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Mircea Eliade

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Francobollo moldavo in commemorazione di Mircea Eliade

Mircea Eliade (1907 – 1986), storico delle religioni, antropologo, scrittore, filosofo, orientalista, mitografo, saggista e accademico rumeno.

Citazioni di Mircea Eliade

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  • Confesso d'aver letto ciascuno dei 30 volumi di Papini almeno tre volte (e lo confesso pur sapendo che certi idioti di spirito torneranno a gridare al mio "papinismo"). Continuo ad amare tutto quanto Papini, così com'è. Credo che non vi sia miglior elogio che si possa fare a uno scrittore che quello di confessare d'amarlo interamente anche se da lui ci separano le idee, il temperamento e i princìpi religiosi o morali. Dietro quei 30 volumi c'è un uomo maledettamente vivo e integro. Le migliaia di libri che ha letto non l'hanno cambiato. Le idee che ha promosso e abbandonato una dopo l'altra non l'hanno inaridito. La vastità della sua opera non è riuscita a bloccarlo, a paralizzarlo, a consegnarlo completamente alla storia morta. Nessuno nel nostro secolo, neppure André Gide, ha affrontato tante esperienze e lottato su tanti fronti. E mentre Gide non poteva mai astenersi da quel concetto di malintesa "gratuità", Papini si immedesimava tutto in quello che faceva al momento. Amava e odiava con passione, con ogni fibra del suo corpo, a riprova di una vitalità e di uno spessore spirituale rari. Oggi che un'intera classe di uomini pratica il compromesso per paura di esporsi, l'esempio di Papini può ridiventare attuale. È un uomo che non si vergogna dei suoi errori. Un vero segno del genio. Solo gli sterili e i mediocri si preoccupano della perfetta coerenza dei propri pensieri, e sono ossessionati dalla paura di sbagliare. Papini ha sbagliato, si è furiosamente contraddetto e compromesso. Eppure della sua opera è rimasto più di ogni "opera" perfettamente delineata, messa a punto e corretta dalla prima all'ultima pagina. (da L'isola di Euthanasius, Scritti letterari)
  • Il mondo moderno non ha completamente abolito il comportamento mitico, ne ha soltanto rovesciato il campo di azione: il mito non è più dominante nei settori essenziali della vita, è stato rimosso [...] Nonostante tutto, la comprensione del mito sarà annoverata tra le più utili scoperte del secolo XX. (da: Miti, sogni, misteri.[1])
  • Lo Yoga costituisce una dimensione peculiare della mentalità indiana, al punto che qualsiasi religione e cultura indiane si siano sviluppate, là noi troviamo anche una forma più o meno pura dello Yoga. In India, lo Yoga è stato adottato e valorizzato da tutti i movimenti religiosi, sia induisti sia "eretici". I vari Yoga cristiani o sincretici dell'India moderna costituiscono un'altra prova che l'esperienza religiosa indiana trova i metodi di "meditazione" e "concentrazione" yogiche una necessità.
Yoga constitutes a characteristic dimension of the Indian mind, to such a point that whatever Indian religion and culture have made their way, we also find a more or less pure form of Yoga. In India, Yoga was adopted and valorized by all religious movements, whether Hinduist or 'heretical.' The various Christian or syncretistic Yogas of modern India constitutes another proof that Indian religious experience finds the yogic methods of "meditation" and "concentration" a necessity. (da Yoga: Immortality and Freedom; citato in A Tribute to Hinduism)
  • Ogni eresia è l'esagerazione mostruosa di un aspetto della verità. (da Il mito della reintegrazione, p. 20)
  • Per lo storico delle religioni ogni manifestazione del sacro è importante; ogni rito, ogni mito, ogni credenza, ogni figura divina riflette l'esperienza del sacro, e di conseguenza implica le nozioni di essere, di significato, di verità. «È difficile immaginare – facevo già notare in altra occasione – come lo spirito umano potrebbe funzionare senza la convinzione che nel mondo vi sia qualcosa di irriducibilmente reale; ed è impossibile immaginare come la coscienza potrebbe manifestarsi senza conferire un significato agli impulsi e alle esperienze dell'uomo. La coscienza di un mondo reale e dotato di significato è legata intimamente alla scoperta del sacro. Mediante l'esperienza del sacro lo spirito umano ha colto la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato, e ciò che è privo di queste qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato» (La Nostalgie des Origines, 1969, p. 7 e ss.). Il "sacro" è insomma un elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa. Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, poiché l'alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In altre parole, essere – o piuttosto divenire – un uomo significa essere "religioso" (ibidem p. 9).[2]
  • Questo testo è senz'altro uno dei più profondi e originali contributi alla comprensione dello yoga classico.
This is certainly one of the most profound and original contributions to the undestanding of classical yoga (dalla quarta di copertina di Georg Feuerstein, The Philosophy of Classical Yoga, Inner Traditions International, 1996)

Lo Yoga. Immortalità e libertà

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Quattro concetti fondamentali e solidali, quattro "idee-forza" ci introducono direttamente nel vivo della spiritualità indiana: sono il karman, la mâyâ, il nirvâna e lo yoga. Si potrebbe scrivere una storia coerente del pensiero indiano partendo da uno qualunque di questi concetti fondamentali: saremmo necessariamente spinti a parlare degli altri tre.

Citazioni

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  • Nessuna filosofia, nessuna gnosi indiana naufragano nella disperazione. La rivelazione del "dolore" come legge dell'esistenza può, al contrario, essere considerata la conditio sine qua non della liberazione; questa sofferenza universale ha dunque un intrinseco valore positivo e stimolante. (p. 27)
  • Il Samkhya e lo Yoga sono stati costretti a postulare la molteplcità dei purusa, perché se non ci fosse stato che un solo Spirito, la salvezza sarebbe stata un problema infinitamente più semplice; il primo uomo liberato avrebbe determinato la liberazione di tutto il genere umano. (p. 45)
  • In questo senso si può dire che la Bhagavad Gîtâ si sforza di "salvare" tutti gli atti umani, di "giustificare" ogni azione profana: perché, per il fatto stesso di non godere più i loro "frutti", l'uomo trasforma i suoi atti in sacrifici, vale a dire in dinamismi transpersonali che contribuiscono a mantenere l'ordine cosmico. (p. 153)
  • Ogni ripetizione indefinita [del mantra] conduce alla distruzione del linguaggio; in alcune tradizioni mistiche, questa distruzione sembra essere la condizione delle ulteriori esperienze. (p. 207)
  • Non bisogna mai perdere di vista il fatto che l'universo tantrico è costituito da una serie indefinita di analogie, di omologazioni e di simmetrie; partendo da un livello qualsiasi è possibile stabilire comunicazioni mistiche con gli altri livelli, per ridurli alla fine all'unità e dominarli. (p. 215-216)
  • [Sui chakra] È sufficiente leggere attentamente i testi per rendersi conto che si tratta di esperienze transfisiologiche, che tutti questi "centri" rappresentano degli "stati yoga", inaccessibili senza una ascesi spirituale. (p. 223)
  • Gli Indo-Europei portavano una società di struttura patriarcale, una economia pastorale ed il culto degli dei del Cielo e dell'atomosfera, in una parola "la religione del Padre". Gli aborigeni preariani conoscevano già l'agricoltura e l'urbanesimo (la civiltà dell'Indo) e, in generale, partecipavano alla "Religione della Madre". L'induismo, come si presenta alla fine del medioevo, rappresenta la sintesi di queste due tradizioni, ma con un accentuato predominio dei fattori aborigeni: l'apporto degli Indo-Europei ha finito per essere radicalmente asiatizzato. L'indusimo significa la vittoria religiosa della tradizione locale. (p. 334)

Trattato di storia delle religioni

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Tutte le definizioni del fenomeno religioso date fino ad oggi hanno un tratto comune: ciascuna contrappone, a suo modo, il sacro e la vita religiosa al profano e alla vita secolare. Le difficoltà cominciano quando si vuol delimitare la sfera della nozione di «sacro». Difficoltà di carattere teorico, ma anche pratiche, perché prima di tentare una definizione del fenomeno religioso, occorre sapere da che parte bisogna ricercare i fatti religiosi, e, soprattutto, quali sono, fra questi fatti, quelli che si lasciano osservare «allo stato puro», cioè che sono «semplici» e il più possibile vicini alla loro origine. Simili fatti, purtroppo, non sono in alcun luogo a nostra disposizione: né nelle società di cui possiamo seguire la storia, né fra i «primitivi», i meno civilizzati. Quasi dappertutto, ci troviamo di fronte a fenomeni religiosi complessi, che presuppongono una lunga evoluzione storica. 

Storia delle credenze e delle idee religiose. Vol. II

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  • L'importanza della coppia di contrari Yang-Yin consiste nel fatto che essa non soltanto è servita come modello di classificazione universale, ma che – oltre a questo – è stata sviluppata in una cosmologia che da un lato sistematizzava e conferiva validità a numerose tecniche del corpo e discipline dello spirito e, dall'altro, invitava a speculazioni filosofiche sempre più rigorose e sistematiche. (p. 24)
  • [...] Confucio ha inaugurato una via nuova, indicando la necessità e la possibilità di recuperare la dimensione religiosa del lavoro nel 'secolo' e dell'attività sociale. (p. 31)
  • Insomma, proprio come Confucio proponeva il suo ideale di 'uomo perfetto' tanto ai sovrani che a qualsiasi individuo desideroso di istruirsi, Lao-tzu invita i capi politici e militari a comportarsi da taoisti, o, in altri termini, a seguire il medesimo modello esemplare: quello del Tao. Ma è questo l'unico punto comune fra i due Maestri; per il resto Lao-tzu critica e rifiuta il sistema confuciano, cioè l'importanza dei Riti, il rispetto dei valori sociali e il razionalismo. (p. 34)
  • La terminologia cinese è solita distinguere fra taoismo filosofico (Tao-Kia, lett. 'scuola taoista') e taoismo religioso o 'religione taoista' (Tao Kiao, lett. 'setta taoista'). Alcuni autori ritengono giustificato e necessario compiere tale distinzione; per loro, il taoismo di Lao-tzu e di Chuang-tzu è una 'filosofia pura', radicalmente diversa dalla ricerca dell'immortalità fisica, obiettivo centrale della 'religione taoista'. (p. 39)
  • In sostanza, il Sāṃkhya prosegue le Upanishad nell'insistere sul ruolo decisivo della conoscenza per il conseguimento della liberazione. L'originalità dei primi maestri Sāṃkhya consiste nella loro convinzione che la 'vera' scienza presuppone un'analisi rigorosa delle strutture e dei dinamismi della Natura, della vita e dell'attività psico-mentale, affiancata da un continuo sforzo di cogliere il modalità sui generis dello spirito (puruṣa). (p. 57)
  • Lo Yoga classico inizia là dove finisce il Sāṃkhya. Patañjali infatti non crede che la conoscenza metafisica possa, da sola, condurre l'uomo alla liberazione: la conoscenza si limita a preparare il terreno in vista della conquista della libertà, ma quest'ultima si ottiene mediante una tecnica ascetica e un metodo di meditazione. (p. 65)
  • A differenza del Sāṃkhya, lo Yoga afferma l'esistenza di un Dio, Iśvara (lett. 'Signore'), che, pur non essendo un Dio creatore, può tuttavia accelerare, presso alcuni uomini, il processo di liberazione. Il Signore di cui parla Patañjali è piuttosto un Dio degli yogi, poiché può venire in aiuto soltanto a un uomo che abbia già scelto lo yoga. Può per esempio far sì che lo yogi che lo prende a oggetto della propria concentrazione ottenga il samādhi. (p. 70)
  • Pur esaltando Vishnu come l'Essere supremo, il poema sottolinea la complementarietà di Shiva e Vishnu, e da questo punto di vista il Mahābhārata può essere considerato la pietra angolare dell'induismo: infatti questi due dèi, insieme con la Grande Dea (Shakti, Kālī, Durgā), hanno dominato l'induismo, dai primi secoli d. C. fino a oggi. (pp. 237-238)
  • Il monismo upanishadico aveva negato la validità della realtà immediata; il Mahābhārata, soprattutto nelle sue parti didattiche, propone invece una dottrina più ampia: da un lato vi si riafferma il monismo upanishadico, colorato di esperienze teiste (vishnuiste); d'altro lato, si accetta ogni soluzione soteriologica che non sia esplicitamente contraria alla tradizione scritturale. (p. 238)
  • Nella Bhagavad Gītā viene anche dimostrata rigorosamente l'omologia delle tre 'vie' soteriologiche, in un celebre episodio che si apre con la 'crisi esistenziale' di Arjuna e si conclude con una rivelazione esemplare relativa alla condizione umana e alle 'vie' di liberazione. (p. 239)
  • Tutte le volte che l'ordine (dharma) vacilla, Krishna stesso si manifesta (IV, 7) e rivela, in maniera adeguata al determinato 'momento storico', questa saggezza atemporale (questa è la dottrina dell'avatār). (p. 240)
  • La grande originalità della Bhagavad Gītā sta nell'aver insistito sullo «yoga dell'azione», che si realizza «rinunciando ai frutti dei propri atti», e questo è anche il principale motivo del suo successo, che non ha precedenti in India. (p. 242)
  • Infatti, per tradurlo in termini familiari agli occidentali, il problema presentato nella Gītā è il seguente: in che modo risolvere la situazione paradossale creata dal fatto che l'uomo da un lato si trova nel Tempo, è votato alla Storia, ma, dall'altro sa che sarà 'dannato' se si lascia esaurire nella temporalità e nella propria storicità, e che di conseguenza deve a tutti i costi trovare, nel mondo, una via che sbocchi su un piano trans-storico e atemporale? (p. 243)
  • In ogni caso va precisato che l'ostensione del fallo costituiva un atto religioso, perché si trattava dell'organo generatore di Dioniso, al tempo stesso dio e mortale che aveva vinto la morte. Sarà sufficiente ricordarsi della sacralità del lingam di Shiva per comprendere come, in certi contesti culturali e religiosi, l'organo generatore di un dio non soltanto simboleggi il mistero della sua creatività, ma significhi anche la sua presenza. Tale esperienza religiosa è certamente inaccessibile al mondo occidentale moderno. Infatti, a differenza dei Misteri, il cristianesimo ha ignorato il valore sacramentale della sessualità. (p. 285)
  • A partire dal II secolo, le due religioni [mitraismo e cristianesimo] celebravano la natività del loro Dio lo stesso giorno (25 dicembre) e condividevano credenze analoghe sulla fine del Mondo, sul giudizio finale e sulla risurrezione dei corpi. (p. 328)
  • D'altra parte, numerose idee religiose iraniche – e cioè alcuni motivi della Natività, l'angelologia, il tema del magus, la teologia della Luce, alcuni elementi della mitologia gnostica – finirono per essere assimilati dal cristianesimo e dall'Islam; in certi casi se ne possono ravvisare le tracce dall'Alto Medioevo fino al Rinascimento e all'Illuminismo. (p. 329)

Citazioni su Mircea Eliade

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  • Chi considera la fascinazione di Eliade per il primordiale un segno delle sue visioni politiche reazionarie non capisce l'Eliade maturo e il suo radicalismo. [...] Ma la tradizione non era per lui un obbligo, come per Edmund Burke, o una sacra verità da tenere in vita di generazione in generazione, perché Eliade era pienamente consapevole che le tradizioni, come gli uomini e le nazioni, vivono solo attraverso il cambiamento e persino l'occultamento. La questione non è tentare infruttuosamente di tenerle immutate, ma scoprire dove si nascondono. (Robert S. Ellwood)
  • Ed è [...] dal grande storico delle religioni rumeno che apprendiamo come il simbolo e il mito siano stati vissuti nella storia dell'uomo come i grandi strumenti per eccellenza conoscitivi e rivelativi del mistero, mezzi per superare l'effimero ed immergersi in ciò che è destinato a durare. (Luigi Giussani)
  • Eliade è un caso particolare, perché in Romania [...] egli ha partecipato attivamente alla vicenda di quello che fu il più lugubre, spiritato, febbrile movimento d'ispirazione fascista tra quanti ne affiorarono in Europa negli anni Trenta: le Guardie di ferro fondate da Corneliu Codreanu. Movimento élitista, antimonarchico, antiparlamentarista, antisemita, che tendeva ad esaltare il "romanism" - l'identità spirituale romena -, la nazione piuttosto che lo Stato, e la tradizione cristiano-ortodossa. In rivolta contro lo storicismo ancora imperante, nauseato da un ambiente intellettuale che si limita a scimmiottare la cultura occidentale, soprattutto francese, Eliade studioso di miti, riti e simboli primitivi, fervido spiritualista - s'avvicina alle Guardie di ferro. E vi s'avvicina tanto, con i suoi articoli e discorsi (assai più di quanto non osi il suo intimo amico Emil Cioran), che nel 1938, quando il re Carol II reprime e bandisce il movimento, finisce per due anni in un campo d'internamento. (Sandro Viola)
  • Eliade è stato un ingegno enciclopedico, eclettico. Ma si è rifugiato nell'ambiguità per non rispondere delle sue scelte. Ha scritto troppo. Pochi suoi libri resteranno, nessuno è arte.
  • Eliade ha sempre mostrato un'"amnesia" per le sue simpatie legionarie.
  • La sua colpa più grave non è stata essere fascista, ma non aver voluto assumersi le responsabilità. Ha taciuto, dimenticato ciò che aveva fatto. E questo virus è molto diffuso tra gli intellettuali-clown romeni.

Note

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  1. Citato in Marcello Veneziani, Alla luce del mito, Marsilio editori, 2017, p. 62, ISBN 978-88-317-2639-9
  2. Da Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I, Sansoni, 1999, p. 7.

Bibliografia

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  • Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà, a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro, BUR, 2010.
  • Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose. Vol. II, traduzione di Maria Anna Massimello e Giulio Schiavoni, BUR, 2008.
  • Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, a cura di Pietro Angelini, Bollati Boringheri, 2016. ISBN 978-88-339-1849-5

Altri progetti

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