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Jacob Burckhardt

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Jacob Burckhardt

Jacob Burckhardt (1818 – 1897), scrittore, storico e critico d'arte svizzero.

Citazioni

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  • [Friedrich Nietzsche] È un uomo straordinario; su ogni cosa egli ha una sua propria idea, conquistata da se stesso.[1]
  • [...] fra tutti coloro che s'immaginavano di poter costruire uno Stato, il Machiavelli è senza paragone il più grande. Egli usa delle forze esistenti come di forze vive ed attive, le alternative che ci pone dinanzi sono giuste e grandiose, e non cerca mai d'illudere né sé stesso, né gli altri.[2]
  • La grande sventura ha avuto inizio nel secolo scorso, principalmente per opera di Rousseau, con la sua teoria della bontà della natura umana. La plebe e gli intellettuali ne hanno distillato la dottrina di un'età dell'oro, che non avrebbe mancato di giungere, sol che si fosse lasciato dominare l'elemento nobile dell'umanità. Come sanno anche i bambini, la conseguenza fu una completa dissoluzione del concetto di autorità nelle menti dei comuni mortali, e si è periodicamente caduti preda della violenza pura. Negli strati intellettuali delle nazioni occidentali, frattanto, l'idea della bontà naturale si era trasformata in quella del progresso, ossia del guadagno e del comfort assoluto, pacificando la coscienza con la filantropia. Ma ieri l'altro la Prussia vittoriosa si è vista costretta a proclamare lo stadio d'assedio a königshütte.[3]
    L'unico rimedio possibile sarebbe che finalmente l'insensato ottimismo scomparisse dalle menti dei grandi e dei piccini. Neppure il nostro cristianesimo attuale è all'altezza di questo compito, perché, da cent'anni a questa parte, si è troppo compromesso con tale ottimismo. La trasformazione deve venire e verrà, ma Dio sa dopo quante sofferenze. (dalla lettera a Friedrich von Preen da Basilea, 2 luglio 1871[4]; con diversa traduzione, di Luca Farulli, in Sellerio 1993, pp. 180-181.)
  • [Sull'Altare di Pergamo] La scoperta ha il carattere di una eruzione, accanto alla quale, tutte le rappresentazioni delle divinità avute finora, appaiono da un punto di vista formale, inanimate e moderate; inaspettata forza, ancora in serbo, del greco sentire e della loro arte. Perché affiora sempre il pensiero a Rubens, come a quel narratore che supera tutti i precedenti narratori in forza e ricchezza? [...] Accanto ai supremi mezzi dell'arte, il fascino più completo di una improvvisazione di pari potenza, per cui io penso al progetto di un maestro. [...] Il maestro gode dei movimenti che giungono dal profondo interno della figura e sono al contempo della più grande bellezza ottica. Non si tratta certo di Eἶδος, ma di profondo Πάθος, e di qual genere! (dagli appunti manoscritti delle lezioni di Burckhardt sull'arte antica[5])

Attribuite

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  • La nazione vuole soprattutto potere. Il modo di vita del piccolo Stato viene aborrito come condizione d'infamia. [...] Si vuole appartenere a qualcosa di grande e così si rivela chiaramente che il primo fine è la potenza e che la cultura è solo un fine secondario. Più in particolare, si vuol far valere verso l'esterno la volontà collettiva, a dispetto di altri popoli. (primi anni 1870; citato in Giardina, Sabbatucci, Vidotto, Storia 1650 – 1900, Laterza)
  • La religione è il legame principale dell'umana civiltà, in quanto solo essa è sufficiente custode di quelle condizioni morali che tengono unita la società. (da Riflessioni sulla storia universale, p. 139)

Il cicerone

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  • Il naturalismo moderno stricto sensu comincia nel modo più crudo con Michelangelo Amerighi da Caravaggio ... Il suo pensiero è di mostrare allo spettatore che i fatti sacri del principio dei tempi si erano svolti propriamente allo stesso modo che nei vicoli delle città del sud verso la fine del XVI secolo. Egli non tiene in onore che la passione, per la cui interpretazione veramente vulcanica egli possedette un grande talento. E questa passione, espressa in caratteri energici, schiettamente popolari e qualche volta altamente impressionanti, rappresenta poi il tono fondamentale della sua scuola. (da Der Cicerone, 1855; citato in Francesca Marini, 2003, pag. 185 - 186)
  • [Sulla Villa del Principe] Come costruzione di libera fantasia, senza composizione rigida, con le sue logge ariose alle estremità e con le terrazze pensili sui portici sporgenti nel giardino, esso ha un fascino meridionale non superato forse da alcun altro palazzo italiano. (p. 379)
  • [Sulla Basilica di Santa Maria Assunta] L'interno, che fortunatamente e — speriamo — intenzionalmente non ha colori, è una costruzione di una meravigliosa armonia che riempie l'animo di puro benessere. Quattro volte a botte, una cupola centrale, quattro cupole angolari ed una tribuna, il tutto poggiante su pilastri con un ordine di paraste corinzie (purtroppo di forme troppo pesanti); la più elevata unione di ricchezza e semplicità; lo spazio racchiuso sembra più grande di quello che è. - L'insieme è in fondo quello di una costruzione dovuta ad un entusiasmo puramente estetico per le forme architettoniche in sé e sarebbe adatto per qualsiasi altro scopo ideale in luogo del servizio religioso. (p. 382)
  • La più bella fra tutte le sue [di Galeazzo Alessi] residenze estive e le sue ville era il Pal. Sauli (Borgo S. Vincenzo). In occasione di viaggi precedenti l'Autore vide questa costruzione nel più profondo decadimento, ma conservata ancora nelle sue forme essenziali. Nel marzo del 1853 egli la rivide in procinto di essere abbattuta e per l'ultima volta gli fu concesso di ammirare il meraviglioso cortile a logge, nel quale con i mezzi più semplici e su di uno spazio ristretto era stato ottenuto un effetto di straordinaria ricchezza grazie alla sola disposizione delle parti. Già al principio del '700 i nuovi proprietari avevano trasformato il palazzo in un obbrobrio architettonico. Il Governo Sardo non ne ha colpa; le autorità municipali di Genova, che a poco a poco si sta americanizzando, avrebbero dovuto impedire questo scempio. (p. 383)
  • Resta ancora una residenza estiva: la villa Pallavicini tra Acquasola e il così detto Zerbino, sulla salita a S. Bartolomeo. In posizione isolata, sopra un giardino ad alte terrazze, sopra un giardino ad alte terrazze, con logge rientranti nel centro e con una balaustrata meravigliosamente traforata in alto, questa costruzione è d'un effetto brillantissimo e non ci si rende subito conto che esso è dovuto ad una molto saggia economia nell'uso dei mezzi, alla semplice e bella scompartizione dei piani, all'avvedutezza nel servirsi dei pilastri dei due ordini (ionico e corinzio) che solo sui fronti principali sono scanalati e solo nelle parti più importanti sono adoperati con abbondanza. (pp. 383-384)
  • Ma il grado più alto ed ingentilito dello stesso tipo di cortile lo troviamo soltanto nel Pal. dell'Università (via Balbi) [...] Alla facciata assai degenerata segue inaspettatamente un cortile che la fantasia difficilmente potrebbe immaginare più ricco e bello; in seguito al raddoppiamento delle colonne gli intervalli assumono tutti un aspetto più leggero e l'insieme diventa più ricco; il portico in basso ha logge sui fianchi e non è così esteso come nell'altro palazzo, la visione nel cortile sovrastante è invece più libera; la scala a doppia rampa che si svolge nel fondo del cortile, sembra sperdersi in ariose altezze. (pp. 384-385)
  • Una grande esibizione della scienza anatomica è costituita dal San Sebastiano del Puget nella chiesa di Santa Maria di Carignano a Genova; il povero santo è obbligato a torcersi tutto per lo strazio, acciocché l'artista possa tirare fuori dal suo corpo cose mai viste in fatto di forme anatomiche. (pp. 764-765)
  • Il soggetto di gran moda è costituito da San Sebastiano, che è nudo e tuttavia è un santo. Il Puget (S. Maria di Carignano a Genova) assolse il compito di rappresentarlo in un modo del tutto degno del naturalismo senza ritegno del suo tempo. Sino ad allora, pittori e scultori avevano tralasciato del tutto di rappresentare le sofferenze corporee del santo (in quanto lo raffiguravano soltanto legato, ma non colpito dalle frecce), oppure lo avevano rappresentato colpito, ma dignitoso nel dolore; qui invece San Sebastiano si contorce come un verme per lo spasimo. (pp. 769-770)
  • In S. Donato a Genova (al principio della navata sin.) uno dei suoi [di Quentin Messys] capolavori: una ricca Adorazione dei magi, sui laterali S. Stefano con un donatore e la Maddalena, con sfondo paesistico nel genere del Patenier. Qui, come sempre nelle opere del Messys, la durezza degli antichi Fiamminghi si scioglie e diventa grazia soave dei lineamenti e dei movimenti; i volti sono pallidi, come liberati da un incubo, col sorriso della convalescenza; i colori perdono la luce cristallina di prima e diventano morbidi nei paesaggi e nei riflessi; l'amore per il particolare prezioso si rivolge a nuovi problemi, p. es. alla riproduzione perfetta di certe materie, come le colonne di diaspro, l'oro dei gioielli ecc. (pp. 930-931)
  • Si distacca da essi il solitario Luca Cambiaso (1527 - circa 1585) che per virtù propria e senza conoscere né il Moretto né Paolo Veronese, raggiunse un risultato almeno approssimativamente somigliante; un naturalismo piacevole e raffinato che si prestava anche, e degnamente, all'espressione d'una più alta vita spirituale. Il suo colorito è di solito armonioso e limpido; soltanto nel suo ultimo periodo, quando anche la sua genericità viene meno, i colori diventano più sordi. La sua Madonna è un'autentica popolana genovese, gentile ma di forme per nulla ideali, il Bambino ingenuo e ben mosso, i santi pieni di un intimo sentimento. (p. 1090)

Lettere (1838- 1896)

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  • Vi è stato un tempo in cui consideravo il giuoco della fantasia come il più alto requisito della poesia; da quando però io devo collocare ad un gradino ancora più alto lo sviluppo di stati spirituali od interiori in genere, trovo allora il mio appagamento nella storia, la quale ci presenta tale sviluppo in fasi di due generi diversi, che decorrono parallelamente, si intrecciano senza tregua e sono anche identiche; penso allo sviluppo del singolo e allo sviluppo del tutto; vi aggiungo inoltre la brillante storia esteriore quale veste dagli splendenti colori dell'autentica guida del mondo e giungo così alla antica, spesso non compresa frase: che nostro Signore Iddio sia il più grande di tutti i poeti. (dalla lettera a Friederich von Tschudi da Berlino, 16 marzo 1840, p. 70)
  • La storia è e resta per me poesia in massima scala; ben inteso, io non la considero, per così dire, in modo romantico-fantastico, cosa che non porterebbe a niente, ma quale meraviglioso processo di metamorfosi e di nuovo, perennemente nuovo svelamento dello spirito. Mi arresto a questo liminar del mondo e tendo le mie braccia verso l'origine di tutte le cose, e con ciò per me la storia è pura poesia di cui ci si può impadronire con la contemplazione. Voi filosofi, al contrario, procedete oltre: il vostro sistema irrompe nelle profondità del segreto del mondo e la storia è per voi fonte di conoscenza, una scienza, poiché vedete o credete di vedere in essa il primum agens, quando invece per me essa è mistero e poesia. (dalla lettera a Karl Fresenius da Berlino, 19 giugno 1842, p. 88)
  • E guarda, persino qui, quando me ne sto nella mia stanzetta (abito vicino alle Quattro Fontane, all'ultimissimo piano, in una posizione magnifica che domina mezza città), il mio amico Tritone gorgoglia con la sua acqua giù in Piazza Barberini e mi trascina ad un amichevole colloquio a due alla finestra del balcone, da dove io riesco con un unico sguardo a vedere Roma, dal Pantheon passando per San Pietro, Castel Sant'Angelo, Trinità dei Monti, Villa Ludovisi fino ad arrivare a Palazzo Barberini [...]. Anche solo la veduta che godo, in particolare i tramonti su Monte Mario, fa impazzire da come è bella. E poi questa colorata, possente Roma, che ricaccia indietro i miei poveri pensieri quando questi fanno capolino! (dalla lettera a Gottfried Kinkel da Roma, 18 maggio 1846, pp. 124-125)
  • Il prossimo inverno, a meno[6]che non succeda chissà cosa, riparto per Roma. Voglio ancora farmi una bevuta da questo calice incantato e ricoperto d'oro; la primavera che sonnecchia in me sotto il ghiaccio tornerà a fiorire. (da una lettera a Hermann Schauenburg da Berlino, 22 marzo 1847, p. 133)
  • Ci credi, se ti dico che la domenica esco mal volentieri a passeggio, solo per non incontrare berlinesi en masse? I tre quarti di questi volti sono inaciditi e avviliti, gli altri ingrassati a forza di filisteismo. Roma è certo anche povera, ma quale bellezza, chiarezza ed espressività in quei volti! Alcuni sono magri, certo segnati dagli anni e consumati dalle intemperie, ma tutto ha un che di deciso, fermo, non c'è niente di a priori scrofoloso, molliccio, informe. (dalla lettera a Edward Schauenburg da Berlino, 25 marzo 1847, p. 136)

Citazioni su Jacob Burckhardt

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  • L'importanza di Burckhardt non si limita al fatto di essere stato tra i primi a rendersi conto del declino dell'Occidente. A questo fatto si aggiungono tre intuizioni fondamentali. La prima riguarda il riconoscimento della molteplicità delle culture. Il declino di una civiltà non implica la fine del mondo: da qualche altra parte inizia qualcosa di nuovo. Sotto questo aspetto egli può essere considerato l'antesignano di un'estetica globale. (Mario Perniola)

Note

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  1. Dalla lettera a Friedrich von Preen del 10 dicembre 1878, in Friedrich Nietzsche, Jacob Burckhardt, Carteggio, a cura di Mazzino Montinari, SE, Milano, 2003, p. 55. ISBN 88-7710-588-7
  2. Da La civiltà del Rinascimento in Italia, traduzione di D. Valbusa, G. C. Sansoni editore, Firenze, 1876, vol. I, p. 114.
  3. I disordini che seguirono allo sciopero del 26 giugno 1871 dei minatori di königshütte vennero repressi solo dall'intervento delle truppe prussiane. Cfr. Friedrich Nietzsche, Jacob Burckhardt,Carteggio, p. 125
  4. In Friedrich Nietzsche Jacob Burckhardt, Carteggio , a cura di Mazzino Montinari, SE, Milano, 2003, pp. 92-93. ISBN 88-7710-588-7
  5. Citato in Lettere 1838-1896, p. 276, nota 1.
  6. Nella fonte: almeno.

Bibliografia

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  • Francesca Marini (a cura di), Caravaggio, 1ª ed., introduzione di Renato Guttuso, Rizzoli/Skira, Milano, 2003. ISBN 8817008087
  • Jacob Burckhardt, Il cicerone, vol. I, Biblioteca Universale Rizzoli, 1994. ISBN 88-17-11640-8
  • Jacob Burckhardt, Lettere (1838- 1896), Con l'epistolario Burckhardt-Nietzsche, a cura e traduzione di Luca Farulli, Sellerio, 1993. ISBN 978.88.38.90905.4

Altri progetti

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