arsenico, cioè il medico di moda del 1864, l'uomo più occupato di Parigi, stava per salire in vettura una mattina verso la fine di novembre, quando una finestra s'aprì al primo piano sul cortile interno della casa, e una voce femminile domandò timidamente:
«Ritornerete per la colazione, Roberto?»

Citazioni[modifica]

  • Vi è nella giovinezza un ardore, un bisogno di entusiasmo che al minimo tocco si sveglia.
  • Il sogno è la valvola attraverso cui tutto ciò evapora con bollori febbrili, con un vapore da fornace e con immagini fluttuanti subito dileguantisi. Da codeste visioni alcuni escono raggianti, altri, storditi, sconcertati di ritrovarsi nella realtà di tutti i giorni.
  • La vera famiglia si trova tra gli umili.

Jack[modifica]

  • Evaristo Moronval, avvocato e letterato, era stato condotto a Parigi nel 1848 dalla Pointe-à-Pitre come segretario di un deputato della Guadalupa.
    Allora era giovane di venticinque anni, pieno d'ambizione e d'appetito, non senza istruzione e intelligenza. Privo di beni, aveva accettato quell'officio di dipendenza per farsi spesare nel viaggio, e poter giungere a quella terribile Parigi la cui fiamma è tanto forte che la gente, a guisa di farfalla, vi è tratta fin dalle colonie. Messo appena il piede a terra, volse le spalle al suo deputato. Fece alcune conoscenze, e si slanciò subito nella politica parlante e gesticolante, sperando di riuscir bene come oltremare. Ma egli aveva fatto i suoi conti senza la sicumena parigina, e senza quel maledetto accento da creolo, che non aveva mai potuto smettere, malgrado ogni suo sforzo. Egli parlò la prima volta in pubblico in un processo di stampa, fece, contro tutti quei «miseabili conisti che disonoavano la letteatua», una violenta tirata, la quale destò le più grasse risa nel pubblico, ed allora il povero «Evaisto Moonval» si accorse della difficoltà che avrebbe incontrata a farsi un nome da avvocato. (p. 44-45)
  • L'arte è una gran maga! Essa crea un sole che splende per tutti come per l'altro e coloro che vi si avvicinano, anche i poveri, anche i contraffatti, anche i ridicoli gli rapiscono un po' del suo calore, un po' dei suoi raggi. Questo fuoco del cielo imprudentemente rapito, che i ratés raccolgono nel fondo delle loro pupille, li rende talvolta terribili, più spesso ridicoli; ma la loro esistenza ne ritrae una serenità grandiosa, un disprezzo del male, una grazia a soffrire sconosciuta agli altri miserabili. (p. 84)

Incipit di alcune opere[modifica]

Lettere dal mio mulino[modifica]

Sono stati i conigli i più sorpresi! Dopo tanto tempo che vedevano la porta del mulino chiusa e i muri e la terrazza invasi dalle erbe, avevano finito per credere che la razza dei mugnai fosse estinta, e, trovando il posto confortevole, ne avevano fatto qualcosa come un quartier generale, un centro di operazioni strategiche: il mulino di Jemmapes dei conigli...[3]

Tartarino di Tarascona[modifica]

La prima visita ch'io feci a Tartarino di Tarascona è rimasta nella mia vita una data incancellabile: sono passati dodici o quindici anni da quel giorno e la ricordo ancora come un fatto avvenuto ieri.
L'intrepido Tartarino abitava, all'entrata della città, la terza casa a destra sulla strada di Avignone. Una graziosa casetta tarasconese, col giardino davanti, un terrazzino dietro, le mura bianche e le persiane verdi: sulla porta una nidiata di ragazzi savoiardi che giuocavano alla bella insalatina, o addormentati al sole colla testa appoggiata alla loro cassetta da lustrascarpe.
Una casa che non lasciava trasparire nulla al di fuori.
Chi avrebbe detto di trovarsi dinanzi alla dimora di un eroe?

Tartarino sulle Alpi[modifica]

Il giorno 10 di agosto 1880, all'ora leggendaria del tramonto sulle Alpi, così altamente vantata dal Baedeker, una nebbia gialla impenetrabile, complicata da una tormenta di neve mulinante, avvolgeva con impeto la vetta del Rigi (Regina Montium) e l'albero gigantesco così fantastico a vedere nella nudità solenne di quelle cime. Il Rigi-Kulm, massiccio come una fortezza, vetrato come un osservatorio, dove sostano per un giorno ed una notte le carovane in adorazione del sole.

Note[modifica]

  1. Da Souvenirs d'un homme de lettres; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  2. Citato in Guido Almansi, Il filosofo portatile, TEA, Milano, 1991.
  3. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Bibliografia[modifica]

  • Alphonse Daudet, Il nababbo, traduzione di Lea Samoggia, Casa Editrice Bietti, Milano 1938.
  • Alphonse Daudet, Jack, Casa Editrice Sonzogno, Milano 1940.
  • Alphonse Daudet, Tartarino di Tarascona, traduzione di Aldo Palazzeschi, Einaudi, 1987.
  • Alphonse Daudet, Tartarino sulle Alpi, traduzione di Aldo Palazzeschi, Mondadori, 1968.

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