Kaṭha Upaniṣad

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Kaṭha Upaniṣad, Upaniṣad "della morte".

Citazioni[modifica]

  • Nel mondo del cielo non v'è traccia di paura. Tu, o Morte, non sei là. Là non si teme la vecchiaia. Trascese sete e fame e superato il dolore, un uomo esulta nel mondo del cielo. Tu conosci, o Morte, il fuoco che conduce al cielo. Dichiaralo a me che son degno di fede: come partecipano dell'immortalità gli abitanti del cielo? Questo io scelgo come mio secondo dono. (I, 12-13; 2001)
  • Questo ātman non è conseguibile mediante spiegazioni, mediante intelletto oppure mediante studio, per quanto grande; esso può essere ottenuto da colui che egli stesso sceglie; è per costui che l'ātman riveste il suo corpo. (I, 22; 2007)
  • Ma colui, il quale è privo di discernimento, non avendo il controllo della mente è sempre impuro. Costui non consegue quella mèta e continua a peregrinare nel divenire ciclico. (I, III, 7; 2010)
  • Coloro che, vagando nell'ignoranza, si credono dei sapienti, saggi di per se stessi, girano in tondo correndo da ogni parte, ma sono dei folli, simili a ciechi guidati da un cieco. (II, 5; 1999)
  • Quella parola che tutti i Veda testimoniano e alla quale tutte le pratiche ascetiche fanno riferimento, mirando alla quale [gli uomini] intraprendono il brahmacarya[1], quella parola ti esporrò sinteticamente: essa è Oṁ. (I, II, 15; 2010)
  • Se l'uccisore crede di uccidere, se l'ucciso crede di essere ucciso, né l'uno né l'altro hanno la conoscenza vera: in realtà non vi è né uccisore né ucciso. (II, 19; 1999)
  • Sappi che l'anima [atman] è il padrone del carro, che il corpo è il carro stesso, la ragione è il cocchiere e le redini sono il pensiero. I sensi sono i cavalli, il loro percorso sono gli oggetti dei sensi. Gli esperti chiamano agente di gioia ciò che ha anima, sensi e pensiero.
    I sensi di colui che è privo della conoscenza e il cui desiderio mai è aggiogato, non sono sottomessi. Sono come i cattivi cavalli per il cocchiere. I sensi cli colui che ha la conoscenza e il cui pensiero è sempre aggiogato sono sottomessi. Sono come i buoni cavalli per il cocchiere.
    Colui che è privo della conoscenza e il cui pensiero è sempre impuro, non giunge alla meta, e rientra nel giro delle rinascite. Colui che ha conoscenza e il cui pensiero è sempre puro, giunge là dove più non si rinasce.
    L'uomo che ha per cocchiere la conoscenza, per redini il pensiero, giunge all'altra riva, alla meta, al luogo supremo, poiché di là dai sensi vi sono gli oggetti, di là dagli oggetti vi è il pensiero, di là dal pensiero vi è la ragione, e di là dalla ragione il Grande Sé.
    Di là dal Grande Sé vi è il Non-manifesto, di là dal Non-manifesto vi è lo Spirito, di là dallo Spirito non v'è nulla: è il termine, è la via più alta. (III, 3-11; 1999)
  • Nascosto in tutti gli eseri, l'ātman non risplende, | ma può essere percepito da quei sottili veggenti | per mezzo della loro sottile e raffinata intelligenza. (III, 12; 2001)
Questo [Puruṣa] è profondamente nascosto in tutti gli esseri: non appare manifestazione come ātman, ma viene realizzato grazie a una intuizione concentrata ed estremamente acuta da coloro che percepiscono le cose [più] sottili. (I, III, 12; 2010)
Questo ātman [puruṣa], che è nascosto in tutte le creature, non si rende visibile: è percepito soltanto dai sottili veggenti dallo spirito fine e acuto. (I, III, 12; 2007)
  • Come avviene che l'aria, pur essendo una, una volta penetrata nel mondo, si adatta a ogni forma, assumendola, così pure questo ātman, che è insito in ogni creatura, sebbene unico, riempie ogni forma e lo spazio attorno. (II, 5, 10)[2][3]
  • È difficile camminare sul filo di un rasoio; così, dice il saggio, è aspro il cammino verso la salvezza.[4]
The path is as sharp as a razor, impassable and difficult to travel, so the wise declare. (III, 14)[5]
  • Questo Aśvattha eterno, le cui radici vanno in alto e i rami in basso, è il puro (śukram), il Brahman, ciò che chiamano la Non-Morte. Tutti i mondi riposano in lui! (VI, I) [6]
  • Non dalla parola, né dalla mente, | né dalla vista può egli mai essere raggiunto. | Come, allora, può egli essere percepito | se non esclamando «Egli è»? (VI, 12; 2001)[7]

Note[modifica]

  1. Il seminario da brahmano.
  2. Citato in Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
  3. Numerato come II, II, 10 in Raphael (vedi Discussione).
  4. Citato in epigrafe a W. Somerset Maugham, Il filo del rasoio, traduzione di Maria Martone, Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1946, p. 7.
  5. Testo originale inglese in Katha Upanishad, traduzione dal sanscrito di Swami Paramananda.
  6. Citato in Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati, p. 248. ISBN 978-88-339-1849-5
  7. Numerato come II, III, 12 in Raphael.

Bibliografia[modifica]

  • La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
  • Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.
  • Upaniṣad, a cura e traduzione di Raphael, Bompiani, 2010.
  • Upaniṣad antiche e medie, a cura e traduzione di Pio Filippani-Ronconi, riveduta a cura di Antonella Serena Comba, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2007.

Voci correlate[modifica]

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