José Ortega y Gasset

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José Ortega y Gasset

José Ortega y Gasset (1883 – 1956), filosofo spagnolo.

Citazioni di José Ortega y Gasset[modifica]

  • Non sappiamo che cosa ci sta accadendo ed è precisamente quello che ci sta accadendo.[1]
  • Il liberalismo prima che una questione di più o di meno in politica, è un'idea radicale della vita: è credere che ogni essere umano debba essere libero di soddisfare la propria individualità e il proprio destino intrasferibile.[2]
  • L'europeo è rimasto solo, senza uno spirito vivo al suo fianco.[3]
  • L'ordine non è una pressione imposta alla società dal di fuori, ma un equilibrio instaurato dal di dentro.[4][5]
  • [Nella società chiusa] l'uomo non sceglie il suo modo di pensare e di comportarsi, ma lo riceve automaticamente dal passato e vive spinto da una vis a tergo. La fede non gli pare una fede, bensì la realtà stessa.[6]
  • La bellezza che seduce coincide poche volte con la bellezza che fa innamorare.[7]
  • La Castiglia ha fatto la Spagna e la Castiglia l'ha disfatta.
Castilla ha hecho a España y Castilla la ha deshecho.[8]
  • La conversazione è lo strumento socializzante per eccellenza, e nel suo stile si possono veder riflesse le capacità della razza.[9][5]
  • [L'Escorial] [...] la nostra grande roccia lirica.[10]
  • La scienza consiste nel sostituire un sapere che sembrava ormai certo, con una teoria, ovvero con qualcosa di problematico.[7]
  • La secca legge dell'arte è questa: «Ne quid nimis», niente più del necessario. Tutto ciò che è superfluo, tutto quello che possiamo sopprimere senza che la sostanza ne risenta, è contrario all'esistenza della bellezza.[7]
  • Molti uomini, come i bambini, vogliono una cosa ma non le sue conseguenze.[11]
  • [...] nella maggior parte delle occasioni io so che l'altro ha bisogno di credere che sono un imbecille, che gli conviene convincersi di ciò per poter alimentare una fede in se stesso ferita o claudicante. Essendo un mentecatto, gli faccio, dunque, un gran favore.[12]
  • Non è la fame, ma, al contrario, l'abbondanza, l'eccesso di energia, a provocare la guerra.[7]
  • Non si può dire che il poeta insegua la verità, visto che la crea.[7]
  • Quando si parla di Velázquez si dice sempre che dipingeva l'aria, l'ambiente, eccetera. Io non credo a nulla di tutto questo e non mi sono mai accorto che si sia chiarito ciò che si intende enunciare con siffatte espressioni. L'effetto aereo delle sue figure è dovuto semplicemente all'indecisione di profili e di superfici in cui le lascia. Ai suoi contemporanei pareva che fossero rimaste "non finite" di dipingere, e a questo appunto è dovuto il fatto che Velázquez non fu popolare ai tempi suoi. Aveva fatto la scoperta più "impopolare": che la realtà si differenzia dal mito, nell'ambito del quale non è mai del tutto "finita".[13]
  • [...] questo Escorial, rigoroso impero della pietra e della geometria in cui ho collocato la mia anima [...].[14]
  • Saper comandare a se stessi è la prima condizione per poter comandare agli altri.[15]
  • Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni.[15]
  • Vita umana, in senso proprio ed originale, è quella di ognuno, vista dal di dentro; pertanto, è sempre la mia, è personale.[16]

Citato in Gabriele Morelli, LUDUS gioco, sport, cinema nell'avanguardia spagnola

Jaca book, Milano, pp. 13-32. ISBN 88-16-95097-8

  • Il sintomo generale del nuovo stile che traspare in tutte le sue multiformi manifestazioni consiste nel fatto che l'arte abbia sgomberato dalla zona seria della vita, ha smesso di essere un centro di gravitazione vitale. (p. 23)
  • Se invece di prendere sul serio l'arte, la prendessimo per quel che è, come intrattenimento, un gioco, una diversione, l'opera artistica guadagnerebbe così tutta la sua ammaliante riverberazione. (p. 24)
  • Per i vecchi, la mancanza di serietà della nuova arte è un difetto che è sufficiente ad annullarla; mentre per i giovani, questa mancanza di serietà, è il sommo valore dell'arte, e, di conseguenza, cercano di commetterla in modo più deciso e premeditato. (p. 24)
  • Al lavoro si contrappone un altro tipo di sforzo che non nasce da un'imposizione, ma da un impulso veramente libero e generoso della potenza vitale: lo sport [...] Si tratta di uno sforzo lussuoso, che si dà a mani piene senza speranza di ricompensa, come il traboccare di un'intima energia. Perciò la qualità dello sforzo sportivo è sempre egregia, squisita. (p. 25)
  • Alle opere veramente preziose si perviene soltanto tramite la mediazione di questo sforzo antieconomico (lo sport), i cui sublimi risultati sono: la creazione scientifica e artistica, l'eroismo politico e morale, la santità religiosa. (p. 25)
  • Decrescerà, per quanto possibile, il gesto triste del lavoro che pretende giustificarsi con patetiche considerazioni riguardanti i doveri umani e il sacro lavoro della cultura. [L'artista] otterrà le sue splendide creazioni scherzando e senza darle grande importanza. Il poeta tratterà la sua propria arte con la punta del piede, come un buon calciatore. Nel corso di tutto il secolo XIX si è assistito ad un amaro gesto del giorno feriale. Oggi i giovani sembrano disposti a dare alla vita un aspetto imperturbabile di giorno festivo. (p. 26)
  • Nell'insieme, quando si introduce un nuovo termine, muta la gerarchia di ciò che resta. Allo stesso modo, nel sistema spontaneo di valutazioni che l'uomo nuovo porta con sé, di cui è parte integrante, è apparso un nuovo valore – il vitale –, che per la semplice presenza deprime tutto il resto. (p. 26)
  • Invece di indurre il giovane a prodezze patetiche di falsa gesticolazione solenne, io gli direi: "amico mio: scienza, arte, morale inclusa, non sono cose serie, solennità sacerdotali. Si tratta meramente di un gioco". (p. 30)
  • La cultura non è figlia del lavoro ma dello sport. Si sa bene che attualmente mi trovo solo tra i miei contemporanei nell'affermare che la forma superiore dell'esistenza umana è proprio lo sport. (pp. 36-37)
  • Lo sport è sforzo fatto liberamente, per pura soddisfazione in sé, mentre il lavoro è uno sforzo a cui si è costretti in vista del suo rendimento. (p. 37)

Aurora della ragione storica[modifica]

  • Che l'uomo abbia bisogno di sapere, che abbia bisogno, lo voglia o no, di darsi da fare con i mezzi intellettuali di cui dispone, è quel che indubitabilmente costituisce la condizione umana.
  • È tempo che la storia abbandoni lo psicologismo e il soggettivismo in cui si disperdono i più acuti lavori contemporanei e riconosca che la sua missione è quella di ricostruire le condizioni oggettive in cui gli individui, i soggetti umani si trovano immersi.
  • Vivere significa, fin dall'inizio, essere costretti ad interpretare la nostra vita. Sempre, in modo irremissibile, in ogni istante, abbiamo a che fare con determinate convinzioni radicali intorno a ciò che le cose sono e a ciò che noi siamo in mezzo a loro: questo groviglio di convinzioni profonde fa diventare la nostra caotica circostanza un mondo unitario o universo.[17]

Il tema del nostro tempo[modifica]

  • Abbiamo il dovere di presentire il nuovo, e dobbiamo trovare anche il coraggio di affermarlo.
  • Il senso della vita, quindi, non è altro che accettare ognuno la propria circostanza e, nell'accettarla, trasformarla in una creazione nostra. L'uomo è l'essere condannato a tradurre la necessità in libertà.
  • La condizione dell'uomo è, in verità, stupefacente. Non gli viene data né gli è imposta la forma della sua vita come viene imposta all'astro e all'albero la forma del loro essere. L'uomo deve scegliersi in ogni istante la sua. È, per forza, libero.

Incipit de L'uomo e la gente[modifica]

Si tratta di questo: gli uomini, oggi, parlano continuamente di diritti e di leggi, di stato, di nazione e internazionalismo [...], pacifismo e bellicismo [...]. giustizia e ingiustizia sociale [...], autoritarismo, individualismo ecc. E non solo parlano, ma discutono. E non solo discutono ma, per le cose che quelle parole significano, combattono. E accade che combattendo s'ammazzino gli uni con gli altri a centinaia, a milioni.[18]

La ribellione delle masse[modifica]

  • La libertà ha sempre significato in Europa una franchigia per essere chi autenticamente siamo. (Prologo per i francesi, III, p. 29)
  • La missione del cosiddetto «intellettuale» è, in certo modo, opposta a quella del politico. Il lavoro intellettuale aspira, spesso invano, a chiarire un poco le cose, mentre il lavoro del politico, al contrario, consiste normalmente nel confonderle più di quanto già non siano per se stesse. Essere di sinistra è, come essere di destra, uno degli infiniti modi che l'uomo può scegliere per essere un imbecille: entrambi in effetti sono forme della emiplegia morale. (Prologo per i francesi, IV, p. 31)
  • È stato il cosiddetto «individualismo» ad arricchire il mondo, ad arricchire tutti nel mondo. (Prologo per i francesi, IV, p. 35)
  • La cosa importante è la memoria degli errori, che ci consente di non commettere sempre gli stessi. (Prologo per i francesi, IV, p. 39)
  • Le città sono piene di gente. Le case, piene di inquilini. Gli alberghi, pieni di ospiti. I treni, pieni di viaggiatori. I caffè, pieni di consumatori. Le strade, piene di passanti. Le anticamere dei medici più noti, piene d'ammalati. Gli spettacoli, appena non siano particolarmente estemporanei, pieni di spettatori. [...] La moltitudine, improvvisamente, si è fatta visibile, si è installata nei luoghi migliori della società. Prima, se esisteva, passava inavvertita, occupava il fondo dello scenario sociale; ora è avanzata nelle prime linee, è essa stessa il personaggio principale. Ormai non ci sono più protagonisti: c'è soltanto un coro. (pp. 47-49)
  • Sorprendersi, stupirsi, è incominciare a capire. (p. 48)
  • Il fatto caratteristico del momento è che l'anima volgare, riconoscendosi volgare, ha l'audacia di affermare il diritto della volgarità e lo impone ovunque. (p. 53)
  • Come quegli insetti che è impossibile estrarre dal loro nido, non c'è modo di sloggiare l'ottuso dalla sua insipienza, di farlo uscire dalla sua cecità e costringerlo a mettere a fuoco la visione abitualmente torpida con altri punti di vista più sottili. L'ottuso è insipiente perennemente, incessantemente. Per questo Anatole France diceva che un imbecille è più funesto di un malvagio: il malvagio talvolta si riposa, l'imbecille mai. (p. 99)
  • La barbarie è assenza di norme e del ricorso a esse. (p. 101)
  • La filosofia non ha bisogno né di protezione, né di attenzione, né di simpatia da parte delle masse. Conserva il suo carattere di perfetta inutilità; e in tal modo si affranca da ogni soggezione all'uomo-massa. Si riconosce come essenza problematica, e abbraccia in letizia il suo libero destino di uccello del buon Dio, senza chiedere di essere accettata, senza raccomandarsi a qualcuno né difendersi. (p. 113)
  • La salute delle democrazie, qualunque siano il loro carattere e il loro grado, dipende da un miserabile particolare tecnico: il sistema elettorale. Tutto il resto è secondario. (p. 181)

Meditazioni del Chisciotte[modifica]

  • Ogni cosa concreta è costituita da una somma infinita di relazioni. Le scienze procedono discorsivamente, cercano ad una ad una queste relazioni, e, pertanto, avranno bisogno di un tempo infinito per esaurirle tutte. È questa la vera tragedia della scienza: lavorare per un risultato che non raggiungerà mai pienamente. (p. 8)
  • Il rancore è un'emanazione della coscienza dell'inferiorità. (p. 35)
  • Il bene, come la natura, è un immenso paesaggio in cui da secoli l'uomo avanza in esplorazione. (p. 37)
  • C'è chi considera nulla ciò che è piccolo: per essi non sarà grande nemmeno ciò che è grande. (p. 43)
  • Io sono io e la mia circostanza, e se non la salvo non salvo neanche me stesso. (p. 44)
  • Se non esistesse altro che un vedere passivo, il mondo si ridurrebbe ad un caos di punti luminosi. Ma oltre al vedere passivo esiste un vedere attivo, che interpreta vedendo e vede interpretando; un vedere che è guardare. Platone seppe trovare per queste visioni che sono sguardi una parola divina: le chiamò idee. (p. 59)
  • La cultura non è la vita intera, ma solo il momento della sicurezza, della stabilità, della chiarezza. (p. 80)
  • [La Cattedrale di Sigüenza] [...] una vecchia cattedrale a pianta romanica con due torri fosche, merlate, due castelli guerreschi, costruiti per dominare sulla terra, gravi, con le loro quattro pareti lisce, senza aspirazioni irrealizzabili. Quel terreno è tanto accidentato che, alla luce tremante dell'alba, assumeva un'ondulazione simile a quella del mare, e la cattedrale, tutta olivastra e rosa, mi sembrava una nave che per quel mare veniva a portarmi la tradizione religiosa della mia razza condensata nel reliquiario del suo tabernacolo.
    La cattedrale di Sigüenza è, più o meno, contemporanea del venerabile Cantare del mio Cid [...]. Entrambe, religione e poesia, sono qui gravide, terrene, affermatrici di questo mondo. [...] L'uno e l'altro, tempio e cantare si contentano di circoscrivere una parte di vita. La religione e la poesia non pretendono di soppiantare questa vita, ma, con discrezione, la servono e le fanno da diacono: sono per la vita. (p. 236)
  • [...] in certi quadri di Zuloaga passa soffiando fieramente un vento irresistibile, terrificante, barbaro; un alito caldo che sembra giungere da inospitali deserti, o gelido, come se discendesse dai ghiacciai. In tutti i modi, una corrente di qualcosa, di un qualcosa di così vigoroso, così sostanziale, così evidente e necessario che, opprimendo nella tela ciò che è dipinto, lo rapprende, lo stringe su se stesso, gli dà peso esistenziale, solidità, necessità. Di alcuni quadri di Zuloaga si potrebbe dire che sono come stretti passaggi attraverso i quali irrompe tempestosamente un dinamismo superiore ad essi e da essi indipendente. (pp. 261-262)
  • Il disegno di Zuloaga è pura forza viva: un cavaliere dalla sensibilità chisciottesca che accorre lì dove le cose sopportano maggior violenza dalle potenze inerti, vendicatore dei torti originati dalla materia, e soprattutto del più grave: la trivialità, l'inespressività. Questo lirico sforzo del disegno consiste nel disarticolare le forme triviali, le forme materializzate, e con lieve tocco articolarle secondo lo Spirito. (p. 264)
  • Quanto più superficiale è un'intelligenza, maggior propensione mostrerà a qualificare le discussioni come mere dispute verbali. (p. 337)

Note[modifica]

  1. Citato da Edgar Morin, Svegliamoci!, traduzione di Alessandra Neve, Milano-Udine, Mimesis 2022, p. 7.
  2. Da Lo spettatore.
  3. Citato in AA.VV., Il libro della politica, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2018, p. 250. ISBN 9788858019429
  4. Da Mirabeau.
  5. a b Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  6. Da Una interpretazione della storia universale, SugarCo, Milano, 1978, p. 150; citato in Luciano Pellicani, Saggio sulla genesi del capitalismo, SugarCo Edizioni, 1992, ISBN 88-7198-203-7, cap. X, p. 284.
  7. a b c d e Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  8. (ES) Citato in Manuel González Herrero, Memorial de Castilla, M. González Herrero, Segovia, 1978, p. 104.
  9. Da Spagna invertebrata.
  10. Citato in Jean Babelon, Jacopo da Trezzo e la costruzione de L'Escorial. Saggio sulle arti alla corte di Filippo II, traduzione e revisione delle note con aggiunta di nuove immagini di Eleonora Mauri e Pasquale Villa, Diogene Edizioni, Pomigliano d'Arco, 2015, p. 31. ISBN 978-88-6647-108-0
  11. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013. ISBN 9788858654644
  12. Da Meditazione sulla tecnica e altri saggi su scienza e filosofia, traduzione di Roberto Manzocco, Doleres Perez, L. Taddio, Mimesis, Milano-Udine, 2011, p. 170. ISBN 9788857559438
  13. Da Velázquez, 1953. Citato in Velázquez, I Classici dell'arte, a cura di Elena Ragusa, pp. 183-188, Rizzoli/Skira, Milano, 2003.
  14. Da Il tema del nostro tempo, traduzione di A. Lozano Maneiro e C. Rocco, SugarCo, Milano, 1985, citato in Eusebio Ciccotti, in La "Dottrina del punto di vista" in J. Ortega Y Gasset. Una lettura estetica tra letteratura e cinema, Rivista di estetica, n. 44, 2010, journals.openedition.org/estetica/1680.
  15. a b Citato in Guido Almansi, Il filosofo portatile, TEA, Milano, 1991.
  16. Da L'uomo e la gente, p. 64.
  17. Da Intorno a Galileo (1933), in Aurora della ragione storica, traduzione di Leonardo Rossi, Sugarco, Milano, 1994, p. 37. ISBN 88-7198-284-3. Citato in Enzo Di Nuoscio, Tucidide come Einstein?: la spiegazione scientifica in storiografia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, nota 65, p. 22. ISBN 9788849809787
  18. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.

Bibliografia[modifica]

  • José Ortega y Gasset, Aurora della ragione storica, traduzione di Leonardo Rossi, SugarCo, Milano.
  • José Ortega y Gasset, Il tema del nostro tempo, a cura di Claudio Rocco, SugarCo Edizioni, Milano.
  • José Ortega y Gasset, L'uomo e la gente, traduzione di Lorenzo Infantino, Armando Editore, Roma, 2005. ISBN 88-8358-280-2
  • José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, traduzione di Salvatore Battaglia e Cesare Greppi, SE, Milano, 2001. ISBN 88-7710-495-3
  • José Ortega y Gasset, Lo spettatore, a cura di Carlo Bo, Bompiani, Milano.
  • José Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, introduzione di Otello Lottini, traduzione di Bruno Arpaia, Guida, Napoli, 1986.

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